La fotografia surrealista e sensuale di Guy Bourdin
La figura femminile, e soprattutto le sue gambe, sono le protagoniste assolute degli scatti di Guy Bourdin. In un mix di erotismo e atmosfere surreali.
“Saran belli gli occhi neri, saran belli gli occhi blu, ma le gambe, ma le gambe, a me piacciono di più. Saran belli gli occhi azzurri e il nasino un po’ all’insù, ma le gambe, ma le gambe, sono belle ancor di più”: così suonava una popolarissima canzonetta lanciata nel 1938 sulle onde della radio italiana dalle voci di Enzo Aita e del Trio Lescano. Quel particolare feticismo aveva dunque il suo inno ufficiale.
Senza cambiare argomento, un altro sguardo indietro (anche se non così lontano) ci porta a riscoprire con lieve complicità estetica l’opera del fotografo parigino Guy Bourdin (1928-1991). Annoverato tra i più noti fotografi internazionali di haute couture del secondo Novecento, le sue immagini volentieri provocatorie sono entrate nella storia esattamente per la specifica preferenza accordata alle estremità inferiori del corpo femminile: gambe snelle e piedi elegantemente calzati, e spesso poco altro a completare il fotogramma.
Bourdin aveva sofferto da bambino e adolescente la mancanza della figura materna, che lo aveva anaffettivamente abbandonato fin dalla nascita; il che forse può spiegare la sua successiva ossessione per il corpo femminile, guardato e desiderato dal basso in alto. Ma lasciamo la psicoanalisi agli specialisti.
LA STORIA DI GUY BOURDIN
Di fatto, il giovane Guy mosse i primi passi come aspirante pittore, mentre il suo incontro con la fotografia avvenne durante il servizio militare in aviazione, negli anni 1948-49 in Africa, quando si dovette impratichire con le foto aeree. Rientrato a Parigi, riuscì a conoscere Man Ray, che ne fece un suo protégé e che scrisse la presentazione della sua prima mostra di disegni e dipinti nel 1952; invece la prima mostra fotografica avverrà l’anno successivo. E nel 1955 Bourdin entra già nello staff di Vogue Paris in contemporanea con Helmut Newton, che al proposito ebbe a scrivere: “Grazie al suo e al mio lavoro la rivista diventò per molti versi deliziosamente irresistibile, ci completavamo a vicenda. Se ci fosse stato solo lui, o solo io, non avrebbe funzionato”.
LA FOTOGRAFIA DI BOURDIN
In effetti si rivela fin da subito un abile e originale image-maker, per Vogue e Harper’s Bazaar ma presto anche per campagne pubblicitarie di vari marchi di lusso: Chanel, Issey Miyake, Emanuel Ungaro, Gianni Versace, Chloé, Bloomingdale’s, Pentax… E soprattutto per Charles Jourdan, il Ferragamo francese, creatore raffinato di calzature d’alta gamma. E d’alto tacco: Bourdin ci va a nozze. Perché la scarpa può essere – è – un ottimo soggetto surrealista. E il nostro, che oltre a Man Ray idolatra Magritte, Buñuel, anche Balthus e pure Hitchcock, si sbizzarrisce con intrigante audacia a inventare set vividamente colorati e a orchestrare messinscene spiazzanti, dove l’immancabile fulcro è il piede femminile calzato – o scalzo, ma con la calzatura presente a fianco.
L’EROTISMO SECONDO BOURDIN
Pertanto nella sua poetica fotografica – che si caratterizza per nitido iperrealismo, sature cromie pop, tagli inusuali, modalità narrative – stravincono non solo i prodotti da pubblicizzare ma le atmosfere, le situazioni, i suggerimenti di qualcosa di misterioso che sta oltre il riquadro dell’immagine. Qui sta, feet o non feet, la qualità suggestiva (surrealista quanto erotica) della sua visione, che ne ha fatto accogliere stabilmente le opere in sedi prestigiose come la Tate di Londra, il MoMA, il Getty Museum, il San Francisco Museum of Modern Art. Il suo erotismo estetizzante lo accomuna a un altro celebre fotografo suo contemporaneo, Jeanloup Sieff, e all’artista britannico Allen Jones, quello dei tacchi altissimi e polpacci forti e dei famosi tavolini-donna fetish (e oggi ha ancora un erede devoto in Alva Bernadine). Ma la sua piccante sensualità si arricchisce di ironia astuta, tanto che anche lui, come Fellini, si è aggiudicato un aggettivo specifico: bourdinesque.
Un’altra sensualità piccante, si diceva: longilinea, ben diversa dunque da quella più paffuta felliniana, ma di profonda tensione estetica e soprattutto spinta immaginativa. Come proseguiva la storica canzonetta? “Quando noi vediamo una ragazza passeggiar, cosa facciam? Noi la seguiam e, con occhio scaltro, poi cerchiam d’indovinar quello che c’è da capo a piè”. Appunto.
‒ Ferruccio Giromini
https://www.guybourdin.org/
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #56
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