Creare ponti tra arte e libri. Intervista a Jingge Dong
Parola a Jingge Dong, protagonista della mostra allestita alla Libreria Minerva di Padova e di un dialogo a distanza fra Oriente e Occidente, fra la Cina e Venezia.
Fino al 27 settembre alla Libreria Minerva di Padova Jingge Dong (Pechino, 1989) presenta la mostra Senza pietre non c’è arco, curata da Roberto Nardi. Prosegue così il dialogo tra il Kublai Kan e Marco Polo tratto da Le città invisibili di Italo Calvino.
Il riferimento da cui parte la mostra evidenzia la forte correlazione tra Cina e Occidente. Come ti poni tra queste due realtà? La scelta di Venezia da quali elementi è stata mediata?
Da cinque anni vivo in Italia e faccio esperienza della diversità di paesaggio e delle persone, del loro modo di vivere il quotidiano. L’essere tra queste due realtà mi arricchisce e vorrei esprimere questa sensazione nelle mie opere. Ho scelto Venezia guidato da un insegnante italiano a Pechino che subito ha evidenziato il prestigio dell’Accademia di Belle Arti, e non mi pento di averlo ascoltato. Adoro Venezia, è capace di coniugare il passato con il presente, è storica e contemporanea allo stesso tempo. In Accademia si è creato un ambiente positivo di crescita e scambio reciproco.
I lavori esposti fanno parte di una serie inedita. Come si inseriscono all’interno della tua sperimentazione?
Venezia mi ha attratto per le sue luci, ricordo ancora il fascino dei bagliori notturni nella via del rientro dopo l’Accademia. I primi lavori sono strettamente legati all’osservazione della realtà e alla volontà di riportare le sensazioni derivate dagli incontri quotidiani. La nuova serie Dreamland concretizza la fusione tra il mio mondo d’origine e quello attuale, una sorta di mescolanza tra l’universo dei miti cinesi antichi e le percezioni sensoriali della vita di ogni giorno che vengono decostruite e ricombinate in composizioni che ricordano il sogno.
JINGEE DONG E IL COLORE
Quale ruolo ha il colore all’interno dei tuoi lavori?
All’inizio la presenza del colore era estremamente limitata e le opere erano l’insieme di tonalità ridotte insieme a forme distribuite su varie superfici. Negli ultimi lavori però ho notato che sto usando sempre più colori. Per esempio, se io decido di dipingere con il rosso, si deve creare una giusta armonia con gli altri colori, una relazione che secondo me è importantissima. Ci sono quindi delle “pietre” che potrebbero essere per me non soltanto il colore, ma anche le linee, i puntini. Da queste pietre e da questi elementi nasce l’arco, una sorta di scheletro di un corpo che sostiene l’opera intera.
Ne Le città invisibili di Italo Calvino la tendenza nei confronti del reale è duplice: i tuoi lavori si ancorano al reale per trascenderlo?
La realtà rimane un riferimento imprescindibile sebbene rispetto alle serie precedenti ci sia stata un’evoluzione. Non mi limito a registrare, piuttosto rivendico una visione soggettiva rispetto al reale, operando una libera destrutturazione-ricostruzione verso la forma profonda. La ricerca attuale mette in dubbio l’esperienza di ciò che comunemente chiamiamo realtà: è unica e autentica e qual è la sua essenza? Mi interesso al processo, le mie opere anelano e invitano alla creazione di percorsi possibili: Dreamland è questo.
All’interno della tua ricerca come si situa il riferimento letterario?
Le città invisibili era una lettura consigliata da molti, lo volevo leggere e questa è stata l’occasione perfetta. Cerco sempre di percepire la potenza che ha lo scritto per capire se posso tradurre, grazie all’aiuto della mia mente, le parole in forme e in immagini. Sono dell’idea che ognuno interpreti e interiorizzi le parole a proprio modo, così da un solo testo scaturiscono anche centomila versioni differenti.
Ho lavorato a stretto contatto con lo spazio della libreria che oggi mi ospita; nella cripta ci sono alcuni lavori che ricordano un libro, quasi a voler far coincidere il mio lavoro con quello che avviene in questo contesto.
‒ Eleonora Ambrosini, Alessia Marcolongo, Nicolò Rizzo e Alessio Vigni
L’intervista è stata realizzata nell’ambito del corso di “Art Account Manager” organizzato da CESCOT Padova.
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