Riqualificare con l’arte. In Molise torna il Cvtà Street Fest

Combattere lo spopolamento delle aree interne italiane con l’arte è possibile. Lo dimostra la nuova edizione di Cvtà Street Fest, la rassegna ideata da Alice Pasquini per il piccolo borgo di Civitacampomarano, in provincia di Campobasso. Un paese con meno di trecento abitanti che non hanno alcuna voglia di scomparire.

Un’edizione a suo modo unica e irripetibile, un sigillo che chiude un percorso di appropriazione e di consapevolezza degli abitanti iniziato cinque anni fa, quando hanno visto volti esterni credere in quella realtà semi abbandonata e oggi talmente viscerale da non poterne fare a meno. In una veste inedita, segnata da misure di prevenzione per evitare contagi, il 5 e 6 settembre, Civitacampomarano, un grappolo di case arroccate e scolpite sulla pietra arenaria in provincia di Campobasso, in Molise, che conta meno di trecento abitanti, si anima con la quinta edizione del Cvtà Street Fest, il festival ideato nel 2016 dall’artista Alice Pasquini.
Evento che, come tanti altri di questo 2020, non si sarebbe dovuto svolgere, eppure: “Avevo già contattato diversi artisti per rendere questa edizione del festival ancor più internazionale” – racconta Alice Pasquini, legata sentimentalmente al borgo, casa dei suoi nonni materni – “ma con l’incalzare dell’epidemia prim’ancora di capire la serietà e gravità del virus, avevo deciso di annullare tutto per tutelare le persone perché a Civitacampomarano vivono soprattutto anziani e non volevo esporli a rischi. Su Zoom ho comunicato loro la decisione e mi hanno detto ‘Alice non lasciarci’, ma anche ‘il festival è nostro’ e da qui l’intuizione: facciamo che sia davvero opera degli abitanti del posto, così ho contattato artisti, ospiti nelle edizioni precedenti che si erano immersi in un mondo surreale, in grado di poter spiegare a distanza come creare specifiche installazioni con le loro linee guida”.

GLI ARTISTI DI CVTÀ STREET FEST

Un’idea che si ispira all’opera di Maria Lai Legarsi alla montagna, una grandiosa opera d’arte pubblica che nel 1981 coinvolse un intero paese della Sardegna. Così, per esempio, anziane signore davanti allo schermo di un pc hanno ascoltato le indicazioni dell’artista polacca NeSpoon, presente nella seconda edizione di Cvtà, su come progettare e realizzare un’installazione aerea composta da un intreccio di merletti e ricami – cifra stilistica sia della giovane artista che delle esperti mani delle cittadine alle prese con decenni di uncinetto – che dà vita a un delicatissimo dedalo aereo. Una ragnatela di legami ed emozioni che parte da un centrino più grande e si dirama in tanti differenti intrecci di cotone: un omaggio al ricordo di una signora del luogo, Crisis, a cui NeSpoon era particolarmente legata, morta quest’anno e unica custode di una tecnica particolare di ricamo. Fili sono anche quelli dei balconi utilizzati per stendere il bucato e Alberonero, presente nel 2018, si aggrappa proprio su questi per la sua opera. Giocando come di consueto su gradazioni cromatiche, dagli armadi delle proprie case, l’artista ha chiesto agli abitanti di tirare fuori i propri corredi per scrivere assieme un pensiero e intonare un canto che racconta di una comunità solida e ricca di sfumature, dall’azzurro del cielo all’ocra della terra. Appoggiati, come colori al vento nella quiete delle rovine, sui balconi disastrati delle case abbandonate del borgo vecchio.

BIANCOSHOCK E JAN VORMAN

E poi c’è Biancoshock, attratto dalla storia dell’unico autobus che passa per il paese e che continua a fermarsi in piazzetta nonostante sia stata rimossa la fermata perché, per abitudine, i passeggeri attendono in quel punto esatto. Qui ha costruito la pensilina integrandola con una mappa emotiva che intreccia tre linee, che poi sono il cammino di vita di altrettante generazioni di Civita, ciascuna con le proprie fermate, distinte, ma che ogni tanto si incrociano in punti in comune che corrispondono ai sentimenti degli stessi autoctoni: baci, ricordi, incomprensioni, tradizioni.
Infine, il quarto intervento porta la firma di Jan Vorman, artista franco-tedesco che durante la scorsa edizione del festival ha iniziato la “ricostruzione” di Civitacampomarano con tanti mattoncini Lego, riempiendo le crepe che costellano il paese come gesto di contrasto alla fragilità del borgo antico che si sta sgretolando a causa di una frana provocata dal recente terremoto. Per il festival a distanza ha pensato a un muro che fosse espressione del flusso di coscienza dei civitesi, sul quale gli abitanti, soprattutto i bambini, potessero esprimersi liberamente.
Alcuni hanno scritto che “il razzismo è un virus”, altri “scegliere è una scelta”, mentre con spray arancione a colpire è la scritta “vogliamo una scuola a Civita”: “I bambini sono costretti a frequentare scuole in paesi limitrofi perché non c’è un numero minimo per formare una classe” – spiega ancora Alice Pasquini, che non solo durante i festival torna ciclicamente per lasciare piccole opere. “Ogni anno ci sono meno persone, la natura si riappropria degli spazi e ciclicamente i residenti abbandonano le vecchie case pericolanti per andare nella zona nuova. Luoghi così sono destinati a scomparire eppure in Italia esiste un patrimonio architettonico che abbiamo scelto di abbandonare perché non riusciamo a fare dei progetti per reintegrarlo. Col festival abbiamo dimostrato che la comunità esiste e resiste. Da utopia si è trasformato in economia, sono arrivati turisti, cittadini stranieri hanno comprato casa qui, la volontà di fare il Cvtà Street Fest nasce perché ho visto la reazione degli abitanti, la loro resilienza è commovente”. Come Barbara e Ilenia, giovani ragazze che, caparbiamente, hanno scelto una direzione contraria allo spopolamento circostante. Anime frizzanti e appassionate della bellezza della loro terra; è stata proprio Ilenia a scrivere un’email ad Alice Pasquini cinque anni fa, e da lì è nata questa incredibile coincidenza e magia.

IL MURO DI BOSOLETTI

Tra le tante opere ancora visibili delle passate edizioni, quella di Francisco Bosoletti è forse la più iconica: quando gli è stato chiesto di decidere su quale scorcio del paese realizzare il suo intervento, l’artista argentino ha volutamente optato per una parete già ampiamente rovinata e deteriorata dal tempo: “A Civitacampomarano sembra che il tempo si sia fermato, sembra che le cose stiano allo stesso posto da centinaia di anni, ma questa visione superficiale non è la realtà. Tanto l’interno della terra quanto l’interno dei suoi abitanti hanno più movimenti e cambiamenti che nel mondo normale. Questo muro vuole essere una rappresentazione di questa forza interna, di ciò che è possibile vedere al di là della superficie. Il caso sta decidendo la nuova geografia dei luoghi e dando dimostrazione di un conflitto tra la natura, la storia e la civilizzazione. Ma i muri, le architetture, le persone e la natura stessa hanno dentro una resilienza che instancabilmente si riappropria dei caratteri originari e autentici per rifondare le regole del territorio e della comunità di Civitacampomarano”.
La Street Art si è appiccicata sulla pelle rugosa di Civitacampomarano e anche se sta gradualmente scolorendo la scritta “resiste” realizzata con lo spray rosso per cancellare una frase beffarda sul Molise, ci penseranno gli abitanti del luogo a ricordare a tutti che loro “esistono”.

Giovanni Sgobba

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Vanni Sgobba

Vanni Sgobba

Vanni Sgobba, giornalista professionista, nato a Bari ma con il cuore a Berlino. Laureato in Lettere ha poi frequentato il Master in giornalismo. Seguace di Keith Haring, di Jean-Michel Basquiat e del graffitismo, racconta l’attualità e le contraddizioni della società…

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