L’arte del ritratto politico. Intervista al fotografo Daniele Volpe
Parola al fotografo italiano Daniele Volpe, da oltre un decennio testimone degli eventi del Guatemala.
All’inizio degli Anni Ottanta, nel pieno della guerra civile guatemalteca, la comunità indigena Ixil è stata uno dei principali bersagli di un’operazione di genocidio che ha comportato stupri sistematici, sfollamenti forzati e fame. Secondo la commissione per la verità delle Nazioni Unite del 1999, tra il 70 e il 90% dei villaggi di Ixil furono rasi al suolo e il 60% della popolazione nella regione degli altipiani fu costretta a fuggire sulle montagne. Le vittime sono circa 7000. José Efraín Ríos Montt, che ha governato il Guatemala per quasi diciassette mesi nel 1982 e nel 1983, è stato processato con l’accusa di essere responsabile di 1771 morti e dello sfollamento forzato di 29000 persone nella regione di Ixil. Dopo più di 30 anni è stato riconosciuto colpevole di genocidio e condannato a 80 anni di prigione: un verdetto annullato dieci giorni dopo dalla Corte costituzionale del Guatemala. Ríos Montt è morto all’inizio del 2018 impunito. Tuttavia, il processo è stato una tappa importante per la giovane democrazia del Paese.
Ancora oggi molti sopravvissuti stanno cercando i resti dei loro parenti defunti nella guerra civile. Le esumazioni costituiscono una parte importante nella ricerca di giustizia e nel tentativo di conciliare il dolore dei sopravvissuti, che possono quindi dare una degna sepoltura ai loro cari.
Daniele Volpe ha ritratto quel processo e quest’anno i suoi scatti sono apparsi nel World Press Photo, uno degli eventi più rappresentativi della fotografia documentaristica mondiale. Già premiato due volte proprio dal World Press Photo, si è distinto anche in altri concorsi internazionali come Picture of the Year International, NPPA, FotoEvidence, Visa pour l’Image. Il suo progetto sul “genocidio di Ixil” è stato pubblicato nel libro Chukel.
Daniele, classe 1981, è un ingegnere di Latina, è partito per il Guatemala, al confine con il Messico, raggiungendo il piccolo comune di San Marcos, mentre proprio in quegli anni Monseñor Gerardi stava lavorando al REMHI, il Progetto di Recupero della Memoria storica, quello che poi gli sarebbe costato la vita.
INTERVISTA A DANIELE VOLPE
Come sei arrivato in Guatemala?
Con il Servizio Civile tredici anni fa, proprio lavorando al progetto REMHI. In quel periodo ho conosciuto anche altre realtà come quella della lotta sociale delle comunità indigene per la proprietà delle terre contro l’espropriazione delle miniere d’oro canadesi. Usavo la macchina fotografica per registrare le testimonianze: da quel progetto è nato il libro Bajo el mismo cielo, che è stato il mio battesimo come fotografo. Un lavoro che ha visto la chiusura di due delle miniere in questione grazie all’impugnazione del Convegno 189 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro sull’autodeterminazione dei popoli indigeni.
Raccontaci della tua esperienza con la comunità Ixil.
Il tema della memoria storica è arrivato in un secondo momento, cercando di raccontare il processo del lutto di una guerra civile durata 36 anni (dal ‘69 al ‘96), della chiusura del circolo del dolore delle famiglie delle vittime, seguendo da vicino le esumazioni e la ricerca dei resti. Quindi sono due percorsi paralleli, il processo basato sul diritto romano a Ríos Montt e il processo spirituale delle comunità. Dieci anni fa, il vescovo Juan Gerardi ha pubblicato un rapporto intitolato Guatemala, Mai più, che conteneva potenti testimonianze di coloro che sempre sono stati vittime del conflitto armato in Guatemala. Il rapporto ha fornito dettagli grafici e nomi specifici di coloro che hanno commesso questi crimini ed è costato la vita al vescovo Gerardi, ucciso circa 50 ore dopo la pubblicazione del rapporto. L’omicidio è stato particolarmente brutale, poiché è stato picchiato a morte con una lastra di cemento davanti al suo luogo di residenza. Anche se alcuni complici sono stati assicurati alla giustizia, si ritiene che altri siano latitanti. La maggior parte ritiene che il delitto fosse direttamente correlato al rapporto compilato dal progetto Recupero della memoria storica (REMHI) della Chiesa cattolica. Una storia dolorosa che non ha ancora un finale e sulla quale ho iniziato a lavorare prima come volontario, nelle scuole, intervistando le persone, e poi raccogliendo i loro ritratti, ma soprattutto accompagnandoli e osservando il modo in cui vivevano il loro dolore e la loro resilienza.
DANIELE VOLPE E IL GUATEMALA
Cosa hai imparato da queste esperienze?
Il Guatemala è un Paese feudale, con un’oligarchia legata al capitale e composta da poche famiglie, e con l’indice di sviluppo più basso dell’America Latina, senza parlare della impressionante disuguaglianza: basti pensare che è la terra con più elicotteri pro capite al mondo. Diego Rivera dipinse La Gloriosa Victoria, un olio dove descrive minuziosamente il colpo di Stato del 1954 che la CIA appoggiò per rovesciare il presidente guatemalteco eletto democraticamente Jacobo Árbenz. Al centro c’è uno sbalordito Segretario di Stato americano, John Foster Dulles, che conclude un accordo con il presidente di destra del Guatemala, Castillo Armas, con accanto un missile con la faccia del presidente degli Stati Uniti Dwight. D. Eisenhower. Altri funzionari americani li circondano, incuneati tra una ribellione armata e il lavoro degli schiavi delle piantagioni di banane. In una tela crollano anni di violenza e corruzione. Rivera usa questo pezzo per evidenziare gli effetti della violenza della Guerra Fredda sulle comunità indigene e inserendolo in una cornice di lotta contro il capitalismo. L’arte può riuscire a raccontare così tanti eventi in un solo momento, informare lo spettatore su annose trame complesse, come appunto quelle di questo Paese.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Le questioni in questo piccolo e denso Paese sono ancora tantissime, e quello che cerco di fare oggi con il mio lavoro di fotografo è continuare a documentarle, soprattutto grazie alle collaborazioni con giornali internazionali come The New York Times, National Geographic, tra gli altri. Uno è sicuramente ancora il tema dell’impunità, ricordiamo che la Commissione internazionale contro l’impunità in Guatemala (CICIG), istituita il 12 dicembre 2006, è stata sciolta il 3 settembre 2019. In un Paese dove la CICIG era l’unico ente internazionale indipendente, con lo scopo di rafforzare le istituzioni del settore della giustizia. Il 7 gennaio 2019 l’accordo tra l’ONU e il Guatemala è stato finalizzato unilateralmente dal presidente Jimmy Morales, alludendo alla partecipazione della CICIG ad atti illegali, abusi di potere e atti contro la costituzione del Paese. L’ONU ha respinto e condannato questo procedimento, così come il più alto tribunale legale del Paese si è espresso contro la decisione di Morales. Ma la decisione dell’ex presidente, sostenuto dall’élite imprenditoriale, non è stata revocata dal nuovo Giammattei. Poi non dimentichiamoci che da anni Amnesty International e altre organizzazioni avvertono l’opinione pubblica nazionale e internazionale sulla repressione contro i difensori di diritti umani nel Paese. In un anno elettorale, il Guatemala ha dovuto affrontare battute d’arresto nei diritti umani e nella giustizia. Il governo ha chiuso la Commissione internazionale contro l’impunità in Guatemala e il Congresso ha discusso progetti di legge regressivi che promuovono l’impunità e le restrizioni al lavoro dei difensori dei diritti umani. Sono continuati gli attacchi contro i difensori dei diritti umani, comprese campagne diffamatorie, criminalizzazione e persino uccisioni. In Guatemala, tra il 2018 e il 2019 è stata registrata un’onda di violenza con oltre 30 omicidi e 290 casi di criminalizzazione contro i difensori della terra e del territorio. Omicidi diretti principalmente a membri d’importanti organizzazioni contadine del Paese. Solo tra gennaio 2018 e ottobre 2019, 24 membri di associazioni per la difesa della terra sono stati assassinati.
LA STORIA RECENTE DEL GUATEMALA
In quali aree specifiche accade tutto questo?
La maggior parte degli attacchi sono stati perpetrati in regioni dove operano progetti d’industria estrattiva e monocultura, dove la lotta per la difesa del territorio è più intensa a causa del grado di contaminazione, usurpazione ed espropriazione che le popolazioni autoctone denunciano costantemente. A tutto ciò si aggiunge il clima d’impunità che circonda gli omicidi e la criminalizzazione dei difensori dei diritti umani e il fatto che lo Stato non è apparso in grado di garantire una riparazione dignitosa alle organizzazioni, alle comunità e alle famiglie colpite. Poi, il tema della migrazione, del narcotraffico… Ma voglio continuare anche con i miei progetti personali, tra cui appunto quello con la comunità Ixil.
Intanto, nelle scorse settimane, la piazza della capitale guatemalteca è insorta contro il governo e il suo piano per affrontare l’emergenza COVID-19. Daniele e il suo sguardo attento stanno raccogliendo le immagini di questo presente, che parlano di un piccolo Paese ma anche della realtà troppo spesso messa da parte di questa fetta di mondo, dove le trame sono fitte e i suoi attori vengono da ogni angolo del mondo.
‒ Virginia Negro
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