Investire nella cultura. Parola alla Scuola di Fundraising di Roma
Da quindici anni a Roma esiste una scuola che, attraverso i suoi corsi, insegna le regole del fundraising. Sottolineando l’importanza della raccolta fondi per il benessere della cultura.
Il 1° dicembre si terrà un importante webinar – i seminari che si svolgono sul web – organizzato dalla Scuola di Fundraising di Roma. Il tema è quello delle donazioni internazionali, ma con Massimo Coen Cagli, che quella scuola la dirige, abbiamo colto l’occasione per fare il punto sul fundraising in generale. Uno strumento particolarmente necessario in questo periodo pandemico e dunque, fra l’altro, assai complicato dal punto di vista economico.
Ci racconti in breve cos’è la Scuola di Fundraising di Roma? Che tipo di corsi offre, a chi si rivolge ecc.?
La Scuola di Fundraising di Roma nasce più di 15 anni fa con lo scopo di aiutare le cause e i progetti di organizzazioni non profit e istituzioni pubbliche a essere sostenibili economicamente grazie al fundraising verso individui, aziende e fondazioni. Facciamo tutto questo con corsi di formazione a catalogo e in house, con la consulenza strategica. Ossia aiutando le organizzazioni a dotarsi di un proprio sistema di fundraising. Prestiamo una grande attenzione al mondo della cultura, offrendo i nostri servizi in partnership con reti locali di organizzazioni culturali, istituti di formazione e con le amministrazioni pubbliche.
Quali sono le specificità del fundraising culturale? Quali strategie differenziano eventualmente il fundraising che può attivare una istituzione pubblica museale rispetto a quelle maggiormente efficaci nel caso di realtà private più ridotte?
Le basi del fundraising e le sue tecniche non cambiano in relazione alle diverse organizzazioni o ai diversi ambiti tematici di impegno. Certamente il fundraising culturale ha alcune specificità di cui bisogna tenere conto, in particolare perché le organizzazioni culturali quasi sempre producono eventi volti a una ampia fruizione, il che rappresenta una grande opportunità di coinvolgere un pubblico fortemente interessato anche nelle attività di fundraising. È il caso dei musei, dei teatri o delle biblioteche, ad esempio, che facilmente costituiscono attorno alla istituzione forme di membership, oppure organizzazioni “amici di…”. Inoltre, nel settore culturale, è più usuale praticare forme di sponsorizzazione con le aziende visto l’impatto comunicativo che hanno le iniziative culturali. Infine, per la cultura ha un peso maggiore il cosiddetto mecenatismo di individui e aziende, che può portare a donazioni rilevanti.
IL FOUNDRAISING IN ITALIA
A che punto è la ricezione del concetto di fundraising nel contesto culturale italiano?
Direi che negli ultimi anni è cresciuta di molto la consapevolezza del bisogno di fundraising, anche grazie alla spinta offerta da alcuni provvedimenti come l’Art Bonus o la nomina di direttori di istituzioni culturali quali manager imprenditivi. Tuttavia questa consapevolezza non si è ancora trasformata in una vera decisione di agire e di investire sul fundraising. È quindi un percorso avviato ma lungi dall’essere concretizzato.
Quali sono – se ci sono ‒ le best practice nel mondo della cultura e dell’arte?
Alcune best practice emergono anche da noi e sarebbe lungo citarle tutte. Potrei nominare il Teatro Tascabile di Bergamo, il primo caso di partenariato speciale pubblico privato previsto dal codice dei contratti pubblici che sta permettendo il pieno recupero e la restituzione alla fruizione pubblica dell’ex Monastero del Carmine, la campagna di raccolta fondi per restaurare e rendere fruibili gli ex Bagni Caimi di Milano (ora Bagni Misteriosi) condotta dalla Fondazione Parenti, o la membership internazionale di Capodimonte (American friends of Capodimonte) ma anche le campagne di membership delle biblioteche di pubblica lettura che ci è capitato di accompagnare come Scuola di Fundraising e che hanno tutte raccolto fondi al di là delle loro aspettative.
Come funziona, da parte del donor, la fiscalità italiana? Detto in soldoni: posso detrarre dalle tasse le cifre che offro a sostegno della cultura?
Certamente. Deduzioni e detrazioni delle donazioni sono da sempre previste dal nostro ordinamento nei confronti non solo delle istituzioni culturali ma in generale per le organizzazioni non profit. E in più l’Italia si è dotata dal 2015 dello strumento dell’Art Bonus che offre ai sostenitori della cultura, soprattutto per i beni culturali pubblici, ma non solo, un credito di imposta molto rilevante: il 65% di quanto donato. È una delle agevolazioni più forti anche a livello internazionale. Non scordiamoci poi del 5 per mille e del 2 per mille per la cultura che, nonostante possano essere largamente migliorati, sono comunque gli strumenti più semplici per donare senza un esborso di denaro. Il problema più che altro è che spesso le organizzazioni culturali non comunicano bene e abbastanza ai potenziali donatori queste opportunità di agevolazione. Esiste la possibilità di donazioni internazionali ma temo sia una pratica poco nota e attuata in Italia. Proprio questo tema, in particolare del flusso di donazioni dagli Stati Uniti all’Italia, sarà oggetto di un webinar che si terrà il 1° dicembre.
REGOLE E STRATEGIE DEL FUNDRAISING
Ci spieghi meglio di cosa si tratta e di cosa si parlerà?
Il webinar vuole aprire, anzi spalancare, una finestra su un mondo che, fortemente interessato e appassionato ai beni culturali materiali e immateriali italiani, possa essere propenso a sostenerli in quanto “beni dell’umanità”. Le organizzazioni italiane, per molte ragioni che cercheremo di spiegare nel webinar, sono poco propense a prestare attenzione a queste opportunità. Grazie all’intervento di Karen Brooks Hopkins (una grande fundraiser statunitense), conosceremo meglio le caratteristiche della filantropia statunitense e internazionale. E parleremo anche di strumenti che aiutano in questo impegno, come la piattaforma creata dalla King Baudouin Foundation che facilita le donazioni transnazionali.
Cinque consigli sui primi passi da compiere per elaborare una strategia efficace di fundraising, immaginando di avere come interlocutore un’associazione culturale che si occupa di arte contemporanea.
- Chiedere, chiedere e ancora chiedere. È la base del fundraising, se si vuole ottenere sostegno. Le nostre organizzazioni sono ancora molto timorose in questo. Lo si vede dai loro siti: raramente appare una sezione dedicata a programmi di donazione, membership e sponsorship.
- Incaricare il proprio personale e in primis i dirigenti di occuparsi di fundraising investendo nei limiti del possibile in formazione e accompagnamento: non si ottengono risultati se non si investe almeno in capitale umano.
- Pensare al proprio pubblico non solo come a un semplice fruitore di eventi, una sorta di cliente/consumatore, ma soprattutto come a un “supporter” che condivide una mission culturale e sociale con noi. Questa è la base per istaurare un rapporto di sostegno.
- Smettere di pensare che gli italiani siano poco generosi e che non abbiano un grande interesse per la cultura. Checché se ne dica, gli italiani sono più propensi di altri a sostenere la cultura (lo rilevano alcune indagini recenti). Il FAI ha creduto in questa caratteristica degli italiani ed è oggi un’organizzazione culturale che ha un fundraising fiorente.
- Praticare i mercati internazionali del fundraising partendo sia dai tanti italiani all’estero (che vogliono mantenere un legame identitario con la nostra cultura) sia dai tanti stranieri che amano la nostra cultura e che spesso grazie proprio alla cultura desiderano “diventare un po’ italiani”.
‒ Marco Enrico Giacomelli
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