Immersi nel futuro: Conosciamo veramente il potenziale della VR?
Che cos’è la VR? Può essere rivolta a tutti o solo a una nicchia? La produzione italiana di contenuti immersivi a che punto è? Quali sono i festival cinematografici che hanno accolto contenuti VR? Immersi nel futuro fornisce tutti gli strumenti per comprendere questa nuove esperienze, tecnologia, e creare un interessante dibattito tra studiosi e broadcaster.
Simone Arcagni, professore del Dipartimento di Culture e Società dell’Università di Palermo, firma il volume Immersi nel futuro, il primo Libro Bianco sulla Realtà Virtuale. Interviste, dati, testimonianze per spiegare che cosa è la VR, quali sono le tecnologie utilizzate, cosa è stato fatto fino ad oggi e cosa può essere fatto nell’imminente futuro. Per essere precisi, Immersi nel futuro. La Realtà Virtuale, nuova frontiera del cinema e della TV è una vera e propria ricerca fortemente voluta e sostenuta da Rai Cinema che già da qualche anno ha sviluppato anche una app dedicata alla VR (Rai Cinema Channel VR). Un libro che nasce dall’esigenza di fornire uno strumento analitico e critico a chi opera nel contesto della produzione di contenuti immersivi e che fotografa perfettamente l’attuale situazione italiana. Che cos’è la VR? Che tipo di tecnologia è? A chi si rivolge? Di seguito la nostra conversazione con l’autore del libro.
La VR è un’esperienza totalmente immersiva. Scrivere un libro sulla VR che esperienza è?
È un libro meno personale rispetto a quelli che ho scritto in precedenza. È un lavoro di ricerca. Rai Cinema mi ha commissionato un lavoro di ricerca sulla VR e in particolare sui contenuti VR legati a cinema e televisione, quindi ho fatto partire con la mia cattedra all’Università di Palermo una vera e propria ricerca con collaboratori, e a cui hanno lavorato anche studenti. Una ricerca vera e propria: bibliografica con siti, saggi, volumi e articoli; interviste, andando a selezionare creativi, produttori, registi, direttori di festival; creando un comitato scientifico e uno tecnico mettendo insieme personalità che si stanno occupando di VR da più punti di vista, dall’informatica alla semiotica.
Come hai lavorato?
Messo insieme tutto questo materiale oltre a tutta una serie di appuntamenti nazionali e internazionali, io ho fatto un lavoro autoriale, una fotografia del recente passato della VR, le questioni tecnologiche emergenti quelle di stile, quelle produttive, quelle distributive, un focus sull’Italia, tutto guardando al next future, a quelle che potrebbero essere le problematiche dei prossimi anni. È un libro a 360° nel senso che è il frutto di una ricerca specifica, fatta per una focalizzazione precisa.
L’arte visiva tutta è concepita da sempre come immersione. Sia il teatro sia il cinema sono viaggi visivi. La VR cosa aggiunge?
Porta quest’idea di immersività, che come dici c’è già nel cinema e c’era già nell’arte pittorica, nella scultura, nella costruzione dei musei. Il museo è un dispositivo artistico immersivo ovviamente! Quello che porta in più è la possibilità di creare un mondo a 360°, cioè visitabile in maniera sferica, come il mondo reale, in più anche interattivo, cioè dal minimo di interattività, che cambia nel momento in cui lo guardiamo, al massimo di interattività con tutte le esperienze con i sensori. È un po’ il sogno di entrare in un mondo alternativo che risponde a delle regole molto simili a quelle del mondo reale ed è il motivo per cui è stata chiamata “realtà virtuale”, è una virtualizzazione degli aspetti che caratterizzano l’esperienza del reale. In molti casi una mancanza tecnologica mischiata magari a una incapacità produttiva e a delle poche capacità creative ne fanno una sorta di pseudo cinema col caschetto. La vera potenzialità sta in quei creativi che invece sanno veramente creare un mondo a 360° e fartici stare dentro in una maniera che non è quella del cinema, della televisione, in cui è sempre un’esperienza da spettatore, dove il termine stesso “spettatore” significa etimologicamente “colui che sta davanti”. Con la VR non si sta più davanti ma realmente nel mezzo.
I contenuti VR sviluppati fino ad ora si prestano maggiormente all’aspetto ludico del gioco, dei videogame. Secondo lei si sta facendo l’errore di pensare più alla tecnologia che allo storytelling?
Il fatto che si pensi subito al videoludico dipende dal fatto che in questo momento è il settore trainante, è il settore che investe di più, che crea più contenuti e che ha più risultati a livello di pubblico. È anche corretto di fatto che ci sia una certa attenzione verso l’oggetto del contenuto immersivo. I campi di applicazione della VR in questo momento sono tantissimi. Vanno dalle simulazioni per la difesa e per i militari alla ricerca aereospaziale, alla ricerca in campo scientifico, alla medicina, alla chirurgia, il turismo, la moda. Dior quest’anno tutte le sue sfilate le ha fatte in Realtà Virtuale. I campi di applicazione sono molti ma sicuramente nel campo dell’entertainment quello del videoludico è quello che ha avuto maggiore successo.
Spiegaci meglio…
Sicuramente in un primo momento l’interesse primario riguardava un dato tecnologico mentre le persone più curiose vogliono alla fine vogliono vedere dei contenuti, non vogliono vedere solo una tecnologia. I contenuti hanno faticato a venire fuori, spesso avevano problemi di costruzione. L’attenzione al contenuto e quindi allo storytelling è un’acquisizione piuttosto recente ed è quello su cui bisogna puntare. Quando i grandi player si lamentano che il boom della VR non c’è stato – perché è effettivamente così, non c’è stato – è dovuto al fatto che c’è stato prima un interesse maggiore per la tecnologia che per il contenuto.
Negli ultimi tempi qualcosa è cambiato?
Il trend adesso è stato invertito. Ci sono ancora parecchi problemi. Alcune piattaforme hanno dei contenuti e non altri, è difficile raggiungerle, il prezzo è spesso elevato, il caschetto comunque da dei fastidi, ecc. Ci sono ancora degli impedimenti ma almeno siamo arrivati al momento in cui lo sviluppo della tecnologia va di pari passo con lo sviluppo dei contenuti tant’è che tutti i grandi player hanno messo in piedi oltre che delle sezioni di research and development della tecnologia anche degli studi propri per realizzare dei contenuti. Adesso siamo in questo momento però siamo veramente ai primi balbettii di questo medium. È tutto da farsi e da costruirsi.
I contenuti italiani scarseggiano. Come mai l’Italia ha paura di investire nella VR?
Ci sono diversi fattori. C’è stata una sorta di arretratezza nei settori tecnologici tutti in Italia. La cosiddetta rivoluzione digitale ci ha visti un po’ impreparati anche nella produzione di videogiochi ci siamo fatti subito sorpassare. Adesso c’è una bella industria del videogioco italiana ma non siamo competitivi ancora con altri mercati così come non lo siamo stati in molti altri processi di sviluppi tecnologici compresa la VR. C’è quindi una questione produttiva italiana che è molto prudente, mettiamola così, nei confronti del nuovo e del nuovo tecnologico. A questo si aggiunge una difficoltà produttiva che è la stessa difficoltà che riscontra il cinema. Si produce poco, girano pochi soldi, per un mercato che è solo italiano, dove non girano molti soldi, e non ci sono grandi ricavi quello che viene investito è una minima parte rispetto ad altri Paesi dove ci sono grandi investimenti.
Quali sono i paesi invece all’avanguardia?
Ad esempio, la Francia che è molto avanti nella sperimentazione con la VR ha avuto da subito il suo più grande broadcaster, il suo servizio pubblico nazionale, che ha investito già cinque anni fa. Così come ha fatto in Gran Bretagna la BBC con grandi somme per la VR. La Rai c’è arrivata e questa è un’ottima notizia, però un po’ dopo gli altri. Rai Cinema VR è una app di due anni fa, quindi rimanendo in un’indagine europea c’è un gap di tre anni che adesso stanno cercando di colmare. Questo ha significato anche da parte dei produttori poca possibilità di trovare un’interfaccia per produrre esperienze VR in 360° e via dicendo. Delle produzioni italiani comunque ci sono, sia nel campo videoludico sia in quel campo più narrativo, di storytelling. C’è una buona scuola di documentario in VR secondo me in Italia. Abbiamo anche questo caso di VR free che è questo documentario selezionato sia Venezia due anni fa sia al Sundance Film Festival.
Alcuni festival stanno aprendo molto al VR…
Sundance Film Festival sicuramente e insieme al Tribeca di New York è un festival che da anni investe sulla VR e sui contenuti immersivi. Certo basta guardare l’ultima selezione della Mostra del Cinema che si può vedere che ci sono Paesi soprattutto asiatici come Giappone, Corea, Cina, che mettono sul piatto delle produzioni anche cifre molto importanti per la VR. I soldi non sono tutto nella creatività però nella creatività legata ad un mezzo tecnologico così dispendioso i soldi un minimo di differenza la fanno. Ci possono essere le migliori idee, le migliori creatività, però in progetti di questo tipo devi poter mettere molti soldi per far sì che quella creatività abbia la giusta resa.
Come immagina il futuro della VR?
Siamo in un processo in cui ci devono essere degli avvicinamenti. La VR deve essere in grado di trovare un proprio pubblico anche fuori dall’idea di cinema. Il pubblico deve poter essere in grado di accedere alla VR anche fuori dal contesto festivaliero. E ci devono essere critici o studiosi che abbiano voglia di incontrare queste forme linguistiche differenti. Per adesso va bene così e con calma servono maggiori occasioni per conoscere e frequentare.
–Margherita Bordino
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