Roberto Pietrosanti – Codicipietrosanti

Informazioni Evento

Luogo
DE CRESCENZO & VIESTI
Via Ferdinando Di Savoia 2, Roma, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

su appuntamento

Vernissage
26/10/2020

NO

Artisti
Roberto Pietrosanti
Generi
arte contemporanea, personale

Un nuovo, inedito lavoro: uno studio “genetico” della pittura.

Comunicato stampa

In riga, un colore dopo l’altro. Successioni di orizzonti cromatici in cui decantano opere note,
anche notissime, riecheggiate, intraviste, familiari oppure impigliate nella nostra memoria, a tratti
colta di sorpresa. Roberto Pietrosanti si serve dei fili per intessere un racconto ridotto a un solo
essenziale elemento: una storia della pittura attraverso il colore. Non un percorso canonico, ma
dettato dalle proprie personali corrispondenze. Un’indagine attraverso le creazioni di altri artisti,
alla ricerca di un metalinguaggio universale e insieme esclusivo.
Sono Codici, ovvero sistemi di segni che si combinano secondo criteri prestabiliti. Tavole di
ridotte dimensioni ideate in modo sequenziato e seriale, recinti tonali ritmati da assonanze e
divergenze, arazzi minimi in cui la materia ineffabile della luce prende corpo nel filo restituito alla
sua primaria natura, alla sua linearità sillabata. Si coglie il rigore di tanti altri lavori dello scultore,
che qui contiene e riduce il proprio vocabolario in uno spazio definito e misurato, composto
secondo regole austere. Pietrosanti mette alla prova l’invenzione sovrapponendosi allo sguardo di
maestri del passato, ripercorrendo i loro itinerari, insinuandosi nelle scelte creative,
appropriandosi del loro idioma per convertirlo in nuove soluzioni. Opera fine di traduttore,
munito del dizionario dei filati. Da Velázquez a Bacon, da De Chirico a Beato Angelico, con i
bagliori di ruggine di Scipione e gli acquatici frammenti di Monet, scorrendo gli ori di Pinturicchio,
le superfici smaltate di Antonello da Messina, i pigmenti stridenti degli espressionisti: quasi che una
pura astrazione cromatica permetta di cogliere infine la quintessenza autoriale, doviziosamente
filtrata attraverso le complicate curve di un alambicco.
Eppure a ben guardare questi rimandi dichiarati fungono anche da pretesti per una narrazione più
ampia, tesa a scompaginare la monocromia delle superfici pietrosantiane. Abituati a sculture in cui
la materia si sublima in perimetri di spazio – i fili che nei primi lavori definiscono porzioni d’aria in
calibrate geometrie – oppure si dichiara nella sua potenza primigenia, tra sfere metalliche
intrecciate, tavole intagliate e riassemblate, pulviscoli di spilli, ottoni sbalzati e martoriati,
assistiamo ora alla materializzazione, al prendere corpo di un concetto labile ed evanescente come
il colore. Un colore sostanziato, divenuto materia, prestato alla scultura, reso plastico, tattile,
solido. Non si tratta più della tavolozza dell’artista, fondata su terre naturali, bruni profondi, grigi
grafite, oltre all’onnipresenza del bianco. Come un navigatore che si inoltra in esplorazioni sempre
più ardite, Pietrosanti adotta il linguaggio di altri artisti prima di lui, asseconda i passaggi tonali
cinquecenteschi, o interroga le campiture nette dell’arte giapponese, profilate di china. Si
nasconde, si confonde, si diffonde nei colori degli altri.
Ma non rimane in balia delle onde: il processo di individuazione, calibratura, trasposizione è
governato da un pensiero lucido, che seleziona, pone in rapporto, stabilisce pesi e contrappesi.
Emerge con evidenza la necessità di ordinare e disciplinare entro un sistema controllato un
percorso altrimenti a rischio di deriva. Il canone prescelto segue una scansione ternaria: un primo
accostamento all’opera, quasi lasciandosi guidare, per bilanciare connessioni e interdipendenze; un
secondo di appropriazione più radicata, forte di una maggiore consuetudine; un terzo assai libero,
di interpretazione autentica, un colloquio da pari a pari, per così dire. Tre opere ad autore, tre
visioni interdipendenti distribuite in altrettante fasi di studio e decodifica, all’esito delle quali
prende forma una sorprendente architettura dello sguardo.
Uno scultore si traveste da pittore e scandaglia i secoli adoperando innumerevoli rocchetti di fili.
Ne sortiscono lavori di smagliante bellezza, codici di lettura dell’universo pittorico, che pungolano
i sensi e interpellano la nostra memoria, la nostra cultura.