Dopo solo un anno di vita chiude a Roma Musja, il museo di Ovidio Jacorossi
La storia di Musja, legata intimamente alla figura del suo fondatore scomparso lo scorso ottobre 2019, termina qui. Il Museo tra le vittime del Covid-19
Ha avuto un solo anno di vita Musja, il museo- laboratorio di Ovidio Jacorossi. Avevamo annunciato la nascita dello spazio, prima denominato Musia con la “i” con questa lunga intervista a Ovidio Jacorossi, poi avevamo ripreso le fila del discorso qui, raccontando l’apertura del 1 dicembre 2017. Una fase “beta” terminata infine il 23 luglio 2019, data di battesimo di Musja con la “j” (dove j stava per il cognome del fondatore, Jacorossi per l’appunto), un Museo per la Capitale attorno ad una nutrita collezione privata di opere del Novecento e con l’obiettivo di ospitare mostre ed eventi. Ecco Musja: 1000 mq, sale dedicate all’esposizione, ma anche wine bar, ristorante e così via, negli spazi di Via Chiavari riallestiti dall’architetto Carlo Iacoponi e poi una mostra a cura di Danilo Eccher, (avevamo parlato di tutto ciò qui). Poi, un anno dopo l’annuncio della chiusura. Chiusura che avviene peraltro a pochi mesi dalla scomparsa del fondatore, Ovidio Jacorossi, morto a 85 anni a Roma lo scorso ottobre.
MUSJA: LA LETTERA DI OVIDIO MARIA JACOROSSI
A scrivere alla stampa è il figlio quasi omonimo dell’imprenditore e collezionista, Ovidio Maria (in un’intervista a La Repubblica Jacorossi racconta che fu la moglie a scegliere di chiamarlo così), comunicando la decisione con una accorata lettera. “È con grande rammarico”, scrive infatti,“che ci troviamo costretti a comunicare la chiusura di Musja, un museo nato poco meno di un anno fa con l’obiettivo di condividere, con tutta la comunità, la vasta collezione del compianto fondatore Ovidio Jacorossi e di contribuire all’offerta del panorama artistico-culturale di Roma e dell’Italia con una programmazione dal respiro internazionale, sensibile alle tendenze più innovative dell’arte contemporanea”. A compromettere le attività sarebbe stata l’emergenza Covid-19 e le conseguenti misure restrittive che non avrebbero“consentito al Museo di riaprire le sue porte. I limiti agli accessi e le numerose prescrizioni sanitarie non combaciano, infatti, né con le caratteristiche di una mostra ricca di grandi installazioni site-specific né con la particolarissima struttura dello spazio, ricavato in un edificio che sorge nel cuore di Roma, sulle antiche rovine del Teatro di Pompeo e che nei secoli ha visto stratificarsi elementi architettonici di epoche diverse, dall’età romana sino al Rinascimento”.
MUSJA: I NUMERI
Resta la soddisfazione per le attività svolte fino ad oggi: la riqualificazione e i restauri degli spazi di Via Chiavari e il numero di visitatori, ben diecimila, raggiunti dalla prima e unica mostra The Dark Side – Chi ha paura del buio?, a cura di Danilo Eccher, che coinvolgeva artisti quali Gregor Schneider, Robert Longo, Hermann Nitsch, Tony Oursler, Christian Boltanski, James Lee Byars, Gino De Dominicis, Gianni Dessì, Flavio Favelli, Monica Bonvicini, Monster Chetwind, Sheela Gowda, Shiota Chiharu. Una mostra secondo i promotori avveniristica che offriva diverse chiavi di lettura su come percepire e affrontare il buio. Tuttavia, “per quanto motivati a rimboccarci le maniche e desiderosi di contribuire alla ripartenza del settore culturale, per una piccola realtà privata come la nostra, il momento non è dei più felici. I procedimenti eccessivamente burocratizzati, i pochi incentivi per la ripartenza e la grande incertezza per ciò che avverrà, non ci consentono di impostare una programmazione per i prossimi mesi. Eppure, l’arte e la cultura guardano al futuro, lo immaginano e contribuiscono a delinearne i contenuti. Nell’assenza di prospettive si spegne la loro luce, le si rende impotenti e si priva la comunità di un valore imprescindibile”, conclude Jacorossi jr nell’augurio che “che questo buio svanisca presto e che l’arte possa tornare quanto prima a svolgere il proprio ruolo di luce e di guida”.
- Santa Nastro
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