Fase Tre (III). La paura e gli interstizi
Che cosa può opporre l’arte al tempo attraversato dalla paura che stiamo vivendo? Che cosa significa essere umani oggi? Christian Caliandro torna a parlare di Fase Tre.
“Where must we go… we who wander this Wasteland in search of our better selves?” (“Dove dobbiamo andare… noi che vaghiamo in questa Terra Desolata, in cerca di versioni migliori di noi stessi?”, The First History Man, in George Miller, Mad Max: Fury Road, 2015).
5 novembre 2020. La paura regola la vita di tutti, ormai – il mondo è andato avanti, e ci spinge, ti spinge – “Vado alla toilette per guardarmi allo specchio. Non mi sembra di camminare ma di aleggiare dentro la mia stessa aura mistica. È come se fossi morta e mi stessi muovendo per il cielo. Tutta questa bella gente sorride e sembra stare come sto io. Cioè non sembrano affatto diversi, ma in loro si vede la gioia. (…) mi sembra di conoscerli tutti, questi sconosciuti. Abbiamo in comune una capacità di intenderci e un’intimità che nessuno che non abbia fatto questa cosa in questo ambiente potrebbe mai capire. È come se fossimo tutti insieme in un nostro mondo, un mondo lontanissimo da odio e paura” (Irvine Welsh, Ecstasy, Guanda 2001, p. 87).
Le vicende e gli aspetti normalissimi della vita precedente sembrano lontani, ricordi slavati e foto sbiadite – è così facile dimenticare, e ciò che sembra fisso, regolare, inamovibile è invece così precario, così instabile… così a rischio di estinzione – va via in un soffio, e in un soffio ci troviamo di nuovo rinchiusi, spaventati, in gabbia – “è vietato spostarsi da un Comune all’altro all’interno della stessa Regione” – andrà tutto bene, va tutto bene – è un esperimento, un esperimento sociale, collettivo e individuale – sostegno reciproco, “sosteniamoci a vicenda”, egoismo & follia & solipsismo spinti alle estreme conseguenze – un esperimento sociale, ma di che tipo? “Pensare, pensare dobbiamo. Non dobbiamo mai smettere di pensare” – che momento storico è questo, che tipo di civiltà è quella in cui stiamo vivendo? Che esistenza viene programmata per noi, e come possiamo fuoriuscire dal programma? Il ruolo dell’arte e della cultura non è forse proprio pianificare questa fuoriuscita?
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La paura. Questa paura che pervade ogni singolo aspetto della società contemporanea, ogni dimensione, ogni livello. La paura che costruisce e sostanzia la convivenza. La paura di non esistere, di non esserci, di scomparire. La paura di rimanere soli; la paura di morire, e di non aver vissuto.
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La capacità di adattamento degli esseri umani, praticamente a qualsiasi situazione e condizione. La rapidità con cui si adattano, ci adattiamo (nel bene e nel male). L’evoluzione è adattamento: “L’energia è il godimento eterno” (William Blake, Il matrimonio del cielo e dell’inferno, 1790).
Kisalilith, commento su YouTube a Pig (1998) di Rozz Williams (3 anni fa): “You can like it or not, but I think one should analyse the meaning and the reasons of that clip before bashing it. I agree it’s not something particularly interesting if we are not into it… but seriously, I think our generation isn’t really interested in quite anything anymore. We are bored, indifferent, blasés, not easily surprised and always complaining. We are not used to invent and discover ourself anymore and that’s a pity. Rozz Williams decide to try something new for himself. You should perhaps do the same and present your inner self to the world through art or anything else for a change”.
STARE. Che tristezza le opere senza pubblico, in questi giorni… le mostre vuote… il problema non è il virus: il problema è il luogo, lo spazio espositivo (il fatto che ci sia qualcosa come uno spazio ‘espositivo’): le opere devono stare dove sta la gente – vivere con e insieme alle persone.
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6 novembre 2020. Segui la mutazione, percorrine le faglie, scandagliane gli interstizi.
Gli interstizi sono, se possibile, ancora più importanti di prima: interstizi sociali, interstizi culturali, interstizi politici. I buchi, le cadute, le tensioni: “La storia non è poi /
la devastante ruspa che si dice. / Lascia sottopassaggi, cripte, buche / e nascondigli. C’è chi sopravvive. (…) / La storia gratta il fondo / come una rete a strascico / con qualche strappo e più di un pesce sfugge. / Qualche volta s’incontra l’ectoplasma / d’uno scampato e non sembra particolarmente felice. / Ignora di essere fuori, nessuno glie n’ha parlato. / Gli altri, nel sacco, si credono / più liberi di lui” (Eugenio Montale, La storia, in Satura, 1971). Le idee che nascono e si innestano nei cervelli. Queste idee avranno una vita lunga – e un impatto durevole sulla psiche collettiva.
IDEA 1. La solidarietà viene abolita di fatto: già le società occidentali avevano progressivamente eroso il pensiero e la percezione dell’altro; oggi la paura del contagio produce altro egoismo, e la maggior parte delle persone fa più schifo di prima. L’arte e la cultura consistono dunque nel perpetuare il senso dell’umano, arricchendolo sempre più e facendolo evolvere, e nel trasmettere un sistema di valori morali: al di fuori di queste funzioni, arte e cultura non esistono se non in forme puramente decorative.
La “cosa” al centro dell’arte è l’uomo, il significato di esistere come “essere umano”, di vivere in un determinato tempo e in un determinato spazio, di essere vivo in certe condizioni e in un preciso contesto. (L’opera d’arte è capace di contenere al suo interno una miriade di dati e informazioni.)
‒ Christian Caliandro
LE PUNTATE PRECEDENTI
Fase Tre (I). L’opera e la realtà
Fase Tre (II). Essere l’altro
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