Spazi matriarcali, parte seconda (IV). Tempi interessanti

“Perché l’arte non prevede/prefigura (più) il futuro? Perché non è stata in grado di prevedere il virus, le mascherine, il distanziamento sociale e il lockdown? E perché adesso non prevede gli scenari del futuro immediato, le condizioni mutate e le reazioni possibili?” Nuovo capitolo della serie di saggi di Christian Caliandro sugli spazi matriarcali.

L’abbiamo già fatta la battuta, decine di volte, ma vale la pena ripeterla: sul Frecciarossa che mi porta a Foggia per gli esami dell’Accademia, infatti, la bustina di zucchero per il caffè è ancora quella della Biennale di Venezia 2019. May You Live in Interesting Times: sì, ci potete scommettere che sono stati tempi interessanti! Magari non proprio nel modo in cui aveva immaginato il direttore artistico di quella edizione – o gli artisti stessi, se è per questo. Ecco, perché l’arte non prevede/prefigura (più) il futuro? Perché non è stata in grado di prevedere il virus, le mascherine, il distanziamento sociale e il lockdown? E perché adesso non prevede gli scenari del futuro immediato, le condizioni mutate e le reazioni possibili? Eppure, sarebbe proprio questo (o almeno: dovrebbe essere questo) il suo ruolo. La sua funzione, una delle sue funzioni. L’abbiamo già detto molte volte, del resto: c’è stato un momento (posizionato grosso modo tra la fine degli Anni Sessanta e l’inizio degli Anni Settanta) in cui il presente dell’arte contemporanea si è come divaricato rispetto al presente tout court – per cui l’aggettivo “contemporanea” ha cominciato a significare qualcosa di leggermente ma sensibilmente diverso rispetto alla dimensione che identifichiamo come “contemporaneità”.

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Il loro piacere illecito / è consumato. Si alzano dal letto / e si vestono in fretta, silenziosi. / Escono separati, furtivi dalla casa; / e camminano inquieti per la via / quasi temendo che qualcosa in loro / riveli su che letto giacquero poco fa. // Ma che guadagno per la vita dell’artista. / Domani, doman l’altro o fra anni scriverà / i versi forti ch’ebbero origine da qui” (Costantino Kavafis, Le poesie, Einaudi 2015, p. 131).
Apertura – discussione – conversazione.
Con-pensare, con-dividere, con-vivere (Donna Haraway).
Tu lanci il suggerimento, l’input iniziale, e poi la riflessione prosegue attraverso i contributi degli altri cervelli.

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Aryan Ozmaei, Reverie, 2020

Aryan Ozmaei, Reverie, 2020

Il conflitto/contrasto tra pensiero maschile e femminile è ovunque.
Anche, per esempio, nel modo in cui la gente guida; oppure, nelle modalità di organizzazione della società, nelle scelte politiche e nelle visioni (o non-visioni) che le sottendono.
Una concezione femminile (orizzontale, antigerarchica, policentrica, inclusiva, partecipativa, collaborativa) è certamente molto più adeguata al momento attuale rispetto a quella maschile – ed è proprio quella che, in generale, manca.

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Niente più spese.
Niente più aperitivi.
Niente più spettacolo.
Niente più esclusione.
Niente più conservazione.
Niente più entertainment.
Niente più “volano”.
Niente più numeri da esibire.
Niente più affitti altissimi.
Niente più panini a dieci euro.
Niente più inutili negozi di design.
Niente più gallerie del cazzo.
Niente più fighetti spocchiosi convinti di essere al centro del mondo e che non esista nient’altro, incapaci di guardare oltre il proprio naso, cioè di considerare per esempio che oltre alla propria ci sono altre città e paesi, c’è un’intera nazione, ci sono una realtà e un immaginario da scoprire, da esplorare.

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Silvia Argiolas, Amatissima Maschera n. 15, 2020

Silvia Argiolas, Amatissima Maschera n. 15, 2020

All’origine c’è sempre il trauma: il trauma della perdita. La morte di una madre, per esempio, percepita una volta per tutte come affronto insanabile e somma ingiustizia. Questo trauma, sommato agli altri precedenti e successivi, causa la smania di essere amato, il desiderio vorace di affetto – e la paura feroce di essere abbandonato.
Ancora una volta.
Some people write about happy things, but it’s really easy to write about falling in love. That’s fine, because there has to be a place for music as pure escapism. But there’s also a place for reality in music, singing about home-truths. We’re not trying to depress people. On the contrary, we’re trying to lift people out of depression by telling ‘em they are non alone” (Layne Staley degli Alice in Chains, Metal Hammer, 1993).
E nonostante tutti gli sforzi di essere una persona decorosa, dignitosa, il semplice fatto di essere un uomo (un maschio) è comunque un handicap rilevante. Comporta una sorta di menomazione morale. Non capisci le cose, te le devono spiegare tre o quattro volte – e anche in quel caso, tu ti innervosirai e ti ostinerai a fare l’esatto contrario…
Sì ma le palle ragazzi, le palle.

Christian Caliandro

LE PUNTATE PRECEDENTI

Spazi matriarcali, parte seconda (I). Il pensiero femminile
Spazi matriarcali, parte seconda (II). La fine del patriarcato
Spazi matriarcali, parte seconda (III). La bellezza di essere vivi

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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