Caro Quino, piccolino. Il ricordo di Ferruccio Giromini
A poche ore dalla sua scomparsa, ricordiamo ancora Joaquín Salvador Lavado Tejón – meglio noto come Quino –, con un toccante saluto da parte di Ferruccio Giromini. Un omaggio all'animo malinconico e battagliero del grande fumettista
Quino: il piccolino Joaquín. Chi lo ha conosciuto di persona non può non ricordarlo con la tipica tenerezza che si riserva ai bimbetti tranquilli. Era una persona assolutamente deliziosa. Riservato, persino timido, educato, sorridente. E, certo, come qualsiasi umorista che si rispetti, con un trasparente fondo malinconico. Certo, come qualsiasi umorista che si rispetti, riusciva a vedere il mondo da punti di vista inediti, elaborando infiniti e sorprendenti pensieri laterali, e ciò lo rendeva una mente superiore. Inevitabilmente più realista, inevitabilmente più pessimista. E, intanto, come qualsiasi umorista che si rispetti, con la forza della volontà si voleva più ottimista, con titanica caparbietà.
NON SOLO MAFALDA
Si cita sempre Mafalda, l’indovinata creaturina che lo rese famoso, e va bene. Ma il Quino più grande e ancora più immortale risiede nei suoi cartoon, i disegni umoristici a tutta pagina, a volte a immagine unica e a volte suddivisi in sequenze, quasi sempre senza parole, in cui riusciva a condensare con fulminea precisione i più diversi piccoli grandi sgomenti esistenziali cui si può trovare davanti, indifeso, l’uomo qualunque. L’omino qualunque che si sentiva, teneramente, lui stesso, quel bambino piccolino assediato da un mondo, ora a lui indifferente e ora a lui ostile, che non riusciva a capire. Ma che comunque doveva accettare con una certa rassegnazione, e con altrettanta voglia educatamente ribollente di rivolta e riscatto. Dramma comune a molti (forse a tutti?), ma che nei suoi disegni si condensava in sublime tragicommedia. Sì, Quino è stato un grande, grandissimo interprete del nostro strambo tempo, quello a cui non riusciamo ad adeguarci. Con il suo tratto magistrale – ormai molto più evoluto di quello pur efficace ma basico delle strisce di Mafalda – fissava con precisione microscopica le mille assurdità del vivere piccolo: piccole paure, piccoli interrogativi, piccole rabbie, piccoli sgomenti. E in questa escavazione delle tante piccolezze care alla nostra umanità è stato il più grande.
DA MILANO A MENDOZA
Ci frequentavamo a Milano a partire dagli anni ’70, quando aveva lasciato l’Argentina fascista qui accolto dal suo abile agente Marcelo Ravoni, e da allora ci siamo visti saltuariamente invecchiare nel fisico e per forza un po’ anche nello spirito. Lui poi si era trasferito a Madrid e infine era tornato oltreoceano nella sua patria Mendoza. Lì gli è mancata la cara moglie Alicia, lì gli è mancata infine tristemente anche la vista. Cieco come Omero e Borges, cieco come chi ha visto meglio degli altri, come chi ha saputo meglio disegnare il mondo, ha chiuso gli occhi per sempre. Ma io lo ricorderò con lo sguardo bene aperto e sorridente dietro le lenti dei suoi occhiali, in particolare nelle lunghe serate settembrine di un ormai lontano Festival Komiks di Atene, dove ero riuscito a trascinarlo a fianco del colorato gruppo di allegri artisti Ultrapop. Avevano legato tra loro a meraviglia, quegli scatenati giovinastri e quel compìto anziano, tutti scambievolmente allegri, lui giovane dentro quanto loro giovani fuori. Caro Quino, piccolino.
– Ferruccio Giromini
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