Un altro libro sul paesaggio: ne avevamo bisogno? In breve, sì, se al termine della lettura si rimane con qualche nuovo dubbio e addirittura l’inizio di un concetto (spoiler: “scapeness”) da aggiungere alla cassetta degli attrezzi con cui provare a ri-tracciare – o almeno rintracciare – quello spazio vago che s’insinua tra la percezione e il sentimento, dove tanto spesso gli umani, magari nella pausa tra uno scatto digitale e l’altro, tendono a indugiare.
IL PAESAGGIO DI ROBERTO LACARBONARA
Passages / Paysages, nuovo saggio di Roberto Lacarbonara, dichiara sin dal titolo il proprio debito alla tradizione culturale sedimentatasi a partire dalla lezione di Walter Benjamin, aspirando dunque alla ricostruzione rapsodica di una storia delle idee che unisca, con passo narrativo, punti anche molto lontani tra loro, il piede sempre in bilico tra il salto e l’inciampo.
Da Benjamin il libro in discorso mutua la passione collezionistica per le immagini mentali, la vertigine citazionista, certe intuizioni divenute col tempo scorciatoie intellettuali collettive (per tutte, l’idea che la modernità si fondi su un’inedita riproducibilità dell’opera, mentre basterebbe un po’ di studio numismatico per rilevare la ricorrenza sin dall’antichità di una replicazione consapevole di opere d’arte, per di più secondo piani politico-culturali degni del più avveduto soft power contemporaneo). Poi, dal momento che Lacarbonara – giornalista, curatore e critico d’arte, docente d’accademia – scrive ora, gli ingombri sul cammino sono necessariamente diversi da quelli tanto amati dal cercatore di perle di cui scrisse affettuosa Hannah Arendt. Sono le pietre della storia dell’arte secondo-novecentesca e primo-bimillenaria dell’Occidente capitalista, essendo la latitudine geografica ovviamente una variabile culturale del dispositivo economico. Pietre osservate con fare all’apparenza casuale, di sicuro accattivante, muovendosi tra fotografia (assai efficace, ad esempio, il passaggio dell’immagine di Luigi Ghirri preso ad ammirare dall’esterno la propria casa illuminata, seguito poco dopo dall’analisi di una celebre composizione di Giovanni Anselmo, Entrare nell’opera), cinema (con carrellate ardite tra la Seoul parassita di Bong Joon-ho e l’Orte appassita di Pasolini), video (di nuovo con movimenti di macchina sorprendenti, andando dalle riflessioni allo specchio di Ugo La Pietra al sentierismo siciliano-architettonico del collettivo Alterazioni Video).
UOMO, PAESAGGIO, PERCEZIONE
Il macigno, in ogni caso, è la relazione contemporanea dell’uomo col paesaggio, quando la percezione del secondo nello sguardo del primo è irrimediabilmente definita da nuovi media sempre più nuovi (al punto che il cinema s’apprezza ormai con l’aura nostalgica concessa a cose belle ma desuete, la stessa sorte in vista per la video-arte), con una messa a dura prova delle attitudini costruttive dell’esercizio visivo. “Vedere è già cambiare il mondo”, si legge in effetti in apertura del libro (p. 13), “e ogni visione, ogni colpo d’occhio, reca con sé una qualche organizzazione del mondo”, la questione essendo allora a quale organizzazione si aspiri, sul presupposto che il paesaggio, in quanto organizzazione mentale, sia sempre stato un costrutto artificiale.
Qui Lacarbonara sviluppa la parte più creativa del suo ragionare, considerando come nel passaggio dall’immagine del paesaggio al paesaggio delle immagini sia avvenuto uno slittamento ulteriore rispetto alla bulimia immaginale della modernità, a suo modo ancora ingenua nella meraviglia che, appunto, provava per il fascio di luce danzante nell’oscurità di un cinema, o presa dal lento voyerismo vetrinista delineato da Benjamin. Si tratta di uno slittamento che connette virtuale a reale fino a fonderli, passando per la volontà di presenza più immediata e visibile dell’uomo nel mondo, l’architettura. Un fare pratico e progettuale, questo, inteso nel libro come fondamentale “dispositivo visuale, sin dai tempi delle prime ipotesi stanziali” (p. 19), ma ora sempre più immerso – volutamente, come mostrano gli esempi delle strutture a cannocchiale di tanti nuovi edifici, o ancora delle recinzioni socio-cognitive alla base delle gated communities proliferanti per il mondo – nel processo ri-creativo di un paesaggio immaginato di artificialità esponenziale
LA SCAPENESS SECONDO LACARBONARA
Nel saggio si propone perciò di parlare di scapeness, un processo che “induce ad una totale e paralizzante ‘immersione nelle immagini’ capace di sostituirsi all’esperienza diretta e autentica del mondo stesso” (p. 98). E nella definizione appena richiamata, a ben vedere, c’è anche la proposta di soluzione offerta dal libro, ovvero una disintermediazione dell’immaginario personale dalle immagini altrui.
Tesi evidentemente non nuova, ma che mantiene intatta la sua carica suggestiva, in perenne tensione tra wilderness e accademia. Spenti i video, deposti gli obiettivi, chiusa dietro di sé la porta di casa, si ri-avvia insomma un movimento che, nel suo procedere, re-incanta il mondo dell’andante. Scrive dunque, conclusivo, Lacarbonara (p. 108): “Ciò che davvero appare perduto, nel tempo dell’immagine ipertrofica e immediatamente disponibile, è la possibilità di perdersi davvero, di perdersi per gli holzwege sconosciuti, cercandone da soli l’im-prevedibile meraviglia, l’esclusivo ‘microcosmo (paesaggio nel paesaggio)’, capace soltanto di rivelarsi abbandonando la falsa certezza di una strada a senso unico”.
‒ Luca Arnaudo
Roberto Lacarbonara – Passages / Paysages
Mimesis, Milano 2020
Pagg. 116, € 10
ISBN 9788857571423
mimesisedizioni.it
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