L’ostaggio. Virus e pandemia nell’editoriale di Marcello Faletra
Invocare la libertà per trasgredire le norme anti-contagio ha una stretta parentela con il “me ne frego” di memoria fascista. Ecco l'argomentazione del filosofo Marcello Faletra.
Il virus crea una sorta di estroversione panica delle nostre percezioni. La sua violenza è anomica – ricava la sua forza dall’arbitrio. Il suo impatto sociale ha molte somiglianze con gli attentati terroristici: uccidere a caso tra la folla. La provocazione di André Breton per il quale l’opera d’arte perfetta era l’azione di sparare a caso sulle folle si è realizzata. Dagli attacchi terroristici di ieri al virus d’oggi, si delinea sempre più una società presa nelle sabbie mobili della condizione di ostaggio. La strategia degli attentati terroristici scaturisce da un eccesso di realtà, cioè concentrando il terrore in un punto che si propaga mediaticamente in uno Stato o un continente. Il virus, invece, si muove in un difetto di realtà, come accade con lo strato d’ozono, che si disgrega sempre più man mano che il suo spessore si assottiglia. D’altra parte il virus non ha fretta: aspetta al varco le sue prede, vogliose di “libertà”, e mostra i suoi artigli in un tempo differito: una, due settimane, o più. La sua apocalissi è retrospettica, come I trionfi della morte che popolano l’immaginario medioevale. Il cavaliere dell’Apocalisse, apparendo ex nihilo, sorprende principi e principesse falciandoli senza pietà.
Ma lo spettacolo della morte, oggi, è diverso, perché il virus ha sollevato il fatto che la nostra società è divisa. Il virus livella tutti, la cura resta di classe.
Se il terrore abolisce il tempo storico della politica, il virus invece spazza via il tempo sociale della relazione. Il terrore comprime per eccesso di realtà (l’attentato), il virus per eccesso di decompressione di essa, come accade nelle nucleari visioni di Bad Trip. Ma sia il terrorismo che la potenza metamorfica del virus hanno questo in comune: la sovraesposizione dello sguardo. Il terrore promuove l’avidità degli occhi: la diffusione mediatica degli attentati terroristici genera un feticismo dell’orrore. Mentre la propagazione del virus genera una specie di soggiorno obbligato davanti allo schermo (il forzato consumo quotidiano di tecnologie ottiche).
“Le intrepide crociate anti-virus mettono in mostra la vanità del coraggio come moneta di scambio della “libertà”. È il sacrificio che si fa di se stessi per richiamare gli altri a sacrifici più grandi”.
All’orizzonte di questo stato di cose si profila una terza figura: il negazionista. Dando prova di disobbedienza, vive dell’illusione della libertà. La fede ostinata verso il culto decisionista – “me ne frego!” – prova che la maggior parte del personale autoritario proviene da essa.
Le intrepide crociate anti-virus mettono in mostra la vanità del coraggio come moneta di scambio della “libertà”. È il sacrificio che si fa di se stessi per richiamare gli altri a sacrifici più grandi.
La compulsione negazionista, come un riflesso condizionato, adotta il disgusto per la precauzione; mostra l’energia viscerale – questa patologia eruttiva, incontinente, delle emozioni – che ha preso il posto della ribellione critica.
– Marcello Faletra
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #56
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