Esperimenti didattici. La Scuola di Santa Rosa di Luigi Presicce e Francesco Lauretta
Luigi Presicce racconta origini e sviluppi della Scuola di Santa Rosa, “fondata” insieme a Francesco Lauretta fra i tavolini di un bar di Firenze tre anni fa.
A ottobre è stato il terzo anniversario della nascita della Scuola di Santa Rosa. All’inizio non sapevamo, io e Francesco Lauretta, che questo compleanno sarebbe stato minimamente possibile, o almeno non eravamo in grado di prevederlo. Era un martedì di tre anni fa, e io avevo chiamato Francesco per invitarlo a venire con me a disegnare sul Lungarno Santa Rosa, un po’ come fanno gli americani ricchi che vengono a Firenze a studiare il disegno.
LE ORIGINI DELLA SCUOLA DI SANTA ROSA
Era una mattina di quelle che ti fanno ringraziare Dio per aver scelto di vivere in un posto così bello. Francesco e io siamo qui nella culla del Rinascimento da una decina d’anni, mese più mese meno, e la nostra motivazione è stata dettata da un incontro amoroso che ci ha portati qui e ci siamo rimasti. Certo ci manca il mare, a me quello di Porto Cesareo e a lui quello di Ispica, ma che ci dobbiamo fare? Ormai siamo qui, ed eravamo qui anche quel giorno che non sapevamo neanche che stava iniziando la Scuola di Santa Rosa.
Non c’è molto contemporaneo in questa città, anche se a volte ci sono tante cose, ma accadono tutte insieme, nello stesso momento, e quindi non le vedi comunque. Più che disegnare avevamo bisogno di chiacchierare, parlare del più e del meno, di quello che si fa fuori da qui, di quello che si fa qui, dei libri letti e dei quadri fatti. Il disegno era solo un pretesto, ma appena siamo rientrati a casa, quel giorno, una specie di gioia ha iniziato a diffondersi dentro e ci siamo scritti vicendevolmente dichiarando la volontà di rifarlo anche il martedì successivo. Così è stato, e martedì dopo martedì è arrivato l’inverno e dal Lungarno ci siamo spostati nel vicino Bistrot dal nome Santa Rosa.
UNA SCUOLA NON CONVENZIONALE
La decisione di chiamare questi incontri Scuola è stata quasi spontanea, sembrava una strana mistura tra la Scuola di Piazza del Popolo a Roma e il Bar Giamaica a Milano. Era tutto molto speciale e ogni martedì non vedevamo l’ora che fosse di nuovo martedì. A un certo punto poi la voce si è sparsa tra gli amici dell’Accademia e i conoscenti del quartiere. I più curiosi di questi hanno iniziato a fare capolino per capire di cosa si trattasse. Dopo un po’ “quelli che disegnano al bar” erano diventati tanti e oltre agli affezionati c’erano e ci sono sempre facce nuove. Il numero dei partecipanti variava da due a una ventina di “studenti” al massimo, che per essere una cosa completamente spontanea è davvero tanto. Venivano anche da Milano, Roma o Bologna solo per un paio d’ore di disegno in compagnia. Era nata la Scuola libera di disegno di Santa Rosa.
Perché era una scuola? In fondo nessuno insegnava niente a nessun altro, eppure eravamo tutti lì a lezione puntuali, seduti ai tavoli del bar a bere caffè, parlare, leggere, disegnare. Nessuno ha mai pagato un centesimo per venire a Santa Rosa e non abbiamo mai imposto nulla, neanche di disegnare. In questi tre anni abbiamo prodotto migliaia di disegni, a matita, con inchiostri, colori di tutti i tipi e fatto milioni di scatti alla gente che veniva a trovarci. Ogni martedì è stato ed è tuttora una festa, la festa dello stare insieme, del condividere un momento di pura spensieratezza, in barba a tutte le meschinerie del piccolo mondo dell’arte. Qualcuno dice che la Scuola di Santa Rosa è sovversiva; sovversiva per la sua semplicità, dico io. Qualcun altro che sia arte sociale; ma non è vero, non ce ne frega nulla dei disgraziati e dei disagiati, noi ci troviamo lì solo per compiere piccoli miracoli su carta, uno schizzo veloce di un passante, la figura di una ragazza che beve un caffè, un cane al guinzaglio, un bambino che gioca, la caricatura di uno di noi. Ai nostri tavolini abbiamo ospitato sia gente che ha fatto la Biennale che la signora anziana di San Frediano, dai bambini ai vagabondi di tutte le razze e religioni, ma questo non fa di noi degli artisti relazionali. Forse tutto questo è solo qualcosa d’altri tempi, che noi perpetriamo traendone gioia.
LA SCUOLA DI SANTAROSA A NEW YORK E NON SOLO
La Scuola con il tempo si è anche spostata da Firenze. Nei vari mesi in cui ho abitato a New York, ho scelto un locale dove invitare i miei amici e non solo a disegnare, il posto si chiama Sel Rrose, è un oyster bar vicino al New Museum. Ci sono capitato per caso con un’amica e mi sono accorto che nel menù c’era un cocktail chiamato Santa Rosa ed è scattata la scintilla. Neanche lì ho chiesto il permesso di invitare gente a disegnare, come in tutti gli altri posti, a Lecce, a Palermo, a Roma, a Milano, a Siracusa, a Ragusa Ibla, a Corigliano Calabro, a Gallipoli. Non abbiamo mai chiesto di poter fare Santa Rosa in nessun posto dove l’abbiamo fatta, bastava consumare, anche un misero caffè, e il nostro tavolo era garantito. Oggi la Scuola viene invitata a festival, eventi, fiere e mostre; da musei, chef e curatori, ma noi ancora ci andiamo con lo stesso spirito che avevamo quel giorno che sembravamo Monet che passa a prendere Renoir in bicicletta per andare a dipingere al mare.
‒ Luigi Presicce
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #57
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