Affaire Sgarbi-Caravaggio: l’appello delle associazioni culturali di Siracusa

Adesso la Provincia di Trento e il MART mantengano l’impegno dei 350mila euro promessi da Sgarbi per la salvaguardia del quadro di Caravaggio. Ecco l’appello di Giovanni di Lorenzo, presidente di DRACMA APS – Difesa Recupero Ambiente Cultura Monumenti Archeologia, Associazione di Promozione Sociale regolarmente iscritta al Registro del Terzo Settore.

Le vicende che ruotano attorno al prestito del Seppellimento di Santa Lucia di Caravaggio al MART di Trento e Rovereto sono molte e serie. Nonostante i tanti risvolti da farsa, o da teatro dell’assurdo, la questione è degna della massima attenzione perché gli attori in scena sono lo Stato, le istituzioni, la politica e uno tra i personaggi più noti d’Italia, Vittorio Sgarbi, che tra i tanti incarichi accumulati con nomina politica è anche presidente del MART, nei fatti svolgendo anche il compito di direttore artistico.
La “vittima” di tutta questa storia è uno dei maggiori capolavori della Storia dell’Arte, la grande tela del Caravaggio siracusano Seppellimento di Santa Lucia, bene culturale il cui prestito “forzato” sono stati in tanti a Siracusa a interpretarlo come uno schiaffo alla città. Città ripetutamente insultata anche su YouTube da Sgarbi che, non contento di aver ottenuto il quadro per la sua mostra, sente la necessità di scrivere nel suo saggio “di critica d’arte”, pubblicato in catalogo, che mentre “si sono levate ingiustificate polemiche, con interventi rozzi e meschini, la Provincia autonoma di Trento e il MART hanno garantito un intervento concreto”. Ovviamente Sgarbi scrive questo evitando di sottolineare che ha promesso 350mila euro da destinarsi – secondo quanto ha dichiarato anche dopo la partenza della tela – a interventi sul quadro.
Come nelle moderne fiction, che raccontano più fatti contemporaneamente, le vicende si intrecciano. In attesa che la Magistratura dia risposta alle denunce e agli esposti che, a nome dell’Associazione che presiedo, ho presentato a Siracusa e a Roma, per fatti diversi, vediamo di fare il punto della situazione andando con ordine.

IL DIPINTO DI CARAVAGGIO E IL PRESTITO AL MART

Innanzitutto c’è un dipinto che è stato spostato al MART per una mostra minore con motivazioni di tutela risultate non veritiere. Sgarbi ha ripetutamente dichiarato che il quadro aveva bisogno di un impellente restauro, che era necessaria una teca climatizzata, che la provincia di Trento avrebbe stanziato 350mila euro da spendere tutti per la salvaguardia del dipinto, favorendone il ricollocamento nella sua sede originaria.
Dalle relazioni dell’Istituto Centrale per il Restauro è risultato che il quadro non ha bisogno di un restauro impellente ed è poi venuto fuori che la teca lo avrebbe danneggiato. Dei 350mila euro promessi ripetutamente da Sgarbi non si parla più, e, da un accesso agli atti esercitato, la Provincia Autonoma di Trento sostiene di non avere adottato alcun atto relativamente al procedimento di prestito. Del loan fee iniziale di 100mila euro, il totale versato al FEC è stato di 130mila euro. Ed è adesso su questo che i comitati cittadini si battono: desiderano garanzie sugli interventi effettuati e da effettuare, perché, come ha scritto Vera Greco su queste pagine, il rientro del dipinto presso la Chiesa della Badia, sua sede naturale, non può prescindere da un serio – e reale – progetto di rilancio della Borgata Santa Lucia. Senza fumo negli occhi e senza far correre rischi, di alcuna natura, al Caravaggio siracusano. Su questo le varie associazioni stanno organizzando momenti di discussione e confronto per valutare quali sono gli interventi primari da realizzare con quel che resta dei 350mila euro inizialmente promessi.
Il quadro è stato preso, a nostro avviso, in ostaggio in maniera poco trasparente, e non solo per il parere negativo dell’Arcidiocesi, nei fatti vincolante in base ai vigenti accordi pattizi tra Stato e Chiesa. Si giustifica il prestito con un “affitto” di 130mila euro, ma si sorvola sul fatto che quella stessa cifra era stata ampiamente “consigliata” nella relazione della consulente del MART, incaricata di studiare la strategia per ottenere il prestito. La stessa, già nel dicembre 2019, prevedeva infatti di far dirottare altrove i 100mila euro destinati dal Ministero per il Caravaggio. Nella vaticinante relazione della consulente del MART è scritto: “Nel mese in corso, ho appreso e riferito al mio referente, dott.ssa Daniela Ferrari, che il 20 novembre scorso il sottosegretario Carlo Sibilia è stato a Siracusa e ha destinato (disposizione del 28 novembre) 100 mila euro nel Bilancio 2020 per il Caravaggio (è da verificare che la misura sia contenuta nella legge approvata il 24 dicembre). E dal momento che la Soprintendenza non aveva fatto menzione con la Proprietà della proposta del MART, ho puntualizzato che il fatto che il Ministero degli Interni fosse disponibile a impegnare delle risorse economiche non significa che se non ci fosse un finanziatore privato o un soggetto istituzionale come il MART il FEC non accoglierebbe con favore una sponsorizzazione, potendo, evidentemente destinare tali risorse ad altre ‘emergenze’ del patrimonio nelle sue disponibilità”. In buona sostanza se ne deduce che esisteva da tempo un piano che prevedeva di far dirottare altrove i 100mila euro destinati dal Ministero al dipinto di Caravaggio per far assumere al MART il ruolo di sponsor. Far dirottare i 100euro già promessi dal Ministero per il restauro del Caravaggio che ha permesso al MART di mettere sul piatto la sua offerta per il prestito.

Vittorio Sgarbi

Vittorio Sgarbi

IL DENARO STANZIATO DALLA REGIONE SICILIA

Si sappia che la Regione siciliana ha stanziato, in agosto, 600mila euro a sostegno di uno spot di Dolce e Gabbana e 200mila euro a settembre, che si sommano ad altri 58mila, stanziati dal Comune di Noto, e ad altri 100mila stanziati da privati, per un concerto di Bocelli e per una mostra di Mitoraj associati in un unico evento (peraltro con biglietti d’ingresso che vanno da 120 a 260 euro). È mai possibile che non fosse possibile trovare in Sicilia 100mila euro per spostare il dipinto di Caravaggio dalla Chiesa di Santa Lucia alla Badia in Piazza del Duomo alla sua sede originaria di Santa Lucia fuori le mura? Tra le altre cose, la coppia Sgarbi-Filippini è coinvolta nel progetto, posto che nella Delibera di Giunta del Comune di Noto, n° 118 del 15 Settembre, è scritto: “… per l’ottimale realizzazione dell’evento, nel suo insieme, si prevede la regia di Alberto Bartalini, curatela Vittorio Sgarbi, produttore Gianni Filippini – Mediatica World Company Ideas, etc”. L’interrogativo più importante sta nel capire cosa succederà se la soprintendente Aprile, ringraziata da Sgarbi per il suo sostegno, non riuscirà a fare in modo che la Chiesa di Santa Lucia fuori le mura sia pronta ad accogliere il quadro in tempo per il suo rientro, fissato – Covid permettendo ‒ per la prima settimana di dicembre. L’opera rientrerebbe a Siracusa per essere custodita da chi? Dal Museo Regionale Bellomo, come a Siracusa tutti auspicano, o preferirebbero lasciarla in deposito a Rovereto? Queste sono solo alcune delle preoccupazioni manifestate dalle associazioni culturali siracusane tanto denigrate da Sgarbi. Le polemiche sono rimaste a lungo circoscritte all’ambito regionale. A portarle a conoscenza del Paese è stato un articolo dal titolo Il metodo Sgarbi del critico d’arte e saggista Demetrio Paparoni, apparso il 15 ottobre sul quotidiano Domani, pubblicato, ahimè, quando il dipinto era già esposto al MART. Il paradosso è che Paparoni, che sulla questione non si era espresso prima e che non ha mai firmato nessuno degli appelli indirizzati alle varie autorità, nel suo articolo prende spunto dalle polemiche sollevate dal trasferimento del dipinto da Siracusa a Rovereto per mettere a fuoco in maniera lucida che “la strategia che consente a Sgarbi di accumulare incarichi come critico d’arte” si basa sul “forzare le porte delle istituzioni culturali con le leve della politica”.

IL METODO SGARBI SECONDO PAPARONI

Il metodo Sgarbi”, scrive Paparoni, “prevede che il critico si presenti alle elezioni pur sapendo che non sarà eletto, per poi barattare il ritiro o l’appoggio con la nomina di assessore alla cultura”. La disamina sul quotidiano Domani era dunque incentrata su una questione puramente culturale e politica, ma il peso del quotidiano da una parte, della firma dell’autore dall’altra, hanno ridato energia a una polemica che solo apparentemente sembrava andare a spegnersi. È adesso auspicabile che la discussione si sposti sulle pagine di Artribune, ed è infatti ad Artribune che le associazioni culturali di Siracusa rivolgono la loro attenzione in questo momento, in quanto testata che autorevolmente si occupa di questioni legate all’arte.
Nella sua replica del 22 ottobre sul quotidiano Domani, il solito onnipresente Sgarbi da una parte denuncia che “senza il suo intervento il Seppellimento di Santa Lucia sarebbe rimasto in precarie condizioni nella insalubre chiesa di Santa Lucia”. Ringrazia la soprintendente Donatella Aprile che ha dato parere favorevole al prestito al MART, dimenticando che se il dipinto fosse stato realmente in “condizioni precarie” le responsabilità cadrebbero proprio sulla Soprintendenza. Come in un teatro dell’assurdo in questa storia c’è tanta gente che si ringrazia vicendevolmente. Nessuno capisce il perché, viste le premesse, di tanta gratitudine.

Giovanni Di Lorenzo

LA REPLICA DI SILVIA MAZZA

Gentile Direttore,
chiedo rettifica, a norma della legge 416/1981, alle false dichiarazioni di Giovanni Di Lorenzo pubblicate su Artribune il 27 ottobre 2020 nell’articolo Affaire Sgarbi-Caravaggio: l’appello delle associazioni culturali di Siracusa, e per tanto gravemente lesive della reputazione professionale di chi, come la sottoscritta, ha lavorato al progetto che il Mart di Rovereto ha dedicato al Caravaggio siracusano.
Di Lorenzo, già diffidato dal mio legale, l’avv. Luigi Monaco del foro di Cosenza, per altre affermazioni false, e pertanto diffamatorie, al mio indirizzo, sempre in riferimento al progetto Mart, in questo caso evita di nominarmi, il che è del tutto irrilevante ai fini della responsabilità civile e penale, come testimoniato anche da recenti sentenze giudiziarie.
Ciò premesso, vorrei precisare anche che siamo in presenza di un’associazione, Dracma, di cui abbiamo appreso l’esistenza in occasione del progetto del Mart per il Caravaggio siracusano, mentre Legambiente, che può vantare ben altra storia in difesa del patrimonio culturale e ambientale, si è detta “favorevole” al progetto e ha stigmatizzato come “provinciali coloro i quali hanno creato un inutile polverone, cercando solo pubblicità con facili slogan e inutili allarmismi”.
A rettifica, dunque, di quanto falsamente scritto fornisco la mia lettera pubblicata dal quotidiano Domani come controreplica al critico Demetrio Paparoni, che aveva utilizzato le stesse asserzioni infondate e calunniose apparse ora a firma di Di Lorenzo su Artribune. Riporto integralmente la mia lettera al fine di poter ripristinare la verità rispetto anche ad altri aspetti del progetto Caravaggio, travisati o intenzionalmente mistificati dai detrattori. Per cui invito, anche, i lettori a leggere interamente il botta e risposta sul Domani.

LA LETTERA AL QUOTIDIANO DOMANI

Gentile Direttore Feltri,
dopo mesi di una sterile, infondata ed estenuante polemica consumata sulla stampa locale siracusana, dispiace che un critico come Paparoni si sia lasciato coinvolgere sulla base di informazioni parziali e false, come riconfermo anche dopo la sua controreplica. Quest’ultima, infatti, lungi dal confutare “punto per punto” quanto ho chiarito, è prova di un procedere contraddittorio e diventa spunto per l’introduzione di nuovi elementi (scrive: “mi permette di chiarire aspetti della questione che per limiti di spazio non avevo potuto trattare”) che aggravano l’intenzione diffamatoria. Se nell’articolo del 15 ottobre avevo avvertito le sue dichiarazioni come gravemente lesive della reputazione professionale di chi, come me, ha lavorato al progetto del Mart, nella controreplica apparsa sul sito internet del Domani si palesa in modo esplicito il suo intento calunnioso, rinforzato dai commenti che il critico consegna al suo profilo facebook, dove mi definisce “questa signora, che non avevo mai sentito nominare prima”. Diciamo che mi consola il fatto che la prima firma del Corriere della Sera Gian Antonio Stella mi abbia riconosciuta, nell’articolo che ho richiamato nella precedente lettera, “giornalista specializzata sui temi culturali”.
Chiedo anche a Paparoni di chiarire a cosa si riferisce quando allude: “Lei certamente avrà buoni motivi per essere grata a Sgarbi”. L’allusione ai fini diffamatori può essere persino un “metodo” peggiore di quelli che lui addebita a Vittorio Sgarbi.
In ogni caso, mi riporto a quanto dichiarato in data 25/11/2019 dal ns. Presidente della Repubblica e cioè: “Sminuire il valore di una donna e non riconoscerne i meriti nella vita pubblica e privata con linguaggi non appropriati e atti di deliberata discriminazione contribuisce ad alimentare il clima di violenza”.
Ad ogni buon conto, sono, dunque, costretta a chiederle di nuovo diritto di replica ex l. 416/1981. La mia sì, a differenza di Paparoni, punto per punto.
Paparoni prende atto e nulla ha da obiettare su tutta la prima parte in cui ricostruisco sia le premesse e la storia del “caso Caravaggio”, di cui mi sono occupata su Il Giornale dell’Arte a partire dal 2015, sia i reali contenuti del progetto del Mart, di cui evidentemente era all’oscuro, o, peggio, non ha inteso approfondire, preso com’era, lui che è un “tecnico”, dalle “implicazioni politiche” della mostra “su cui è bene soffermarsi”, scriveva il 15 ottobre su queste colonne.
Venendo, quindi, ai presunti chiarimenti, non ho affatto travisato le sue parole.
E a conforto di quanto dico cito proprio le sue, di parole: quando scrive che “i cataloghi delle mostra nascono dall’esigenza di affrontare criticamente questioni legate alla teoria dell’arte per lasciare un documento utile agli studiosi. Dilungarsi in un testo che dovrebbe affrontare questioni legate alla teoria dell’arte (…)” non stava parlando proprio del catalogo? Peraltro, proprio il titoletto della colonna è Il catalogo: evidentemente anche al redattore è stato impossibile fraintendere che a questo si riferiva. Eppure, ora si contraddice affermando che il virgolettato di cui sopra “io non l’ho scritto del catalogo, ma della mostra”.
La contraddizione è in agguato, ci casca pure immediatamente dopo. Paparoni scrive, infatti: “ho trovato interessante quello [il testo, N.d.C.] di Keith Sciberras”. Ma non starà forse dicendo che non era vero quello che scriveva il 15 ottobre e, cioè, che leggendo adesso meglio, lo ha invece trovato “un documento utile agli studiosi”, di cui in prima battuta diceva difettare il catalogo? Parlando di Maraniello, poi, più che “chiarire” (uso sempre il termine che gli preme usare nella sua controreplica) il suo pensiero, sorvola sulla sua falsa affermazione, in quanto priva di riscontro documentale (“il cda presieduto da Sgarbi non avrebbe riconfermato il direttore uscente”), più interessato a definire il nuovo direttore del Mart Ferretti un “manager”, quando invece si tratta di un dirigente interno al museo. Una scelta, anche, che ha fatto risparmiare l’Amministrazione, e di questi tempi, non dovendo corrispondere uno stipendio a un esterno. È pacifico, invece, che Sgarbi usi il termine per dire che “se va via Ferretti” verrà assunto un direttore-manager.
Paparoni cita, poi, brani della mia relazione, con un taglia e cuci ad hoc che, secondo lui, gli consentirebbe di confermare che il prestito sia il frutto di “un piano ben architettato”. Ma non aveva scritto l’altra volta che “il prestito è stato ottenuto ottemperando a tutte le trafile istituzionali e burocratiche”? Spieghi meglio a me e ai lettori quale sarebbe l’accusa che mi sta rivolgendo. Non sarà, forse, che mi sta attribuendo la responsabilità di un qualche illecito? Perché è evidente la sua intenzione diffamatoria? Perché, malgrado nella mia replica (ma è scritto anche in un passaggio della relazione che lui si guarda bene dal citare) avessi chiarito che i dati sulle condizioni conservative del dipinto e quelle ambientali delle due chiese erano state consegnate alle campagne diagnostiche condotte dal Centro per il Restauro di Palermo (CRPR), lascia intendere in modo fraudolento che quelle condizioni siano una invenzione mia e di Sgarbi. Non volendo fare un torto alla sua capacità di comprensione letterale del mio testo, sono costretta ancora a pensare che egli intenda intenzionalmente ignorare, o peggio fraintendere a bella posta, quello che ho già spiegato l’altra volta: l’accertamento delle reali, attuali condizioni del dipinto è stata richiesta dalla Soprintendenza proprio nell’ambito del progetto Mart. Pongo la questione in maniera più accessibile: nella mia relazione, come prima in tutti i miei articoli giornalistici, intendo dire “questo è ciò che le relazioni tecniche CRPR dicono, vogliamo verificarlo affidandoci ai massimi esperti?”. Ma Paparoni lo ha chiaro quando cita le relazioni del dott. Bartolini e del dott. Ciabattoni, dell’ICR, che non sono precedenti a quella richiesta, e che le relazioni che si avevano a disposizione all’avvio del progetto erano solo quelle del CRPR?
Paparoni ricorda che nella mia relazione, ovvero in un documento a uso interno al museo e non rivolto di certo a una platea pubblica, definivo la tela “fragilissima”. Quale fosse l’opinione comune sulle condizioni del dipinto lo chieda alle sue fonti, che lanciando una raccolta di firme sulla piattaforma Change.org hanno presentato l’opera come in “precarie condizioni”, “fragilissimo dipinto”, condizione quest’ultima che poteva essere invece certificata solo su basi scientifiche come appunto fatto dall’ICR. Verificare su basi oggettive: mentre ai promotori di quella fraudolenta raccolta di firme non interessava, questa è stata sempre la mia posizione, dagli articoli giornalistici alla relazione tecnica. E proprio nella relazione chiarivo le ragioni di questa necessità, ricordando pure le difficoltà in cui versa il Centro regionale, che pur coinvolto e chiamato a fornire il proprio di parere, ha dovuto riconoscere di non possedere i mezzi necessari per condurre le nuove indagini diagnostiche, come poi è stato possibile all’ICR.
Il critico ritorna pure, malgrado le mie puntualizzazioni, sulla cifra stanziata di 350mila euro: continua, cioè, a non avere chiaro che si è potuto definire quali interventi fossero necessari solo a seguito di quanto richiesto dalla Soprintendenza. Nel documento di richiesta di prestito dell’opera è evidente che non si avesse nessuna intenzione di prevaricare l’organo preposto alla tutela. Si legge, infatti, che “lo stanziamento di loan fee di 100.000 euro”, poi portato a 130.000, è “comprensivo di tutto quanto necessario ai fini degli interventi ritenuti opportuni per la tutela e la valorizzazione dell’opera, sotto il coordinamento degli organi competenti”. È chiaro? Nessuna prevaricazione, dicevo. Il climabox era stato preso in considerazione da Sgarbi perché delle sua necessità erano convinti in precedenza CRPR e la Soprintendenza.
E vengo ora a quello che secondo Paparoni sarebbe “l’aspetto più grave della faccenda”, quando invece è il passaggio più grave della sua diffamazione a me rivolta. Afferma che io avrei addirittura fatto “dirottare altrove i 100mila euro destinati dal Ministero per il restauro e la messa in sicurezza del quadro per far subentrare il Mart come sponsor”. E lo afferma senza ombra di dubbio, come se fosse avvenuto: “il Fec dirotta altrove i centomila euro già destinati al Caravaggio”. E ancora parla di “effetto del dirottamento di questa cifra”, appunto come se fosse un dato di fatto appurato. Addirittura lui, non io, sa che questi centomila euro stanziati (sottolineo che lui lo dà sempre per certo) sarebbero serviti “a restaurare il quadro nei locali del museo Bellomo di Siracusa”. Ma, mi dica, come mai ha questa granitica certezza, dal momento che cita pure il passaggio in cui dico che è necessario “verificare” che la cifra fosse stata effettivamente stanziata?
E, dunque, faccio presente a Paparoni, che lo sa dal momento che lo riporta nel suo virgolettato, che in quel passaggio della mia relazione ricordo ciò di cui avevo messo al corrente il mio interlocutore, che era semplicemente una funzionaria del museo, alla quale riferivo di quello che a mia volta mi era stato riferito circa un impegno che il sottosegretario Sibilia si sarebbe assunto sul posto, a Siracusa, ma che di fatto non si è mai verificato. Nulla di strano, dato che da anni tutti, dalle istituzioni ai politici fino agli odierni detrattori, sono stati capaci solo di promesse e che i fatti sono solo quelli alla fine dimostrati dal Mart e dal suo Presidente Sgarbi. È vero anche che il Fec, come dicevo l’altra volta, a corto di fondi, ben accetta l’intervento di soggetti privati (nel nostro caso c’è il valore aggiunto che si tratti di un museo). Lo si legge proprio sul sito del Ministero dell’Interno: “La conservazione e i restauri vengono assicurati (…) tramite sponsorizzazioni”. Ed è altrettanto evidente, purtroppo, che queste ultime non possano che essere attratte dalle grandi opere che assicurano un ritorno di immagine allo sponsor, a discapito di un patrimonio cosiddetto minore, ma altrettanto bisognoso di manutenzione. Se c’è chi provvede per un’opera “big”, il Fec riesce forse a destinare i propri magri fondi per quella quota di patrimonio che non gode di santi in paradiso. Ma, ripeto, non è il nostro caso, perché il Fec non ha stanziato, né tanto più dirottato, fondi per il Caravaggio. E’ solo Paparoni ad asserirlo e, conseguentemente, è chiamato a provare questa sua certezza.
Quanto alla soluzione espositiva e conservativa, chiesa della Borgata o Bellomo, il critico vuole insinuare un difetto di coerenza da parte mia, che invece non c’è. Nel convegno sul “caso” Caravaggio che avevo promosso nel 2017 al Bellomo con l’allora direttore Lorenzo Guzzardi, avevo sostenuto la restituzione dell’opera alla chiesa originaria “con argomentazioni anche inedite utili a sottolinearne ulteriormente l’intima connessione storico-artistica col monumento”. Lo scrivo in un mio articolo di quello stesso anno, che concludo con un amaro quanto realistico interrogativo: “Se ancora una volta non ci si dimostrerà all’altezza del compito, non sarà allora tanto meglio ripensare seriamente a una definitiva musealizzazione del capolavoro?”. È quello che ho poi effettivamente proposto, come lui ricorda (male, con superficialità di nuovo: non ero “consulente”, ma componente dell’Ufficio di Gabinetto), a Sgarbi, allora Assessore regionale ai Beni culturali. Si trattava, infatti, dell’unica soluzione a costo zero (il Bellomo, che è un museo regionale, disponeva di una sala già climatizzata e dotata di antifurto) perseguibile da un Assessorato a corto di fondi. Un Assessorato della Regione Siciliana, che tanto altro non poteva fare, dato che, non dimentichiamolo, l’opera appartiene allo Stato. Si trattava di una soluzione che ritenevo praticabile (interrotta dalla improvvisa conclusione del mandato di Sgarbi), così come in precedenza avevo proposto alla società civile siracusana un crowfunding (denominato Un’Azione per il Caravaggio), che a nessuno, compresi gli attuali detrattori, è interessato sostenere. In questo clima di inerzia totale che si protraeva da ben undici anni, quando mi è stato proposto di collaborare al progetto Mart ho pensato che finalmente sarebbe stata la volta buona, dato che la mancanza di fondi fino a quel momento era stata la ragione principale del fallimento di ogni tentativo.
Infine, Paparoni riesce a fare ancora confusione: un conto è la proprietà del bene, che è del Fec, fino a prova contraria, che non è stata affatto prodotta dall’avv. Salvo Salerno da lui menzionato; altro è il protocollo d’intesa con la Regione Siciliana utile al raggiungimento proprio di quell’accordo tra enti ex art. 112 del Codice dei Beni culturali, di cui secondo l’avvocato difetta il progetto Caravaggio e di cui, invece, c’è prova di volontà proprio nella mia relazione, anche se Paparoni pure questo passaggio lo salta. Una buona prassi, ma non obbligatoria, come ancora vorrebbe il Salerno. La concertazione può mancare: l’art. 112, c. 5 dispone, infatti, che “in assenza di accordo, ciascun soggetto pubblico è tenuto a garantire la valorizzazione dei beni di cui ha comunque la disponibilità”. Come avvenuto – un esempio tra tanti, per restare in Sicilia – la mostra dopo il restauro degli stucchi del Serpotta nella Chiesa di Santo Spirito ad Agrigento, altro bene di proprietà del Fec, che ha visto come unica sinergia quella tra il Fec e la Soprintendenza. Discorso valido anche per l’accordo culturale tra Comune e Mart che stava tentando l’Assessore Fabio Granata. Accordi paralizzati, non è improbabile ritenere, proprio dall’accanita polemica condotta dal Patto civico a cui ha aderito il Salerno, che mi stupisce aver preso tanti abbagli in questa vicenda, essendomi fatta a suo tempo diversa opinione di lui, per aver raccolto nei miei articoli la sua triste storia di dirigente competente della Regione Siciliana a suo dire fatto oggetto di mobbing, e che pure mi aveva proposto di recensire un suo romanzo (con tanto di lettera di accompagnamento).
Grazie per l’attenzione, gentile direttore, e per lo spazio che mi avrà dedicato. Non tornerò più sull’argomento, se non nelle competenti sedi giudiziarie, dove, assistita dall’avvocato Luigi Monaco, del foro di Cosenza, chiederò conto di tutte le diffamazioni subite.

Silvia Mazza, storica dell’arte e giornalista, responsabile del “coordinamento tecnico delle procedure inerenti il prestito e l’intervento conservativo dell’opera”.

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