Maurizio Calvesi, storico militante. Il ricordo di Lorenzo Canova
L’iconologia concettuale, la rilettura alchemica dell’arte, gli studi su Dürer e quelli su Duchamp. Il critico d’arte Lorenzo Canova riassume gli aspetti principali della ricerca di Calvesi, storico militante.
La figura di Maurizio Calvesi rappresenta un esempio quasi irripetibile di studioso capace di avere una visione innovativa e sperimentale posta sul doppio binario dello storico dell’arte e del critico militante. Lo sguardo pionieristico di Calvesi ha utilizzato, infatti, il passato per un rinnovamento totale del pensiero e della stessa struttura “fisica” e teorica dell’opera d’arte, “nel punto di fuga di una cultura intesa a forzare, tra voglia di libertà intellettuale e di mito, certe pedagogiche scadenze del razionalismo formalista e purovisibilista”, come egli stesso ha scritto nel 1993.
MAURIZIO CALVESI: LE MATERIE DEL NERO
I suoi filoni di studio, come ad esempio l’interpretazione in chiave alchemica di alcune opere d’arte come Melencolia I di Dürernel suo saggio A Noir(pubblicato nel primo numero della rivista Storia dell’Artenel 1969), sono diventati basilari per una partecipazione critica ai grandi mutamenti delle arti visive tra anni Sessanta e Settanta, congiungendo così “due fenomeni giudicati invece divergenti e inconciliabili, l’arte del passato e quella del presente”. In anni decisivi per gli sviluppi dell’arte del secondo Novecento, Calvesi non solo ha scritto saggi innovativi, ma ha instaurato anche rapporti di amicizia e collaborazione sperimentale con gli artisti e con un grande e riconosciuto innovatore delle arti come Fabio Sargentini, che in quegli anni ha sviluppato progetti di assoluta rilevanza internazionale nella sua galleria L’Attico di Roma. È interessante notare, ad esempio, come anche la lettura in chiave alchemica dei quattro elementi di Calvesi dei Capriccidi Piranesi (che lo stesso studioso ha poi corretto negli anni successivi) sia stata fondamentale per il suo testo di presentazione di una delle mostre più importanti di quegli anni: Fuoco Immagine Acqua Terra a L’Attico del giugno 1967, riconosciuta ormai come il diretto antecedente e una vera e propria preconizzazione dell’Arte Povera.
MAURIZIO CALVESI E GLI ARTISTI
Le opere in mostra portavano sia alle poetiche “tattili” della materia (Jannis Kounellis, Pino Pascali, Piero Gilardi, Mario Ceroli), che alla dimensione immateriale del riflesso e della proiezione (Michelangelo Pistoletto, Umberto Bignardi, Mario Schifano), nella visione di un’opera d’arte non più chiusa, ma trasformata nella dimensione ambientale dell’environment, in un’apertura totale allo spettatore e allo spazio reale della vita. In questi anni l’alchimia si collegava ai pionieristici studi di Calvesi sul Futurismo e su Burri proprio nel coincidente interesse per la trasmutazione della materia del mondo e per la visione polimaterica dell’opera d’arte, in quelle indagini che vanno da Boccionia Prampolinifino a Burri, alle sperimentazioni “ambientali” degli artisti della Scuola di Piazza del Popolo e dell’Arte Povera, una linea che Calvesi rimetterà bene in luce nella cura scientifica e nei saggi in catalogo delle grandi mostre romane Novecento. Arte e Storia in Italia(2000-2001) e Burri, gli artisti e la materia (2005-2006) alle Scuderie del Quirinale. Si può notare che in questi anni le sperimentazioni che interessavano Calvesi sono spesso ancora di natura tattile, (poli)materica e ambientale, tuttavia va notato che Calvesi nel catalogo della mostra Ceroli Kounellis Marotta Pascali: 4 artistes italiens plus que naturea Parigi (1969) ha avanzato anche quella che sarà poi la sua interpretazione in chiave alchemica dell’opera di Duchamp, già proposta da Arturo Schwarz(che vedeva però l’alchimia presente in Duchamp come metafora inconscia). Questa lettura è culminata, dopo vari approfondimenti, nel libro Duchamp invisibile del 1975, recentemente ripubblicato (2016) da Maretti in edizione ampliata, un testo che ha avuto un’influenza riconosciuta su molti artisti dell’area concettuale, facendo convergere così arte contemporanea e iconologia su una posizione comune di ricerca.
MAURIZIO CALVESI: ICONOLOGIA CONCETTUALE
Gli anni Sessanta e Settanta hanno rappresentato così un periodo intenso cui gli studi iconologici di Calvesi, che vanno da Dürer, Caravaggio, Piranesi finoaDuchamp, si sono fusi alla militanza critica in modo fecondo, in un dialogo continuo con l’arte e gli artisti che merita di essere ulteriormente approfondito. Lo stesso Calvesi ha ripercorso i momenti salienti di questa avventura in bilico tra la critica sul campo e la ricerca storica dello studioso, portate avanti “con l’avidità del nuovo o meglio del non-conforme”. In un’intervista a Rosella Siligato sul catalogo della grande mostra Roma anni ’60. Al di là della pittura(1990) Calvesi ha infatti dichiarato: Vorrei fare un altro tipo di esempio: le mie ricerche anche storiche sui rapporti tra arte e alchimia (Piranesi, Dürer negli anni Sessanta), riferiti a partire dal 1963 (Bendini) anche ad artisti contemporanei, parallelamente agli scritti di Schwarz. L’influenza che questa rivisitazione dell’alchimia ha esercitato su non pochi artisti è stata considerevole. Patella ha dedicato un suo lavoro a una lastra di Piranesi da me ritrovata e si è poi occupato anch’egli di alchimia. Ceroli, nel 1972, ha dedicato alla tetralogia alchemica un’installazione (il giorno-la notte). L’arte povera ha impiegato i quattro elementi. Vettor Pisani ha esordito con riferimento all’alchimia, che è rimasta un cardine del suo lavoro. In chiave alchemica si può leggere la bellissima performance tenuta da Kounellis all’inizio del 1973 nella galleria romana de La Salita con il corvo nero, il kouros smembrato, il suono del flauto. Con Kounellis, Pisani e De Dominicis ho esposto io stesso in una mostra a quattro ne L’Attico (dicembre 1970), appendendo alla parete un testo sull’alchimia, mentre Kounellis mostrava una donna incinta sul cui ventre brulicavano degli insetti neri (come le mosche dell’alchemica “putrefazione” da cui nasce la vita o le mosche nere del sonetto alchemico di Rimbaud, che il poeta vedeva su un ‘corsetto’ o busto da donna), De Dominicis lo scheletro con i pattini, Pisani le tartarughe oppresse dai pesi. Ecco dunque un esempio di come la stessa attività di interprete dell’antico può diventare ‘critica militante’, un percorrere insieme agli artisti la strada dell’arte (che è una)”.
MAURIZIO CALVESI: IL TEMPO DELL’ALCHIMIA
La mostra citata del dicembre 1970 era Fine dell’alchimia, tenuta ancora alla galleria L’Attico: Calvesi, nel testo che la accompagnava, ha iniziato a sviluppare alcune idee sul tempo ciclico che si accosteranno alle sue posizioni critiche sul “ritorno alla pittura”. In questa mostra, come egli stesso ricorda, Calvesi, nelle vesti di artista concettuale, ha esposto il suo testo Contributo alla crisi dove notava: “il tempo dell’alchimia è un tempo ciclico, che ha per anello la putrefazione, luogo di nascita e di morte: è dunque un tempo angosciosamente esistenziale, che si riscatta sublimando la propria specularità”. In questo senso è interessante ribadire come la posizione di Calvesi abbia permesso un interessante e speciale avvicinamento tra l’iconologia e l’arte concettuale, in una sintonia tra le sue ricerche sul significato nelle arti visive e la reazione di opere basate su posizioni “mentali” e linguistiche in cui ha avuto un peso notevole il recupero di un certo esoterismo.
MAURIZIO CALVESI E LO STUDIO DI DUCHAMP
Uno degli apici di questo momento di grande sperimentazione è stata proprio l’interpretazione in chiave alchemica dell’opera di Marcel Duchamp, il padre nobile dell’arte concettuale, anticipata in tutta la sua ampiezza nel testo critico per una mostra tenuta ancora nella galleria L’Attico dedicata a la Porte: 11, Rue Larreyche era stata acquistata nel 1973 a Düsseldorf da Fabio Sargentini. Duchamp è diventato così l’artista al centro delle ricerche su arte e alchimia di Calvesi negli anni Settanta, e, nel suo Duchamp invisibile del 1975, analizzando i testi dell’artista, lo studioso ricostruiva dunque i fili della sua tessitura ermetica e, con un’importante intuizione, avvicinava la composizione del Grande Vetroa quella dell’iconografia dell’Assunzione della Vergine. Così a più di cinquant’anni dalla pubblicazione del suo saggio su Dürer A Noir (Melencolia I) si può notare come l’eredità di questo complesso filone di studi di Calvesi, da Dürer a Duchamp, sia importante, stratificata e molto disseminata. Non è un caso, dunque, se queste ricerche abbiano trovato importanti e positivi riscontri non solo in contesto storico-artistici, ma anche all’interno di recensioni e saggi di poeti e critici letterari non soltanto in Italia. In questo contesto, va sottolineato infatti che, non solo molti studiosi, ma anche molti artisti contemporanei, anche delle ultime generazioni, si sono interessati all’alchimia sulla scia dei suoi studi. Così Dürer, Duchamp, l’alchimia e l’arte contemporanea si legano così ancora in un percorso che trova nei saggi di Calvesi il suo fondamento e il suo impulso iniziale, grazie alla visione aperta di uno studioso che ha fatto transitare le sue ricerche storiche nel territorio della dimensione militante e attiva di un’azione condivisa, nell’interazione con le opere d’arte del passato e con quelle nate all’interno di un serrato scambio di suggestioni, contribuendo a formare il contesto fecondo di un momento quasi irripetibile dominato da un grande fervore immaginativo e da una vibrante osmosi creativa e culturale.
Questo articolo sintetizza i temi centrali del saggio Opere al Nero. Maurizio Calvesi tra iconologia e critica militante che sarà pubblicato sul prossimo numero della rivista Storia dell’Arte, di cui Calvesi è stato direttore per molti anni. Le citazioni sono tutte tratte da scritti e interviste di Maurizio Calvesi.
-Lorenzo Canova
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