Qual è il futuro dell’arte astratta?
In provincia di Como ha aperto una mostra che vede protagonisti due pittori, due astrattisti: Marco Grimaldi e Roberto Rizzo. A curarla è Angela Madesani, qui in un dialogo a tre. Per ragionare sul futuro di quel che non è figurativo.
Riportiamo qui parte della conversazione tra Marco Grimaldi, Roberto Rizzo e Angela Madesani realizzata in occasione della mostra La reinvenzione del quadro al 56 di Figino Serenza (Como).
Angela Madesani: Vincenzo Giustiniani, amatore d’arte, amico di Caravaggio, nella sua Lettera sopra la pittura (1620), scrive che l’artista era solito dire: “Tanta manifattura gli era a fare un quadro buono di fiori, come di figure”. Un’affermazione di portata eversiva. La differenza non sta nel contenuto, ma nella qualità della pittura che si divide in buona e cattiva. Sono passati quasi quattro secoli da questa potente affermazione, ma mi pare che essa possa essere ancora attuale.
Marco Grimaldi: Credo che la pittura oggi abbia limato molto le distinzioni e le ideologie che la nutrivano nei tempi passati. Attualmente si muove su posizioni più orizzontali, non credo che esistano più ideologie legate ad appartenenze, la ricerca è volta verso la qualità e verso la possibilità di muovere minimi equilibri, che possono portare a cambiamenti radicali.
Roberto Rizzo: La frase di Caravaggio sarà sempre attuale. Quando diciamo che la pittura si divide in buona e cattiva pittura ci dobbiamo, però, chiedere in che cosa consista la qualità di un’opera. La questione è particolarmente difficile oggi che il termine qualità, nell’arte, è un tabù, perché viene associato all’accademismo. Ma se manca la riflessione sulla qualità nell’arte contemporanea, la selezione viene affidata solo all’arbitrio del mercato. Forse dovremmo riconsiderare il concetto di “maniera” e vederlo in una nuova prospettiva, come capacità di “reinventare il medium”, per dirlo con le parole di Rosalind Krauss. Il mio lavoro parte sempre dal quadro, che per me è uno schermo non solo da attraversare, ma al quale ritornare. È il quadro come una soglia da attraversare, in quanto spazio fisico, e dalla quale rientrare per tornare al punto di vista dell’osservatore. Lo stesso taglio di Lucio Fontana è, contemporaneamente, attraversamento e segno pittorico, realtà e rappresentazione.
ARTISTI E SOCIETÀ
Credo che l’arte necessiti di riflessione, di studio, proprio per comprenderla anche nella sua portata eversiva. Gli artisti, quando davvero tali, e la storia ce lo dimostra, hanno analizzato i fenomeni, le problematiche anche sociali e politiche, assai prima della cosiddetta società civile.
Roberto Rizzo: Un artista deve credere fermamente in quello che fa. Il suo orizzonte è la macrostoria, non la microstoria. La storia è un campo dialettico in continua trasformazione e gli artisti, con il loro lavoro, provano a essere parte attiva di questa dialettica. Tornando un passo indietro, come dicevo, non credo al superamento della pittura, che per me è solo un artificio retorico. Ciò che mi interessa, piuttosto, è non dare nulla per scontato. La logica della pittura, per essere credibile, deve, necessariamente, ogni volta partire da zero.
Da qualche anno dipingo, oltre che sulla tavola di legno, anche sulla cartacemento, una specie di pietra artigianale che faccio io. La superficie che dipingo è così ricostruzione e reinvenzione dello spazio convenzionale del quadro, proiezione nello spazio e nel tempo passato e futuro. Un’esplosione della gabbia dell’eterno presente in cui ci troviamo.
Eterno presente che mi pare possa essere messo in crisi dal particolare momento che stiamo vivendo.
Marco Grimaldi: Nel lavoro, nella ricerca dei pittori contemporanei cerco sempre di capire come si sta interpretando la pittura e come si riesca, quindi, a trasformarla in un linguaggio originale. Questo vuol dire rapportarsi con la storia, in tal senso non intendo un atteggiamento postmodernista, tipico degli Anni Ottanta. Oggi è indispensabile trovarsi un” posto” e da lì ripartire per formulare un linguaggio che faccia i conti con l’evoluzione continua dei media. Credo che questa sia una possibile strada, per me l’unica, per ricostruire la decostruzione.
Marco, le tue affermazioni sono molto forti e ovviamente hanno a che fare con il concetto di reinvenzione del medium coniato da Rosalind Krauss.
Vorrei chiedere a entrambi di rispondere a una domanda alla quale Marco fa riferimento nella sua ultima risposta: qual è dunque il posto che vi siete ricavati?
Marco Grimaldi: Ogni volta che mi faccio questa domanda entro in crisi, però continuo a credere che dalla memoria si possa sempre ripartire per poter muovere la direzione del lavoro, questa è la cosa che mi spinge a entrare ogni giorno in studio.
Roberto Rizzo: Per quanto mi riguarda, ciò che desidero è ricostruire spazi e forme che contengano in sé, senza rimuoverla, l’esperienza decostruttiva dell’arte del Novecento. Il processo di decostruzione dello spazio dell’opera è per me un passaggio inevitabile in quanto appartiene alla mia formazione umana e culturale. Ma, poi, ricostruire la forma decostruita diventa indispensabile per uscire da questa condizione irrisolta e sospesa nella quale ci troviamo da troppo tempo.
‒ Angela Madesani
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