Follow me! Il progetto architettonico che cambierà Canosa di Puglia
Prossimo al traguardo dei vent'anni di attività con lo studio COR Arquitectos e alla vigilia dell’apertura della mostra “Gemito” al Museo di Capodimonte, di cui ha curato l’allestimento, l’architetto Roberto Cremascoli racconta “Follow me!”, il progetto vincitore di un importante concorso bandito a Canosa di Puglia.
Negli ultimi due anni l’archeologia e l’architettura si sono più volte intrecciate nel lavoro dell’architetto Roberto Cremascoli e dello studio COR Arquitectos, da lui fondato con Edison Okumura e Marta Rodrigues a Porto in Portogallo. Destinati a prendere forma nei prossimi mesi, i recenti progetti elaborati per il Parco Archeologico di Pompei e per il Museo Nazionale Romano, nella Capitale, non hanno tuttavia interrotto l’attività di progettazione dello studio nello spazio pubblico, nell’allestimento e in ambito residenziale. Lo testimonia, tra gli altri esempi, l’affidamento al raggruppamento guidato da COR Arquitectos, con l’architetta Anna Merci, dell’incarico per un intervento di rigenerazione urbana destinato a incidere profondamente nel futuro di Canosa di Puglia, città di quasi 30mila abitanti dalla stratificata e affascinante identità storica. Promosso nell’ambito del bando Infrastrutture Verdi, finanziato dalla Regione Puglia, il concorso internazionale in due fasi, con pre-selezione, è stato infatti vinto dal progetto Follow me! – Un chilometro come prototipo di accoglienza, illustrato da Cremascoli in questa intervista, che intende rappresentare anche l’occasione per una ricognizione sul lavoro dello studio. Attivo ancora oggi, a quasi vent’anni dalla fondazione, lungo l’asse Italia-Portogallo.
INTERVISTA A ROBERTO CREMASCOLI
Si parla molto di rigenerazione urbana e Canosa di Puglia sembra aver scelto di passare dalle parole ai fatti, con il concorso che COR Arquitectos con Anna Merci si è recentemente aggiudicato. Quali sono i tratti salienti del vostro progetto?
Abbiamo scelto un atteggiamento di non aggressività. L’incarico è arrivato tramite un concorso in due fasi; all’ultima abbiamo avuto accesso in sei, tra cui ADBR. Follow Me!, come abbiamo denominato il progetto, si basa sul cosiddetto “chilometro dell’accoglienza”, ovvero una nuova dorsale che collegherà dodici luoghi di interesse archeologico e storico, sia di superficie, sia sotterranei, di Canosa di Puglia. Il percorso si estenderà dalle Terme Lomuscio al Battistero di San Giovanni e permetterà di conoscere e valorizzare il patrimonio al di sotto di Canosa: oltre ai monumenti in superficie, esiste infatti una vera e propria “Canosa sotterranea”, con un sistema di ipogei e catacombe che si devono ai Dauni e ai Romani, oltre ai tunnel, alle grotte e alle cavità realizzati nel tempo per l’estrazione del tufo canosino.
In concreto, cosa cambierà per i residenti e per i visitatori che raggiungeranno Canosa nel prossimo futuro?
Il programma che abbiamo elaborato prevede che il turista o il residente seguano una sorta di tappeto urbano dotato di diverse “soglie-stazioni”: lo abbiamo immaginato come un “filo continuo” di colore giallo intenso, per ricordare il tufo canosino, che unirà i siti di rilievo di Canosa. A disposizione di tutti ci saranno delle “stazioni QR code” con delle colonnine, rivestite con lo stesso materiale del percorso, che segnaleranno la presenza della discesa verso un determinato ipogeo oppure la possibilità di entrare in un sito in superficie, come nel caso del Battistero di San Giovanni che chiuderà il percorso. È una sorta di, come lo ha definito Roberto Zancan che era uno dei giurati, “allestimento all’aria aperta”, che intende rendere il territorio di questa cittadina un museo diffuso.
Cosa puoi anticiparci in merito ai tempi di realizzazione?
L’obiettivo è la conclusione dell’opera entro il 2022; stiamo già lavorando con la Soprintendenza e con l’Amministrazione su tutti i passaggi necessari ed entro l’anno dovrebbe partire il cantiere. Intanto sono stati stanziati dei fondi per iniziare da subito la programmazione delle “azioni immateriali”, che hanno come obiettivo la partecipazione dei commercianti e della comunità locale. Un aspetto chiave del “chilometro dell’accoglienza”, infatti, è che lungo questo percorso potrà prendere forma una sorta di “expo permanente”, in cui presentare i prodotti tipici locali, dalle paste ai vini, oltre alle nuove produzioni. L’idea è che percorrendo Follow me! si possa conoscere il meglio della città sotto vari punti di vista: non solo la sua identità culturale, ma anche quelle agricola, gastronomica e artistica. Se riuscissimo a raccontare anche le storie più recenti di questo territorio, a partire dal Settecento ad esempio, allora il racconto sarebbe molto completo. È importante sottolineare che già ai margini del centro abitato di Canosa si entra nel mondo agricolo: dobbiamo cercare di far capire che anche il mestiere del contadino è stato ed è fondamentale per le sorti, passate e future, di questo luogo.
E per quanto riguarda i dettagli tecnici e il piano del verde?
Pensiamo di ricorrere a una superficie in calcestruzzo drenante gialla per marciapiedi e strade. Come richiesto dal bando, ci sarà un’integrazione con il verde: ad esempio abbiamo previsto la ristrutturazione di una serie di giardini, tra cui uno di proprietà di un condominio che sarà aperto e diventerà spazio pubblico.
Accennavi prima alla “non aggressività”, una modalità di intervento che ci porta inevitabilmente a parlare del tuo maestro…
Ho avuto un grande maestro e ho la fortuna di lavorarci ancora, in collaborazione: Álvaro Siza, probabilmente uno dei più grandi maestri “non aggressivi” rispetto al contesto di sempre. La sua architettura, il suo segno architettonico diventa sempre parte integrante di un territorio, di un luogo; oppure lui progetta in modo tale che le persone si integrino con lo spazio che lui sta interpretando. Lavora sempre in una maniera silenziosa e, come dico io, “in sospensione”, nel senso che prepara spazi destinati a essere vissuti nel tempo. E lo fa in maniera geniale…
Passando dalla Puglia alla Lombardia, come procede il progetto per il complesso residenziale di Gallarate progettato da Álvaro Siza e COR arquitectos?
Non vedo l’ora che Álvaro riesca a tornare in Italia – è già stato più volte in questo cantiere –, per vedere il risultato finale! Siamo riusciti a fare in Italia un’operazione che, in questo Paese, si faceva negli Anni Cinquanta, Sessanta. È un complesso residenziale composto da vari blocchi, rivestiti in travertino, che lega due parti della città. Abbiamo disegnato tutto, compresi i pezzi speciali, gli infissi: tutto su misura, come facevano Ponti, Gardella, Portaluppi. Abbiamo provato a ricreare, almeno in parte, l’atmosfera di certa architettura milanese. E, inoltre, sarà un piccolo pezzo di città per tutti, dato che a ore controllate un percorso all’aperto compreso in questo complesso di residenze private diventerà cittadino. Siza è riuscito a convincere tutti!
Nel 2021 COR Arquitectos taglierà il traguardo dei primi venti anni di attività. Quanto è cambiata la professione in questi due decenni?
Il prossimo anno saranno anche trent’anni che sono residente in Portogallo. Sono arrivato da studente, alla fine degli Anni Ottanta, con l’idea di laurearmi con Siza, cosa che poi è avvenuta. Il Portogallo diverso da quello di oggi, sebbene come Paese continui a mantenere alcuni suoi tratti peculiari, inconfondibili; il tempo lì è molto meno accelerato che in Italia. Nulla è successo per caso nel mio percorso, anche la nascita dello studio, che si basa sulla combinazione delle diverse culture di noi soci. Abbiamo cominciato subito dalla grande scala, il che è un assurdo perché è più ricorrente iniziare a lavorare sulla dimensione domestica. Eppure siamo riusciti a fare opere importanti fin dall’inizio, vincendo dei concorsi già nei primi Anni Zero: penso, ad esempio, al NAC ‒ Nucleo di Arte Contemporanea Museo del Vetro nella Fabbrica di Resina a Marinha Grande, in Portogallo. Questo è stato possibile anche perché i concorsi di progettazione erano tutti aperti, non c’erano richieste di fatturato, requisiti tecnici o altre richieste: per questo penso che essere un architetto trentenne oggi, all’inizio della carriera, sia più complicato rispetto a venti anni fa.
In Italia sei conosciuto anche come co-curatore di Neighbourhood, Where Álvaro meets Aldo, esperienza di indiscusso rilievo, di cui si è tornato a parlare durante il lockdown in alcune occasioni di riflessione online dedicate alla Biennale Architettura e al suo possibile futuro. Tu come lo immagini?
Proverei ad aprirmi sempre di più alla città di Venezia. Operazioni come Manifesta, che dopo Palermo è in corso a Marsiglia, sono i nuovi momenti di incontro dei Paesi e riescono a intervenire nel tessuto vivo delle città. Non a caso ai miei studenti IUAV, per l’ultima esercitazione del corso, ho chiesto di pensare alla possibilità che i Giardini della Biennale diventino il “Giardino della terapia” di Venezia, in un’ottica post-Covid. Mi immagino una Biennale Architettura organizzata in modo tale che i singoli Paesi mostrino a Venezia i processi concreti, le operazioni o gli interventi in cui hanno investito il corrispettivo della produzione dei padiglioni “tradizionali”. Tornando ad Álvaro meets Aldo: sì, è stato straordinario. Ma lo è stato ancora di più coinvolgere i residenti di Campo di Marte, far ripartire il cantiere: quello è stato il nostro Leone d’oro!
‒ Valentina Silvestrini
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