Interpretare il tempo che scorre. Mario Cresci a Roma
Roma omaggia Mario Cresci con due mostre: “L’oro del tempo” presso l’Istituto Centrale per la Catalogazione e la Documentazione e “Combinazioni provvisorie” nella galleria Matèria. Due percorsi sul concetto della memoria attraverso uno scambio continuo tra fotografia e arte contemporanea come indagine antropologica.
Sono il tempo e la memoria i due elementi che scandiscono da sempre la ricerca fotografica di Mario Cresci (Chiavari, 1942), in cui emerge un interesse che confina con i territori dell’arte contemporanea grazie a un proprio fondamento linguistico, dove forti, però, appaiono i rimandi a una riflessione analitica che si architetta attraverso le strutture e i moduli visivi della fotografia documentaria. In questo tempo labile, cristallino e immobile, si generano “presenze” che nuovamente tornano, come se la giostra dei ricordi portasse indentro, di molto, a quei paesaggi e a quella gente in bianco e nero di un tempo ancestrale e distratto, che oggi popola i cimiteri delle nostre reminiscenze, i cui frammenti statici, e poi luttuosamente mossi, non sono altro che l’espressione consapevole di un tempo reale ma profondamente distante.
LA FOTOGRAFIA DI MARIO CRESCI
Quei ritratti melanconici dei contadini di Puglia e di Lucania, oggi si confrontano con le effigie immacolate tratte da alcune serie fotografiche di statuaria classica che fanno parte dell’archivio del Gabinetto Fotografico Nazionale. È su questa sequenza, come in quella dell’archivio del ritrattista Mario Nunes Vais, che Cresci manipola l’immagine, e lo fa con gli strumenti della contemporaneità, generando nuovi segni e nuove forme, in un dialogo silenzioso e sotterraneo, il cui tema centrale nuovamente è il corpo, pregno però di una nuove psyché, di nuovi sensi e di nuovi significati socio-antropologici.
LA MOSTRA ALLA GALLERIA MATÈRIA
Il rievocare icone, attraverso le fotocopie, è l’ulteriore lavoro, presentato per la galleria Matèria di Roma; un diario personale, ricco di appunti, fotografie fotocopiate, segni, memorie e ricorsi, in cui si sostituisce ancora una volta alla macchina fotografica la fotocopiatrice, intesa come strumento anonimo della modernità. Queste doppie pagine della serie Analogie e Memoria si originano dal bisogno di manipolare nuovamente la materia fotografica, per mezzo di un radicale smembramento dei processi tipici della camera oscura, volti ora a ricreare nuove figurazioni, che alludono, come nel caso delle immagini esposte presso l’ICCD, a icone contemporanee.
MEMORIA E TEMPO SECONDO MARIO CRESCI
Anche la pellicola Cronistorie, girata intorno al 1970 e proiettata nella galleria Matèria, rievoca, in una lentezza atavica tipica della dimensione onirica, il Das Unheimliche (S. Freud, 1919), in cui riti, processioni religiose, maschere, sacrifici animali, alludono a un tempo alterato e perturbante, legato quasi agli aspetti sconosciuti e surrealisti della poetica e del linguaggio visivo di Luis Buñel in Un Chien Andalou (1929), metafora anch’esso di un remoto universo psichico ricco di simbologie archetipiche. Ma le immagini sul rito che in Mario Cresci si sono generate delle sequenze de L’Archivio della memoria (Torino, 1980), attraverso una analisi attenta della letteratura demartiniana, oggi si fondono con un fluire nuovo, in cui il colore oro che ricorre nella mostra presso l’Istituto Centrale per la Catalogazione e la Documentazione, è colore alchemico, simbolo della trasformazione del Sé (C. G. Jung, Psicologia e Alchimia, 1944), ma anche allegoria di un tempo immutabile e profondamente contemporaneo.
‒ Fabio Petrelli
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