Cappadocia: Il paesaggio nel grembo della roccia
CA’ SCARPA apre i battenti, nonostante la pandemia:
uno spazio unico dedicato agli architetti Carlo Scarpa e Tobia Scarpa, padre e figlio.
Comunicato stampa
La chiesa restaurata di Santa Maria Nova, che sorge nel cuore di Treviso sul sito di un preesistente monastero benedettino, è l’unico museo al mondo a rendere omaggio ai due architetti veneziani Carlo e Tobia Scarpa: un vero traguardo intergenerazionale.
Accostandosi all’intricata stratificazione di secoli che caratterizza il complesso, il visitatore si trova davanti non già a un enigma da decifrare, bensì a un libro aperto attraverso il quale la storia labirintica del sito può essere identificata con chiarezza. Le più svariate tracce del passato non sono solo leggibili: sono messe in luce.
L’esterno, innanzi tutto: il suggestivo perimetro originale della chiesa del XVI secolo è stato riscoperto perché diventasse l’involucro di un conglomerato altrettanto complesso e accattivante. Varcando la soglia, ci si trova di fronte a un’inaspettata struttura metallica autoportante a più livelli, inserita nel XX secolo per accogliere gli archivi della Intendenza di Finanza. I livelli, tre per la precisione, sono stati sapientemente riutilizzati e integrati nella complessa struttura interna. L’audace decisione architettonica di ricucire il sacro con il profano e di ridistribuire, senza nulla togliere o nascondere, elementi che in periodi diversi avevano già alterato lo spazio originale per piegarlo alle più svariate esigenze si è rivelata insieme provocatoria e felice.
La strada più ovvia per un architetto incline a gratificare il proprio ego sarebbe stata sventrare radicalmente l’intero spazio e ripartire da una tabula rasa. La strategia di Tobia Scarpa, invece, è stata fare un passo indietro e lasciare che il progetto stesso si evolvesse nel migliore dei modi e assumesse una vita propria. Così facendo, ha lasciato che gli spazi interni fluissero e interagissero, rendendo possibile la comunicazione diretta e al contempo la visione complessiva dell’intero edificio. Il luogo si configura quindi non come museo tradizionale ma piuttosto come spazio espositivo aperto, centro di informazione e orientamento per visitatori interessati principalmente alle opere dell’icona del Modernismo Italiano del XX secolo Carlo Scarpa. Molte di queste si trovano nel raggio of pochi chilometri da Treviso (un po’ più distanti, ma comunque facilmente raggiungibili, sono la tomba Brion, il Museo di Castelvecchio a Verona e, a Venezia, il Museo Querini Stampalia e il negozio-showroom Olivetti).
Chiunque si trovi a visitare questo inusuale spazio culturale a Treviso si renderà inevitabilmente conto di come esso sia parte di una vasta rete locale di altri edifici restaurati da Tobia Scarpa e sponsorizzati, in un sodalizio di visione pluriennale, da Luciano Benetton. L’ex Tribunale, ora sede degli uffici di rappresentanza della holding Benetton, le Gallerie delle Prigioni – in origine carceri asburgiche poi trasformate in sede permanente della collezione Imago Mundi – costituiscono una sequenza di edifici e chiostri che include Palazzo Caotorta e Bomben (ora sede della Fondazione Benetton Studi Ricerche) e, a brevissima distanza, la chiesa di San Teonisto, restituita al suo originale splendore e usata precipuamente come sala da concerto. In questo contesto Santa Maria Nova, situata tra Via Canova e Borgo Cavour, trova la sua naturale collocazione in un più ampio schema urbano lungo il canale d’irrigazione Cagnan della Roggia, chiamato anche Siletto, ora visibile solo in parte.
L’originale monastero-ospedale benedettino di Ognissanti fu costruito nel XIII secolo e gravemente danneggiato nel Trecento, particolarmente durante la Guerra di Chioggia (1378-81). Nel 1390 le monache benedettine riuscirono a far ricostruire la chiesa e il monastero da Pietro Gandino, con il nome di Santa Maria Nova; l’espansione proseguì fino al XVI secolo, quando vennero aggiunti i due chiostri, tuttora esistenti, adiacenti alla chiesa e al Canale della Roggia. La soppressione degli ordini religiosi da parte di Napoleone nel 1806 determinò la secolarizzazione del complesso: il monastero fu trasformato in ospedale militare e la chiesa in caserma per la fanteria. Dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale la chiesa, pesantemente danneggiata, fu svuotata degli elementi inseriti nel XIX e XX secolo e restaurata nel 1980 per diventare la sede degli archivi della Intendenza della Finanza. Nel 2018 fu acquistata da Edizione Property dopo anni di abbandono, con l’obiettivo di farne un museo della lana. Con Luciano Benetton e Tobia Scarpa, impegnati nel recupero del passato della città di Treviso in tutta la sua bellezza nel segno di un’illuminata visione comune, Santa Maria Nova torna a integrarsi nel tessuto degli edifici adiacenti e nella vita quotidiana degli abitanti. Il passato torna nuovamente a vivere, interagendo costruttivamente con il presente.
La prima mostra in programma a Ca’ Scarpa è Cappadocia: Il paesaggio nel grembo della roccia, che celebra la XXXI edizione del Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino. È un’occasione per apprezzare non solo la struttura originale di Santa Maria Nova, recentemente restituita alle sue linee essenziali, ma anche per ammirare, appena entrati, l’audace scala rampante progettata da Tobia Scarpa: una vera impresa ingegneristica, che con estrema leggerezza – ogni gradino è compresso in un insolito spessore di 8 cm, anziché dei canonici 12 – si inerpica tra le colonne di pietra della chiesa preesistente incorporando la struttura metallica del XX secolo. Salendo in modo spettacolare fino al terzo piano, il corpo scale permette una prospettiva a volo d’uccello dell’intero complesso, in una sequenza di spazi sorprendentemente fluida.
Una riformulazione spaziale ugualmente originale è evidente nell’abside semicircolare in fondo all’edificio, che ospita una scatola nera, una sorta di monumentale sancta sanctorum tecnologico, contenente tutti gli apparati impiantistici al servizio del complesso. I visitatori possono girarci attorno e, per così dire, andare dietro le quinte: è un vero coup de théâtre, che magicamente permette di toccare con mano la maestosità delle mura storiche della chiesa e allo stesso tempo offre una via di fuga sicura e pratica.
È molto raro che il figlio di un architetto sia incaricato di rendere omaggio al proprio padre e, accettando obtorto collo tale difficile compito, riesca a onorare l’eredità culturale che il genitore ha lasciato a un’intera generazione. Tobia Scarpa vi riesce e, nel farlo, involontariamente mostra i propri rari talenti: con una meticolosa ripulitura e con l’assegnazione di una configurazione ritmica allo spazio esistente, si conferma ancora una volta artista poliedrico. La sua opera può in qualche modo far pensare alle costruzioni per sottrazione di Anish Kapoor e alle composizioni dodecafoniche di Luigi Nono, fortemente sperimentali.
Un commento a parte merita l’approccio diversificato e originale all’illuminazione, una vera costante nella carriera di Tobia Scarpa. Le soluzioni adottate per gli allestimenti espositivi spaziano da corpi illuminanti al LED pratici e flessibili, che possono essere ruotati e dimmerati fornendo luce diretta e indiretta alle insolite lampade tubolari in legno sospese alle capriate del soffitto. L’intera controfacciata, poi, consiste sorprendentemente in una seducente cornucopia di asimmetriche luci al neon, che si trasformano in una installazione d’arte unica nel suo genere: una pioggia luminosa di barre musicali lineari, sospese in modo apparentemente libero e fissate impercettibilmente a minuscole clips ricoperte in foglia d’oro. L’installazione, la cui dimensione verticale è ancora più evidente e godibile dalla sommità della scala, diventa una perfetta metafora della creatività nelle sue molteplici espressioni: un giocoso spartito musicale in grado di riconciliare le più disparate dissonanze in una composizione armoniosa, un poema senza parole, un inno laico che, in modo sottile ma inequivocabile, connette e infine riunisce padre e figlio.
Francesca Valente
Giornalista freelance, curatrice e mediatrice culturale
Francesca Valente é direttore artistico di progetti culturali e giornalista.
Nel settembre 2020 ha diretto la prima edizione del Festival delle Arti di Todi che ha incluso opere di Beverly Pepper e Gianfranco Gorgoni. E’ anche curatrice di artisti contempotanei tra cui Nancy Genn e Michele Ciribifera.
Come curatrice indipendente ha selezionato oltre 200 artisti canadesi per il progetto Imago Mundi – Canada centrale e orientale. Il Palazzo Loredan, campo Santo Stefano e la nuova galleria della Ocad University hanno esibito le loro opere rispettivamente a Venezia e a Toronto. Le pubblicazioni piú recenti includono: Nancy Genn Architecture from Within / Architetture interiori (Skira, 2018), A.P.Giannini: The People’s Banker / Il banchiere di tutti (2019) e Rita Levi-Montalcini: Pioneer and Ambassador of Science (2021).
Ha prodotto alcuni brevi documentari e curato svariati cataloghi. Ha tradotto opere di Margaret Atwood, Leonard Cohen, Northrop Frye, Marshall McLuhan, Michael Ondaatje, Alice Munro, come pure Giorgio Bassani e P. P. Pasolini (quest’ultimo testo con Lawrence Ferlinghetti, Citylights, prefazione di Alberto Moravia).
E’ stata insignita del titolo di Accademico dalla Accademica Olimpica di Vicenza e di Cavaliere dal Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano.
Si é laureata all’Università Cà Foscari di Venezia nel 1968. Nel 1977 ha conseguito un Master of Arts alla University of Toronto, dove ha studiato con Northrop Frye e Marshall McLuhan. Nel 1999, ha ricevuto una laurea ad honorem in Lettere dalla York University, Toronto. Nel 1980 le é stata assegnata la direzione dell’Istituto Italiano di Cultura di San Francisco. Ha fondato l’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles nel 1984. Per oltre sei anni ha coordinato gli Istituti Italiani di Cultura del Nord America (cinque negli USA e tre in Canada). Dopo aver presentato e coordinato gli 89 Istituti Italiani di Cultura nel mondo in una mostra interdisciplinare presso il Padiglione Italia, Biennale di Venezia, 2011, corredata da video con colonna sonora composta ad hoc da Ennio Morricone,
ha concluso la sua carriera con il Ministero degli Affari Esteri.