Ron Gorchov l’imprevedibile. Il ricordo del gallerista Thomas Brambilla

Il gallerista italiano Thomas Brambilla ricorda l’artista recentemente scomparso Ron Gorchov. Raccontando del loro incontro e alcuni aneddoti…

Era il 2013 e avevo aperto a malapena da tre anni. Era il momento dei giovani artisti, dei debuttanti subito buttati alla ribalta, ma sentivo che era una fase ormai stanca. Cercavo artisti consolidati, ma momentaneamente dimenticati dai riflettori, quindi sfogliando una vecchia rivista d’arte, scoprii un gruppo di artisti americani famosi prima dell’avvento di Schnabel&C. Subito mi colpirono i quadri, non solo per le forme e lo stile pittorico, slavato e stratificato, che trovavo perfettamente in sintonia con le opere astratte di molti giovani artisti, ma anche per l’inconfondibile forma aggettante dei telai: dovevo andare a stanare il vecchio Ron Gorchov. Come galleristi lavorava sia con Vito Schnabel che con Cheim and Read. Provai a contattarli, ma non mi filarono. Invece, mentre ero a New York, andai in una piccola galleria del Lower East Side, Lesley Heller con cui Ron aveva avuto a che fare da sempre. Subito le confessai il mio amore per Gorchov, e con mia grande sorpresa su un bigliettino scrisse l’indirizzo email: “scrivigli! Non credo che ti manderà̀ via. Gli piacerai”.

L’INCONTRO TRA THOMAS BRAMBILLA E RON GORCHOV

Non mi sembrava vero ma dopo quaranta minuti ebbi l’ok per un appuntamento il giorno dopo. Ovviamente mi presentai puntualissimo nello studio di Red Hook a fianco di quello di Saint Clair Cemin. Mi ricevette sorridendo e parlammo per due ore di letteratura greca, nostro reciproco amore visto che quasi tutti i titoli dei suoi quadri sono nomi mitologici. Finita questa chiacchierata rompighiaccio, gli proposi una mostra. Silenzio. Quel silenzio mi indispettì e mi preoccupò, in fin dei conti avevo appena aperto la galleria… Allora provai ad alzare il tiro e gli dissi che volevo non solo la mostra, ma lavorare direttamente con lui senza galleria in mezzo, altrimenti non se ne faceva niente. Sorriso. Beffardo il sorriso di Gorchov. Cinico. Tagliente. Di quelli che testano la natura umana. Mi diede appuntamento al giorno dopo. Volevo ammazzarlo. Volevo un sì. Un sì immediato senza esitazioni. Il giorno dopo entrai in studio e mi disse subito: “Bergamese, I do the show only if you buy me all the paintings”. Tutti i quadri? Non avevo quei soldi eppure potevo dire no quando mi stava dicendo di sì? E dissi sì. Era felice Gorchov. Lo capivo. Voleva fare la mostra. Anni dopo mi confessò che stavano per sfrattarlo dallo studio. Con quei soldi riuscì̀ a stare nel suo studio e ci rimase fine a ieri. Per me fu la prima di una serie di soddisfazione. La più grande, credo, è stata quando mi presentò Lynda Benglis ed iniziai a lavora anche con lei. Credo che amasse molto Lynda. I primi quadri di Gorchov li portai nelle fiere e li vendetti tutti, ma nessuno conosceva l’artista, pensavano fosse un giovane e invece era un brillante ottantenne. Dopo la prima personale che feci nel 2015 andò a lavorare con Max Hetzler, poi Maruani Mercier con i quali intrattenne un lungo e serio rapporto, Stuart Shave fu l’ultimo ad unirsi.

L’“IMPREVEDIBILITÀ” DI RON GORCHOV

Ma il momento con cui lo voglio ricordare fu il suo no a una delle gallerie più potenti di Los Angeles. Dopo essere stato invitato dal gallerista a un opening, la mattina successiva si presentò da lui, di nascosto e senza avvisare nessuno di noi, e gli disse: “Dear, thanks for the invitation, but my father used to say to never eat at a restaurant where the ambience is better than the food. Do you agree with this?”. “Yes”, rispose innocentemente il gallerista. “Well …. Then, I believe that your gallery ambience is better than the food”. Si alzò e andò via. Così era Ron Gorchov. Imprevedibile. Inaspettato.

-Thomas Brambilla

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