Lo strano caso del design di BBPR battuto all’asta
Il 28 settembre Artcurial batterà all’asta, tra gli altri pezzi di design italiano del Novecento, una panca targata BBPR e attribuita all’allestimento che gli architetti della Torre Velasca firmarono per il Castello Sforzesco. Una provenienza sbalorditiva che ha innescato un piccolo giallo estivo e stimolato una serie di riflessioni sulla tutela del design degli Anni Cinquanta e Sessanta, il “decennio d’oro” in cui l’Italia si afferma sulla scena internazionale grazie a una generazione straordinaria di progettisti e una committenza illuminata.
Il punto di partenza di questa storia è un annuncio, quello della terza edizione della “evening sale” dedicata al design italiano e al Razionalismo organizzata dalla casa d’aste parigina Artcurial in programma il 28 settembre. I lotti sono oltre un centinaio, con pezzi di grande e anche grandissimo pregio: tra loro c’è, per esempio, uno dei rari esemplari dipinti a mano della poltrona Proust di Alessandro Mendini, negli anni diventata un vero e proprio oggetto di culto. Il lotto 51, una panca lunga 79,5 centimetri in noce, acciaio placcato nero e ottone datata 1963, durante l’estate ha fatto strabuzzare gli occhi ad alcuni: la provenienza dichiarata è la Sala delle Asse del Castello Sforzesco. La panca farebbe parte, secondo Artcurial e secondo il venditore, la galleria monegasca Gate 5, dell’allestimento curato dallo studio BBPR per i Musei del Castello nell’ambito di una più generale riorganizzazione di spazi e funzioni realizzata in due tempi ‒ tra il 1954 e il 1956, e ancora nel 1963 ‒ seguita al restauro operato nell’immediato dopoguerra per riparare le cicatrici provocate dalle bombe.
In quel periodo i musei, da creare di sana pianta o da ricreare all’interno di monumenti storici, sono un importante banco di prova per alcuni tra i maggiori architetti italiani: negli stessi anni, per esempio, Franco Albini è impegnato nel riallestimento di Palazzo Bianco a Genova e Carlo Scarpa studia un suggestivo allestimento per il Museo Correr a Venezia. I BBPR, sigla dietro la quale si celano i tre architetti milanesi Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti, Ernesto Nathan Rogers che vollero conservare durante tutta la loro carriera la seconda delle due “B” in onore di Gian Luigi Banfi, il quarto componente del gruppo scomparso prematuramente, tra la seconda metà degli Anni Cinquanta e i primi Sessanta sono già un punto di riferimento culturale (il loro progetto più famoso, la Torre Velasca, viene ultimato nel 1958 al termine di un cantiere decennale) e il loro studio è già un vero e proprio laboratorio della modernità in salsa meneghina. Per i Musei del Castello, che con il loro intento didattico aspirano a una vasta risonanza popolare, creano una narrazione in cui gli oggetti esposti, gli arredi e l’architettura che ospita entrambi viaggiano di pari passo.
LA QUESTIONE DEGLI ARREDI DI BBPR
Come avrebbe fatto quindi, si sono chiesti in molti, milanesi e non, un elemento di arredo di così grande valore storico (ma anche commerciale) e appartenente a un’istituzione pubblica di primissimo piano a finire sul mercato? Consultando il sito della galleria, ci si rende conto che la panca lunga quasi ottanta centimetri affidata alla prestigiosa casa d’aste francese non è l’unico pezzo con la stessa provenienza dichiarata in vendita. Ci sono, come ha fatto notare Il Fatto Quotidiano in un articolo pubblicato il 18 agosto, altre due panche della stessa serie, una delle quali lunga ben tre metri, e un grande lampadario prodotto da ArteLuce ‒ l’azienda fondata da Gino Sarfatti ‒ su disegno dei BBPR. Il giallo relativo alla provenienza dei pezzi e alla possibile alienazione di importanti beni pubblici si è sgonfiato piuttosto in fretta: la Direzione del Castello Sforzesco ha smentito con decisione che gli arredi in questione provengano dalle sue sale, facendo notare come il lampadario della Sala del Tesoro della Torre Castellana (la sala citata sul sito di Gate 5 come prima localizzazione del pezzo) sia ancora al suo posto e come ArteLuce avesse, negli stessi anni, avviato una produzione seriale di lampadari modulari su disegno BBPR basati sul modello 2045 e molto simili a quello di sei metri e mezzo di diametro realizzato su commissione per il Castello. Quattro elementi della stessa forma, ma di diametro diverso, potevano essere combinati in vari modi, in aggregati simmetrici o asimmetrici, grazie a un sistema di giunti e dare vita a lampadari anche molto grandi. Per quanto riguarda le panche della Sala delle Asse, molto simili alle loro “sorelle” dislocate nei vari ambienti de Musei, sarebbero state semplicemente spostate in altre sale. “BBPR ha lavorato negli Anni Cinquanta e Sessanta, epoca della riproducibilità tecnica e delle economie di scala, e le imprese private producevano già oggetti e arredi in serie, anche su disegno di importanti designer”, si legge nella richiesta di rettifica inoltrata dal Comune di Milano ai colleghi del Fatto, accolta (con riserva) e pubblicata il 20 agosto. Il dato che Artcurial abbia modificato la scheda della panca che sarà battuta a fine settembre sembrerebbe dare ragione alla Soprintendenza.
“La Direzione del Castello Sforzesco ha smentito con decisione che gli arredi in questione provengano dalle sue sale”.
Rimane, invece, un dubbio non tanto sulla regolarità quanto sull’opportunità dell’esportazione del lampadario, avvenuta nel 2015 su richiesta di un antiquario bolognese e su autorizzazione dell’Ufficio Esportazioni di Bologna nonostante il parere contrario della Triennale, e più precisamente di Silvana Annicchiarico. Giudicando quel pezzo “un bene che per la sua unicità è da ritenersi un componente essenziale della cultura milanese e nazionale dell’epoca”, l’allora direttrice del Museo del Design italiano chiedeva un acquisto coatto al Ministero e si diceva disponibile ad accoglierlo nella collezione permanente del Museo. Una richiesta alla quale il Ministero non ha però dato seguito. Comunque sia, è importante riflettere su una serie di problemi: il rapporto tra gli arredi dei musei, specie se “d’autore” e ormai storicizzati, e le opere esposte, certo, ma soprattutto il nodo della tutela del design del Novecento, con tutta la difficoltà nell’arrivare a una attribuzione univoca quando si ha a che fare con oggetti seriali per definizione. “Da un lato, abbiamo assistito a una velocissima variazione dei gusti del mercato e questo è certamente un parametro da considerare”, ci spiega il presidente della Triennale Stefano Boeri, che ha seguito con attenzione la vicenda. “Fino a una decina di anni fa, gran parte del design italiano degli Anni Cinquanta e Sessanta aveva valori piuttosto bassi, incommensurabili con quelli attuali. Credo però che sia sempre necessaria una grande attenzione, soprattutto quando si tratta di arredi che si dice escano da musei pubblici”.
GLI ANNI D’ORO DEL DESIGN IN ITALIA
Tra le opere la cui circolazione internazionale è stata resa più semplice dalla cosiddetta legge Marcucci (o meglio, dall’omonimo emendamento al DDL Concorrenza del 2017), attraverso l’innalzamento, da 50 a 70 anni calcolati dal momento della produzione, del limite temporale necessario al riconoscimento di una rilevanza speciale ai fini della tutela, ci sono molte delle icone del design italiano, disegnate dai grandi maestri (i vari Castiglioni, Munari, BBPR e molti altri ancora) in quello che è passato alla storia come il periodo d’oro della disciplina nel nostro Paese, tra i primi Anni Cinquanta e la metà degli Anni Sessanta.
‒ Giulia Marani
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