Elisa Fuksas e la sua isola. Diario di malattia e quarantena in un film
Con il telefono ha filmato se stessa e dato spazio al suo stato d’animo e di paura. Elisa Fuksas ha presentato al Lido, nell’ambito di Venezia 77, un documentario che parla di se, della sua esperienza in quarantena in attesa di una telefonata per un intervento alla tiroide. Qui il telefono diventa confidente privato, gentile e riservato.
La malattia e il lockdown. Ci vuole coraggio per mettersi allo “specchio” e raccontarsi. iSola di Elisa Fuksas non è solo il racconto di una quarantena forzata per via della pandemia, ma è un diario di fragilità e al tempo stesso combattività. Il documentario è stato presentato alle Giornate degli Autori durante la 77esima Mostra del Cinema. Un film integralmente girato con la videocamera del proprio cellulare. La paura, l’attesa di un intervento importante rimandato, la distanza dalla famiglia, la compagnia della fede. Elisa Fuksas si lascia andare tra parole e immagini alla ricerca di qualcosa, forse della speranza che tutto possa andare per il verso giusto. La sorella, i genitori, il cagnolino, una vicina di casa, sono i suoi unici compagni di viaggio in questo diario solitario e lo sono in momenti sporadici. Elisa Fuksas è sola nella sua casa di Roma collegata con le persone tramite il cellulare che diventa non più un mezzo per sentirsi ma un vero amico a cui raccontare il proprio stato d’animo, le proprie emozioni, con cui condividere lo stato di preoccupazione e di sospensione.
Dal 26 febbraio 2020 ad ora, quindi dal giorno in cui ti hanno detto di doverti operare per un tumore alla tiroide, come è cambiato il tuo rapporto con la paura?
La paura è la radice del mio stare al mondo, per questo mi sono pure battezzata nel 2019, un anno prima di questo disastro, e un anno dopo mi sono operata di cancro. Diciamo che ho fatto il mio percorso e i miei test. La mia paura è forte e non perché io credo in Dio questa si è affievolita. In effetti aiuta ma non in una prospettiva di consolazione, rende più accettabile il casino che è stare al mondo.
Non molti hanno il coraggio, la forza, la lucidità di dire ad alta voce che hanno fede e che con questa sono quasi rinati. Tu in iSola più volte torni sulla religione…
È abbastanza strano. Chi crede o lo tiene per se o non accetta di ammetterlo. Io ho deciso di credere completamente. Tutto quello che faccio entra in quello che sono e quello che sono in quello che faccio, e credere in Dio non può non entrare in questo. Non vuol dire che sono un’altra, o una suora laica o un’ancella domini, anzi sono sempre io, faccio gli stessi errori e anche di più, perché c’è il perdono, la confessione – che non uso molto, per evitare di sbagliare ancora più di quello che ho sempre fatto. Mi sembra un po’ una narrazione, e dato che ho deciso di separare un po’ quello che racconto da quello che vivo pur restando attaccata a quello che sono, questo è un aspetto che non potevo evitare.
Un documentario personalissimo di cui sei regista e anche protagonista. Ti metti davanti l’obiettivo ma riesci a porre la giusta distanza per non invaderlo…
Il 99% del tempo sono un mostro, trascurata, brutta, gonfia di pianto, sempre con gli stessi vestiti, che poi sono i miei vestiti preferiti, quelli che ho usato in quel periodo in cui ci siamo tutti un po’ trasfigurati. All’inizio mi vedevo nello schermo e usavo l’obiettivo frontale, mi sentivo però bloccata, di cedere alla vanità, sono comunque una donna e a nessuno, uomini inclusi, odi farsi vedere distrutto. Ad un certo punto ho scelto di usare il telefono in modo misterioso, come se mi riprendesse qualcun altro. Spesso sono riprese che faccio io ma non sembra che le abbia fatte io perché ho trovato un modo, una distanza, una distanza massima per dimenticarmi anche che lo stavo facendo e a quel punto mi sono quasi sdoppiata, lo dico anche nel film, sono diventata un’altra me. Anche nel montaggio questo è stato utile perché non mi sono sentita io, era come un’attrice, una storia di finzione che potevo trattare con massima crudeltà.
L’arte dimenticherà mai il lockdow e questa pandemia?
Non dobbiamo dimenticare quello che è successo. Con l’11 settembre una città ha smesso, cambiato i suoi lineamenti. Qui, dato che un virus è qualcosa di invisibile, di intoccabile, di impalpabile e quindi facile da dimenticare. Se decidiamo di non dimenticarlo possiamo esplorare qualcosa di nuovo o anche per restare quello che siamo.
– Margherita Bordino
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