Cinque artisti e un poeta per Ugo Marano. A Salerno
Una piccola squadra di artisti è a Capriglia, in provincia di Salerno, in dialogo con l’opera di un visionario “radical-concettuale-utopico”.
Di tutti i lavori presenti nella mostra La casa dell’angelo curata da Marco Alfano e organizzata a Pellezzano da Scabec negli spazi del Complesso Monumentale dello Spirito Santo, le installazioni di Federica D’Ambrosio (La luna nel pozzo, 2020) e di Ivano Troisi (Macchina del riverbero, 2020) lasciano davvero, negli occhi, un senso di gioia insperata.
Elegantemente allacciata a un serbatoio preesistente da cui si erge con esili colonnine metalliche che vanno a formare un architrave su cui danzano figurini anamorfici, i cui prolungamenti ricordano le sperimentazioni di Ugo Marano (artista a cui è dedicata la mostra, non a caso il sottotitolo è 5 artisti per Ugo Marano) e al cui centro pende uno spicchio di luna, l’opera di Federica D’Ambrosio crea un accordo perfetto fra spazio espositivo, timbro personale e richiamo all’espressività di Marano. La luna nel pozzo è “una scultura in ferro di grandi dimensioni situata nell’antico cortile dell’Eremo (in corrispondenza del pozzo originale)”, avvisa l’artista nella scheda esplicativa. “Un ‘omino’ prende una luna che è in effetti una piastra di terracotta smaltata verde-ramino; l’uomo afferra la luna e dunque non è più un illuso, uno sciocco agli occhi del mondo. L’uomo raggiunge i suoi desideri, anche i più assurdi, quando con la mente riesce a cogliere la luna giù nel pozzo”.
LA MOSTRA A CAPRIGLIA
Ambientato nelle ex cisterne – negli ambienti ipogei dell’ex eremo –, il progetto di Troisi è, dal canto suo, un ambiente dove è lo spettatore, con i suoi passi, a innescare l’opera, a far vibrare una impiantito in grata metallica da cui alcuni pendenti ciondolano, toccano il pelo dell’acqua dove si formano cerchi concentrici che, grazie a un misurato effetto di luce, si dilata nello spazio come un’ombra soffiata, per estendersi e sussurrare poeticamente lungo le pareti ricurve dell’ambiente. La mostra in sé è molto ben articolata, e il percorso offre, accanto ad altre opere di questi artisti, i lavori magici di Paolo Bini che in occasione dell’opening ha progettato una performance pittorica (Il mare in tondo, 2020) di grande eleganza, di Christian Leperino (sua è soltanto un’installazione all’aperto un po’ barocca) e di un più agostato Antonio Buonfiglio che ha realizzato due tele e una scultura per ricordare un amico scomparso troppo presto. Non dimentichiamo che Ugo Marano (1943-2011), a cui è appunto dedicata questa mostra “artista-radical-concettuale-utopico”, così amava definirsi, è quello degli Arrugginibili, dei Piatti sonori, dei legni di San Matteo, dei mobili che Dorfles ha chiamato mitici (tra questi Il Mobile povero o napoletano) e, tra le tante altre cose, quello della Casa dell’angelo (opera del 1984 da cui viene il titolo di questa elegante mostra), dei Vasi misteriosi o delle indimenticabili Signore sedie: “fantastiche, ironiche, affettuose”, ha apostrofato Filiberto Menna nel recensire l’omonima mostra alla Bottegaccia di Salerno (20/5/1984).
MARANO E AMENDOLARA
Accanto ai lavori di Buonfiglio e Bini e D’Ambrosio e Leperino e Troisi, tra interno ed esterno, il visitatore incontra le sue Scultura 671 (1967), Scultura 672 (1967) e Scultura 685 (1968), il suo Tavolo per l’uomo solitario (1984) o anche La tavola del miliardario triste (2003) e ne riconosce ancora la forza, la grandiosa attualità.
C’è, proprio ad apertura della mostra, dove una serie di sei grandi vasi e disegni invitano al viaggio, in un angolo ben illuminato, una piccola storia che racconta l’amicizia tra Ugo Marano e Marco Amendolara (1968-2008), un poeta prezioso, forse l’ultimo poeta amico degli artisti, le cui parole si raccontano e nel raccontarsi mostrano l’ombra lunga dell’artista, “felice come una casa abitata”.
‒ Antonello Tolve
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