Marmo contemporaneo. Quattro opere di Michelangelo Galliani a Milano
La Basilica di San Celso a Milano fa da cornice alle opere di scultoree di Michelangelo Galliani. Per una riflessione sulle peculiarità della materia.
Michelangelo Galliani (Montecchio Emilia, 1975) giunge in mostra alla Basilica di San Celso a Milano esprimendo appieno il senso della gravità, travestita di leggerezza, che da sempre appartiene al suo approccio creativo. Lo scultore emiliano, che lavora con la Cris Contini Contemporary di Londra, ama infatti realizzare opere che siano sì funzionali a racconti contemporanei, spesso venati anche d’ironia, ma che alludano a ciò che di drammaticamente umano si cela nelle profondità di quella materia così congeniale al suo immaginario poetico nutrito di classicità: il candido marmo di Carrara.
Ecco dunque porsi armoniosamente all’interno della chiesa romanica milanese, sotto le volte scandite dalle cromie del cotto e della pietra dei capitelli millenari, solo quattro opere di Galliani, a sintesi del sofferto percorso artistico da lui compiuto negli ultimi dieci anni.
IL CORPO E LA MATERIA PER MICHELANGELO GALLIANI
Focus dell’allestimento è lo struggente corpo di donna modellato in cera che appare,
adagiato su un letto di piombo, al limitare dell’abside. L’opera, del 2010, ha titolo Col tempo ed è intimamente connessa al significato delle altre sculture presentate in mostra. È infatti il tema dell’effimero ad alimentare anche le due sculture-frammento dall’impeccabile modellato, Fuggi e Rebus Vitae (2018), imprigionate nella rete dell’enigma in quanto parti di un tutto di cui si coglie l’allusività, ma non l’interezza espressiva, e perché soggette all’intromissione di elementi estranei – petali di vetro e chiodi d’acciaio – che creano détournement nella percezione del messaggio concettuale.
Infine, Twins (2020), una bambina ormai alle soglie della pubertà, la figlia di Galliani, seduta sul guscio di una testuggine. Sospese tra fiaba e quotidianità, mito e paradosso filosofico, le due figure si riassumono nella loro compiutezza conciliando allegoria e realtà e conseguendo il fine stesso dell’esposizione che si esplicita nell’eloquente titolo adINTEGRUM.
‒ Alessandra Quattordio
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