A Catania il nuovo spazio della galleria Collica & Partners
Per il capoluogo etneo si tratta di un piccolo evento. Dopo un 2020 difficilissimo e una programmazione pubblica a Catania irrilevante da anni, l’apertura di uno spazio come questo, che programma tre mostre in successione, ha del miracoloso.
Collica&Partners sta a San Gregorio, estrema periferia alle pendici dell’Etna, a nove chilometri dal centro della città. Non si tratta di un debutto, perché il progetto nasce dalla solida storia di una famiglia che opera da almeno quattro decenni nel mondo delle arte contemporanea. La passione per l’arte Gianluca Collica l’ha ereditata dal padre Francesco, mattatore della scena artistica contemporanea catanese negli Anni Ottanta e Novanta dello scorso secolo.
FRANCESCO & GIANLUCA COLLICA
Francesco era un vorace collezionista e pure un mercante dotato di ottime entrature. Nella sua complessa residenza “agricola” a San Gregorio, dopo-vernissage, feste, cene e cenacoli con gli artisti più amati (e più acquistati dalla borghesia catanese) erano la regola.
Gianluca, cresciuto in questo milieu, rispetto al padre è forse caratterialmente meno esplosivo ma di certo più colto e mondialista. Ha lavorato con artisti di fama internazionale, tra i quali Carla Accardi, Vincenzo Agnetti, Mario Airò, Louise Bourgeois, Michael Beutler, Piero Guccione, Urs Lüthi, Christoph Meier, Giuseppe Penone, Jan Vercruysse, Luca Vitone, Franz West… Vanta numerose collaborazioni con musei nazionali e internazionali: LENBACHHAUS di Monaco di Baviera, Stedelijk Museum di Amsterdam, Fondazione Bevilacqua la Masa di Venezia, Museo Cantonale di Lugano. È il direttore artistico della Fondazione Brodbeck di Catania. Dal 2017 è responsabile artistico della Fondazione Radicepura di Giarre. Vanta numerose collaborazioni con amministrazioni pubbliche e in particolare tra il 1998 e il 2000 opera con il Comune di Catania.
Proprio in uno dei palmenti di famiglia, ora Collica, insieme al Maurizio d’Agata che lo aiuterà nella gestione, riprende dopo un breve periodo di silenzio un’attività che in realtà non è mai cessata.
INTERVISTA A GIANLUCA COLLICA
Collica & Partners apre i suoi spazi espostivi in un palmento. Ma cos’è esattamente un palmento?
Il palmento è la grande vasca dove si pigia l’uva per la vinificazione. Questo edificio, costruito a metà Ottocento, ne aveva ben cinque ed era conosciuto come “u Parmentazzu”, nome ancora oggi usato per individuare la zona. I miei genitori lo acquistarono negli Anni Ottanta e affidarono la ristrutturazione all’architetto Vittorio Brescia, che lo trasformò nella nostra abitazione. La galleria occupa gli spazi nei quali era allestita parte della collezione di mio padre. Noi continueremo a vivere negli appartamenti laterali: proprio in questo caso è dunque più che mai è valido il detto catanese “casa e putia”.
La ristrutturazione operata pare molto lontana dal concetto, per anni dominante nel mondo dell’arte contemporanea, di white cube. Perché questa scelta?
Il white cube è stato per molto tempo un modello di riferimento anche per me, ma con il tempo questo rapporto di amore si è profondamene incrinato, al punto da provare un profondo disagio nell’operare in spazi asettici in cui l’arte perde ogni tipo relazione con la realtà. Oggi sento la necessità di una dimensione più umana, oserei dire domestica, dove raccontare delle storie che consentano alla gente di partecipare l’arte e non di subirla. In gergo diremmo che lo spazio è “difficile”, ossia è talmente forte che rischia di avere il sopravvento sull’opera. Ma questa è la vita: la realtà è fatta di cose con cui ci confrontiamo e con le quali ingaggiamo una lotta giornaliera. In questo spazio, che è parte della mia storia, non c’è nulla di costruito a tavolino, era lì, io l’ho solo adattato alla circostanza inserendo pareti bianche per rendere meno gravoso il compito dell’artista.
Ormai da undici mesi la pandemia perseguita ogni attività rivolta al pubblico. Il progetto ne ha risentito? E la pandemia ha cambiato il tuo modo di progettare e procedere in questo lavoro?
È veramente difficile capire come muoversi in questo periodo. Abbiamo rinviato l’apertura già tre volte in base alle direttive imposte dal Governo, fino a quando ho accettato il fatto che la convivenza è l’unica soluzione possibile. Così capita di inaugurare in piena zona arancione. Io e il mio socio D’Agata dovremo imparare a navigare a vista, decidendo di volta in volta il da farsi. Intanto apriamo e quindi aspettiamo di entrare in zona gialla per organizzare probabilmente a febbraio un evento che spero con tutto il cuore di poter chiamare “festa di inaugurazione”.
Comunque sì, è cambia tutto. Anche nelle strategie del lavoro. La pandemia suggerisce un maggiore radicamento della galleria al proprio territorio, una forte attenzione per la comunicazione sia quella tradizionale quanto – forse soprattutto – quella legata al web, dove lo spazio appare intasato da informazioni che rischiano di annoiare la gente e di rendere invisibile il nostro lavoro.
La Sicilia è un’isola e in questa isola Catania è una città in piena emergenza. Non solo sanitaria, ma ancora prima sociale e istituzionale. Che visione hai al riguardo?
Catania da sempre ha espresso una imprenditoria capace e innovativa in diversi settori, compresa la cultura. Io ne sono un esempio, dimostrando con questa apertura che la cultura contemporanea nella nostra città è vitale e che crede nel suo futuro. Se pensi alla galleria come a una tessera del puzzle complesso che ingloba artisti, mercato dell’arte, comunicazione, logistica, piccola e media impresa, turismo… la cosa diventerebbe surreale se questi comparti, che pure sono in sofferenza, non fossero attivi. Credo – e come me ci sono altri imprenditori più giovani che affrontano mille difficoltà con consapevolezza – che sono proprio le crisi i momenti chiave per crescere.
Ad esempio?
Sono convinto che, senza la crisi del 2008, le piccole e medie gallerie, che sono poi quelle fatte con passione e competenza, sarebbero scomparse, fagocitate da un sistema che premiava solo chi occupava i posti al vertice della piramide. Oggi una società più orizzontale consente di avere maggior visibilità e di conseguenza opportunità per dimostrare le proprie capacità.
Purtroppo, se questa positività la riscontro nel settore privato, in quello pubblico la cosa è molto diversa. L’Istituzione rimane ingabbiata dentro le vecchie logiche clientelari che non si sposano neanche con le più semplici e ovvie strategie di sviluppo. Basterebbe poco, o almeno molta strategia e poco denaro, per dare un senso e un supporto a un comparto che appunto nel privato ha importanti esempi di eccellenza.
Proviamo a descrivere in tre righe il nuovo progetto.
Sono tre le linee di ricerca che porteremo avanti. La prima riguarda la pittura, dalla quale colpevolmente mi sono allontano diversi anni fa e alla quale desidero tornare per conoscere i nuovi codici estetici attraverso un percorso che dalla Sicilia mi porterà in giro per il mondo. Con la seconda desidero dare continuità all’esperienza maturata con diversi artisti a partire dalla grande crisi del 2008, che ha suggerito una diversa critica alla relazione tra arte e quotidianità. La terza racconta di alcuni autori che all’inizio degli Anni Novanta rappresentano con un linguaggio innovativo i valori più intimi e profondi che regolano la nostra esistenza. Come se fossero studiosi, scienziati o poeti in grado di esprimersi esclusivamente attraverso un alfabeto visivo.
Cosa proporrete dopo la mostra inaugurale?
Dopo la prima mostra, che descrive le tre linee di ricerca sopra descritte, abbiamo in programma le personali di Viola Yeşiltaç, Francesco Lauretta, Rä di Martino e Barbara Cammarata.
‒ Aldo Premoli
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