Intervista a Marco Siciliano: la residenza a Futurdome a Milano e i suoi libri d’artista
Il museo indipendente Futurdome ha ospitato per un mese, all’interno del progetto di residenze artistiche a-i-r, l’artista Marco Siciliano, impegnato nella creazione di una serie di libri d’artista. Il 29 ottobre ha inaugurato la mostra a conclusione dell’esperienza. Ce la racconta l’artista.
Trenta giorni esatti per ideare, creare e produrre una serie di volumi e libri concepiti come oggetti d’arte. Marco Siciliano, artista italiano trapiantato a Berlino, torna a Milano nella palazzina Liberty di via Paisiello 6 per un progetto curato da Atto Belloli Ardessi. Durante la residenza Siciliano si è concentrato sulla creazione di libri d’artista a edizione limitata, interamente sviluppati all’interno dello spazio di FuturDome. Nel suo studio temporaneo – quattro stanze bianche, una scrivania e le sue opere sparse – Marco Siciliano è seduto davanti a una portafinestra, impegnato nella rilegatura di uno dei suoi libri, con ago e filo che scorre dalle mani ai volumi sulle sue ginocchia. Sembrerebbe quasi un tributo alla cultura e all’artigianato della sua terra d’origine, la Sicilia, se tra le mani non avesse un volume nero, Take a Pause, all’interno del quale figurano caleidoscopiche immagini di corpi maschili impegnati in atti sessuali. Sono screenshot di porno gay, moltiplicati fino all’annullamento del loro significato, tanto da essere diventati pattern decorativi, carta da parati per il ripostiglio del suo studio milanese che sarà aperto al pubblico dal 29 al 31 ottobre. Ci racconta il progetto lo stesso artista.
Come ti sei avvicinato alla pratica di creazione di libri d’artista e come questa si inserisca nel tuo lavoro?
È stato durante gli anni di studio universitario che mi sono reso conto che qualunque progetto poteva essere tradotto in un’esperienza tattile attraverso la forma libro. Ho quindi cominciato ad appassionarmi al mondo dell’editoria indipendente e al mondo delle fanzine, grazie anche ad eventi come Sprint Milano o la Paris Ass Book Fair al Palais du Tokyo, fiera alla quale ho poi partecipato con i miei primi libri. Non avendo un media di predilezione per il mio lavoro trovo poi che il libro d’artista sia la maniera perfetta per in qualche modo “archiviarla” e condividerla in una maniera più intima. Un’esperienza visiva, come quella di osservare una fotografia, trasposta nella forma cartacea del libro acquisisce un’ulteriore sfaccettatura di intimità. Toccare il libro, sfogliarlo, persino decidere comesfogliarlo permette a chi ce l’ha in mano di entrare in una sorta di “stanza” all’interno della quale io posso guidare il visitatore attraverso le pagine.
In effetti anche nelle tue opere è quasi sempre presente una componente corporea accostata a quella materica. Gli oggetti non sono mai solo tali ma sono sempre oggetti utilizzati (come i cerotti o i materassi in due dei tuoi libri). Perché?
Il corpo è un tema importante per la mia ricerca. Il corpo che appare, che cerca di nascondersi o scomparire. Ma soprattutto il corpo in relazione agli oggetti. L’utilizzo dei materiali di uso comune è dato dal fatto che sono elementi con cui tutti abbiamo un rapporto, e dunque possiamo rivederci in relazione a essi. Quando abitavo a Parigi nell’osservare lungo le strade materassi sporchi e vissuti avevo l’impressione che quegli oggetti fossero essi stessi corpi abbandonati sotto lo sguardo di tutti. Su di loro c’era infatti la traccia tangibile delle persone che ci avevano dormito sopra, dei corpi che li avevano utilizzati prima di gettarli per la strada. È proprio questa per me l’intuizione interessante, l’idea che gli oggetti in qualche modo ci assorbano, che assumano persino un diverso significato in base a chi li possiede. Un cerotto, per esempio, una volta utilizzato si carica non solo di un gesto ma anche di un significato ben preciso. Ogni oggetto che entra in contatto con un corpo ne è in qualche modo trasformato.
In altre tue opere invece ti concentri unicamente sui corpi. Mi vengono in mente i collage in cui fai interagire un corpo “cucito” e un corpo fotografato. Il loro tentativo di entrare in contatto provoca lacerazioni. Cosa significa secondo te, considerato il tempo in cui viviamo, interrogarsi sul tema della prossemica?
Mi ha sempre affascinato l’idea che in base alle culture e ai costrutti sociali presenti in diverse parti del mondo vi siano distanze considerate “ottimali” tra le persone. In Occidente, prima della pandemia, la distanza tra i corpi era di media 60 cm. Adesso la distanza è raddoppiata. Ci siamo allontanati… Certo, non possiamo più annusarci o raggiungerci, ma abbiamo adesso la possibilità di vedere i corpi nella loro interezza, di abbracciarli con lo sguardo. Le nostre percezioni al momento sono cambiate e questo ha aumentato la necessità di trovare modi nuovi per comunicare.
Su quali temi invece ti sei concentrato durante questo periodo. E come li hai tradotti nella produzione di libri d’artista?
I miei libri di artista sono in qualche modo delle collezioni. Nei miei libri la ripetizione dà valore elementi che presi singolarmente passerebbero inosservati.
Durante la mia residenza qui a FuturDome mi sono concentrato su due distinti progetti: il primo, effeuiller la marguerite, è ispirato al gioco che abbiamo fatto tutti da bambini, il “m’ama-non m’ama”. Ho voluto ragionare sul dolore psicosomatico e sulle conseguenze fisiche del male d’amore.
Il secondo, invece, è una collezione di messaggi ricevuti qualche mese fa, quando mi sono trasferito a Berlino. È una collezione di “come stai?” ai quali non ho saputo rispondere, domande che mi venivano fatte sui social, luogo in cui tutti ci vorrebbero sempre presenti. In questo mese mi sono preso il tempo di riflettere e di rispondere a modo mio. Infine, con la curatela di Atto Belloli Ardessi ho interpretato le mura di FutureDome in un terzo libro.
A proposito, so che ti sei trasferito a Berlino praticamente a ridosso del lockdown. In che modo hai affrontato questo periodo e come ha influenzato il tuo lavoro?
Ho percepito molto lo sfasamento tra le notizie che ricevevo dall’Italia e la gestione assai diversa della medesima emergenza in Germania. Il mio rapporto con le news è stato il tema principale di una performance che ho fatto a Tempelhofer Feld, il vecchio aeroporto di Berlino Ovest. Su una pista in disuso ho riprodotto la mia stanza (18mq) piena di oggetti e riempita di fogli bianchi – pagine di libri e news accumulate. Alla fine della performance le pagine attaccate al suolo vengono sfogliate e lette dal vento mentre un corpo porta via le sue parole, i suoi oggetti e le sue coordinate.
–Giulia Ottaviano
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