Architetti d’Italia. Alvaro Ciaramaglia, l’imprenditore
La nuova puntata della rubrica sull’architettura italiana vede protagonista Alvaro Ciaramaglia, figura ingiustamente dimenticata.
Alvaro Ciaramaglia è un architetto conosciuto da pochi. Credo che esista solo un libro a lui dedicato, pubblicato nel 2009 da Prospettive Edizioni, la casa editrice dell’Ordine degli Architetti di Roma, e curato da Paola Rossi. La quale mi chiese, per l’occasione, di scrivere un breve saggio critico. Sinceramente allora non sapevo chi fosse, ma, dalle foto che Paola Rossi mi mostrò, individuai subito edifici che per imprevedibili coincidenze avevano intersecato la mia vita.
Infatti, quando, oltre trenta anni prima, nell’estate del 1971, mi ero trasferito con la mia famiglia a Roma, eravamo andati ad abitare in una casa in affitto a Largo della Gancia, nel quartiere Delle Vittorie, dalla quale ci si affacciava sul cantiere dell’edificio di via Carlo Poma, da lui progettato. È sicuramente una delle opere più interessanti realizzate nella prima metà degli Anni Settanta nella Capitale, e lo è ancora, anche se in tempi recenti è stata oggetto di un restauro discutibile a opera degli architetti Ricci e Spaini. L’edificio è stato compromesso da un maquillage che sicuramente lo ha reso più accettabile al gusto comune, trasformandolo in un piacevole edificio modernista di sapore neo olandese, ma ne ha compromesso la decisa energia plastica di sapore brutalista.
Più tardi, mia madre decise di comperare un appartamento in città. Di tutte le case in vendita che visitò, quella che sembrava più appetibile era una ubicata al terzo piano di una allora recente costruzione di piazzale degli Eroi. Mi aveva colpito per le grandi finestre inconsuete negli edifici di quel quartiere romano. Sono rimasto sorpreso nello scoprire che anche il palazzo di piazzale degli Eroi era stato disegnato e costruito dallo stesso architetto.
Di Ciaramaglia avevo in testa una terza opera. Ci era stata mostrata, senza citare il nome dell’autore, all’università, come esempio negativo, da un professore che la criticava per il cattivo uso dei materiali. Non ammetteva, infatti, che i pannelli prefabbricati nei piani mediani dell’edificio potessero essere prolungati nella parte superiore assumendo una funzione, a suo dire, decorativa. Io, invece, trovavo la soluzione particolarmente riuscita, soprattutto se paragonata con quelle di altre costruzioni che ci venivamo mostrate come modelli da imitare. Naturalmente ancora non sapevo che l’autore di via Cola di Rienzo fosse lo stesso delle palazzine di via Poma e di piazzale degli Eroi.
Così come non sospettavo che anche la palazzina di viale Parioli, di fronte al bar Cigno, fosse stata disegnata da Ciaramaglia. Appena laureato, insegnavo in una scuola lì vicino e la avevo adocchiata perché era una delle poche che proponeva in quella zona, noiosamente borghese, un linguaggio moderno.
Fin qui le coincidenze. Anche se dovrei aggiungere altri due edifici: quello di via Crescenzio perché ospitava gli uffici della Circoscrizione alla quale appartenevo e quello di via di Donna Olimpia per esserci passato numerose volte.
CIARAMAGLIA IL DIMENTICATO
Dovete immaginarvi quindi la sorpresa che ho avuto quando ho consultato le schede preparate da Paola Rossi per la monografia di Prospettive Edizioni e mi sono accorto che tutti i sei edifici erano opera della stessa persona. Per curiosità, ho cercato altre informazioni. Ne ho trovato poche. Nulla su Google e quasi nulla sui testi che trattano l’architettura romana del dopoguerra. Di lui non sapeva neanche Giorgio Muratore, uno dei più preparati conoscitori della storia edilizia romana al quale avevo telefonato per avere notizie. Un po’ forse per la ritrosia di Ciaramaglia nel farsi pubblicità. Molto, aggiungerei io, per un vizio della critica architettonica nei confronti dei professionisti più bravi. Penso alla poca attenzione ‒ di cui ho già parlato nei profili precedenti ‒ mostrata verso Luigi Pellegrin, Francesco Palpacelli, Oreste Martelli Castaldi, Ernesto Lusana, Francesco Berarducci, i fratelli Passarelli, i fratelli Luccichenti e Vincenzo Monaco, Giuseppe Perugini e Uga de Plaisant, Venturino Ventura, il gruppo Metamorph, solo per citarne alcuni. Le storie dell’architettura hanno infatti dato più spazio ai bravi disegnatori che ai costruttori e la vulgata tafuriana, che per molto tempo ha monopolizzato la critica italiana, ha privilegiato coloro che hanno puntato a una visione storicista e nostalgica. Se poi, come nel caso di Ciaramaglia, il professionista era anche un imprenditore, che costruiva con la propria impresa le case che disegnava, il silenzio era garantito in nome di un doppio pregiudizio ideologico che vedeva tout court professionisti e costruttori come speculatori se non come nemici di classe.
Approfondendo il personaggio attraverso le poche fonti recuperabili, si nota che non tutte le opere da lui realizzate hanno lo stesso valore. Ma che quelle realizzate tra gli Anni Sessanta e Settanta sono tanto notevoli da meritare spazio nei libri che trattano l’architettura italiana. Anche perché testimoniano ancora una volta che quegli anni sono stati per l’architettura romana straordinari e non si capisce perché siano passati nel dimenticatoio.
IL PROGETTO PER PIAZZALE DEGLI EROI
Primo in ordine cronologico è il progetto per piazzale degli Eroi, ideato nel 1966 e completato l’anno successivo. Si tratta di un edificio dal disegno lineare ma articolato in pianta per rispondere a una astuta strategia di inserimento nel contesto circostante. Da un lato funge da quinta rispetto a piazzale degli Eroi e così facendo contribuisce a semplificare l’immagine di quello che non si riesce a capire se è una piazza, una grande rotatoria o uno spazio di risulta dal quale si dipartono alcune importanti arterie stradali. Dall’altro lato è organizzato in modo tale da formare un piccolo slargo nella parte terminale di via Venticinque, rendendola appetibile al traffico pedonale, tanto che proprio in tale zona, successivamente, si è deciso di collocare una delle uscite della linea metropolitana.
Registriamo, inoltre, notevole attenzione per quegli aspetti psicologici che rendono un’opera attraente anche al vasto pubblico. Si noti per esempio l’alternanza ritmica tra zone scandite da fioriere in cemento e altre da parapetti trasparenti, la profusione di infissi per rendere le abitazioni non opprimenti, la cura con cui sono disegnati gli atri inserendo vetrate o altri accorgimenti prospettici, la brillante soluzione di porre la guardiola del portiere all’esterno del corpo di fabbrica per farla diventare un immediato riferimento.
L’EDIFICIO DI VIA COLA DI RIENZO
Disegnato nel 1967 e completato nel 1972 è l’edificio di via Cola di Rienzo. La palazzina ripropone uno schema che in quegli anni, sulla scia di quella di via Campania dello studio Passarelli realizzata nel 1964, ebbe un certo successo: un edificio in cui sono sovrapposti, lasciandoli formalmente indipendenti, un nucleo destinato a uffici e uno ad abitazioni. Ciaramaglia complica lo schema aggiungendo al piano terreno un nucleo destinato alle attività commerciali. È la logica dell’elenco più volte teorizzata da Bruno Zevi in cui funzioni diverse convivono rifuggendo la soluzione unitaria classicista che, invece, tende a sopprimere le differenze in nome di un modello imposto a priori.
A caratterizzare la palazzina di Ciaramaglia è inoltre l’uso dei pannelli prefabbricati previsti nel corpo centrale che si alternano a finestre longilinee. Slittando in alto e in basso, rendono meno netta la separazione fra i tre diversi corpi di fabbrica. Da qui, come dicevo, l’accusa infondata di decorativismo mossa dal professore universitario di cui parlavo in precedenza.
Trovandosi in una strada a forte valenza commerciale, il corpo sottostante adibito a negozi è risolto utilizzando ampie vetrine poste all’interno di cornici quadrate in calcestruzzo. Le quali, ispirate probabilmente dal neobrutalismo architettonico che in quegli anni si rifaceva all’ultimo Le Corbusier, saranno un motivo ricorrente in altre architetture, in particolare nella palazzina di via Poma.
LA PALAZZINA DI VIALE PARIOLI
Il capolavoro di Ciaramaglia è, a mio avviso, la palazzina di viale Parioli realizzata tra il 1968 e il 1969. Grazie a un basamento su due piani, destinato ad attività commerciali, ricostruisce il fronte urbano di viale Parioli e recupera il dislivello della adiacente via Respighi. Allo stesso tempo frammenta il volume superiore in una moltitudine di corpi di fabbrica stretti e lunghi che mettono in crisi l’idea di urbanistica compatta tipica della zona, direzionando il fabbricato lungo giaciture diverse da quelle degli altri edifici.
Probabilmente Ciamaraglia ruba l’idea di questi corpi di fabbrica dalle capsule prefabbricate e assemblate per accostamento e sovrapposizione che in quegli anni gli architetti di avanguardia ipotizzano per le città contemporanee: penso agli Archigram o ai metabolisti giapponesi e, tra questi, a Kisho Kurokawa che le proporrà per Tokyo e per l’expo di Osaka del 1970. Ma Ciaramaglia evita la prefabbricazione delle capsule fuori opera (che per esempio tenteranno in Italia i romani Luigi Pellegrin e Maurizio Sacripanti) e le tratta con raffinato tocco artigianale. Mutuata dalle migliori scuole inglesi e olandesi alle quali, del resto, si era ispirato quando aveva realizzato il palazzo di piazzale degli Eroi. Si osservi per esempio il bow window che ciascun corpo ha in testata e la sua trasformazione lungo la facciata laterale in una esile finestra alta. Alla regola, come sempre avviene nelle opere dell’architetto, si contrappongono varianti e numerose eccezioni. In altezza, per fare in modo che l’edificio assuma una forma frastagliata che lo fa dialogare con il cielo e anche nel ritmo delle campate, che non sono tutte separate dalla medesima distanza.
L’edificio in via Poma fu progettato nel 1969 e realizzato nel 1973. A differenza dei precedenti è completamente in calcestruzzo a faccia vista con una scelta che, per l’edilizia civile romana, è tanto coraggiosa quanto inusuale. Il segreto dell’edificio consiste, io credo, nei due corpi di fabbrica collegati tra loro da un corpo basso che funge da accesso al garage. In questo modo Ciaramaglia può meglio gestire tre difficili nodi urbani: il prospetto su Largo della Gancia, l’incrocio tra via Borsieri e via Brofferio e tra via Brofferio e via Poma. Nello stesso tempo, grazie allo spazio vuoto tra i due edifici, non chiude le visuali dei fabbricati che lo fronteggiano su via Borsieri e via Poma.
Diversamente dall’edificio di piazzale degli Eroi, che è giocato sulle orizzontali, questo lo è sulle verticali dei setti stretti e lunghi che lo strutturano. Non mancano, come nelle altre opere, riferimenti a Carlo Scarpa nelle finestre che intervallano i setti e forse anche nel taglio chiaroscurale che al terzo piano introduce una pausa orizzontale. Cornici di calcestruzzo, simili a quelle del piano terreno di via Cola di Rienzo, accrescono la plasticità delle facciate. Corpi scala e impianti svettanti ricordano l’edilizia neobrutalista inglese. A colpire è, infine, la cura maniacale del dettaglio – si osservino per esempio i punti in cui le cornici di calcestruzzo si incontrano con i setti ‒ consentita da una esecuzione scrupolosa e resa possibile dal fatto che costruttore e progettista coincidono in un’unica persona. C’è poco da dire: gli Anni Sessanta e Settanta furono grandi anni per l’architettura.
‒ Luigi Prestinenza Puglisi
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LE PUNTATE PRECEDENTI
Architetti d’Italia #1 – Renzo Piano
Architetti d’Italia #2 – Massimiliano Fuksas
Architetti d’Italia #3 – Stefano Boeri
Architetti d’Italia #4 – Marco Casamonti
Architetti d’Italia #5 – Cino Zucchi
Architetti d’Italia#6 – Maria Giuseppina Grasso Cannizzo
Architetti d’Italia#7 – Adolfo Natalini
Architetti d’Italia#8 – Benedetta Tagliabue
Architetti d’Italia#9 – Michele De Lucchi
Architetti d’Italia#10 – Vittorio Gregotti
Architetti d’Italia#11 – Paolo Portoghesi
Architetti d’Italia#12 – Mario Cucinella
Architetti d’Italia #13 ‒ Mario Bellini
Architetti d’Italia #14 ‒ Franco Purini
Architetti d’Italia #15 ‒ Italo Rota
Architetti d’Italia #16 ‒ Franco Zagari
Architetti d’Italia #17 ‒ Guendalina Salimei
Architetti d’Italia #18 ‒ Guido Canali
Architetti d’Italia #19 ‒ Teresa Sapey
Architetti d’Italia #20 ‒ Gianluca Peluffo
Architetti d’Italia #21 ‒ Alessandro Mendini
Architetti d’Italia #22 ‒ Carlo Ratti
Architetti d’Italia #23 ‒ Umberto Riva
Architetti d’Italia #24 ‒ Massimo Pica Ciamarra
Architetti d’Italia #25 ‒ Francesco Venezia
Architetti d’Italia #26 ‒ Dante Benini
Architetti d’Italia #27 ‒ Sergio Bianchi
Architetti d’Italia #28 ‒ Bruno Zevi
Architetti d’Italia #29 ‒ Stefano Pujatti
Architetti d’Italia #30 ‒ Aldo Rossi
Architetti d’Italia #31 ‒ Renato Nicolini
Architetti d’Italia #32 ‒ Luigi Pellegrin
Architetti d’Italia #33 ‒ Studio Nemesi
Architetti d’Italia #34 ‒ Francesco Dal Co
Architetti d’Italia #35 ‒ Marcello Guido
Architetti d’Italia #36 ‒ Manfredo Tafuri
Architetti d’Italia #37 ‒ Aldo Loris Rossi
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Architetti d’Italia #39 ‒ Gae Aulenti
Architetti d’Italia #40 ‒ Andrea Bartoli
Architetti d’Italia#41 ‒ Giancarlo De Carlo
Architetti d’Italia #42 ‒ Leonardo Ricci
Architetti d’Italia #43 ‒ Sergio Musmeci
Architetti d’Italia #44 ‒ Carlo Scarpa
Architetti d’Italia #45 ‒ Alessandro Anselmi
Architetti d’Italia #46 ‒ Orazio La Monaca
Architetti d’Italia #47 ‒ Luigi Moretti
Architetti d’Italia #48 ‒ Ignazio Gardella
Architetti d’Italia #49 ‒ Maurizio Carta
Architetti d’Italia #50 ‒ Gio Ponti
Architetti d’Italia #51 ‒ Vittorio Sgarbi
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Architetti d’Italia #58 – Giuseppe Terragni
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Architetti d’Italia #60 – Massimo Cacciari
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Architetti d’Italia #66 – Camillo Botticini
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Architetti d’Italia # 68 – Oreste Martelli Castaldi
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