La Trilogia della guerra antifascista di Roberto Rossellini
Nella settimana in cui si celebra la Giornata della Memoria, un approfondimento sulla triade di film di Roberto Rossellini composta da “Roma città aperta”, “Paisà” e “Germania anno zero”.
Dal 1943 al 1945 Roberto Rossellini assiste al sovvertimento del ventennale regime fascista in un clima storico-politico confusionario e destabilizzante che gli ispira la realizzazione di tre nuovi film: Roma città aperta (1945), Paisà (1946) e Germania anno zero (1948).
I due anni che separano questa trilogia da quella precedente, conosciuta come la trilogia della guerra fascista (1941-43), sono catartici per la situazione socio-politica italiana, per il senso etico dei cittadini, per la presa di posizione politica degli intellettuali e per lo sguardo cinematografico di Rossellini, mai avulso dallo stile documentaristico. I suoi nuovi film rappresentano le amare conseguenze di quel regime evocato pochi anni prima in senso propagandistico nella trilogia precedente, configurandosi come vere e proprie testimonianze storiche.
ROSSELLINI E LA GUERRA
Durante il ventennio vengono create delle strutture cinematografiche istituzionali che regolamentano ordinatamente la produzione e la fruizione del cinema dell’epoca; i cineasti, per potere realizzare opere cinematografiche, sono dunque sottoposti alle logiche produttive del regime. Ma nel 1943, con la caduta del fascismo, quelle stesse istituzioni, regole e prassi entrano in crisi, così l’intero ambito cinematografico della penisola: Cinecittà, teatro di posa italiano per eccellenza, verte in condizioni misere, la pellicola è pressoché introvabile o comunque scarsamente rinvenibile e solo presso venditori ambulanti [cfr. Adriano Aprà (a cura di), Roberto Rossellini. Il mio metodo, scritti e interviste, Marsilio Editori, Venezia 2006, p. 195] oltreché costosissima, gli esterni cittadini sono invasi dall’occupazione nazifascista e le sceneggiature di carattere politico ‒ che possono infastidire il nazifascismo ‒ vengono scritte segretamente. Queste condizioni complesse accompagnano la realizzazione della nuova trilogia di Rossellini, in particolare di Roma città aperta, pensato e sceneggiato proprio durante l’occupazione di Roma (ibidem).
Rossellini, come ogni cittadino italiano, vive la tragica esperienza dell’occupazione sulla propria pelle, pertanto Roma città aperta e Paisà soprattutto sono intrisi di connotazioni autobiografiche. Il regista afferma: “In effetti, nei miei film v’è molto di autobiografico. (…) ‘Roma città aperta’ è il film della ‘paura’: della paura di tutti, ma soprattutto della mia. Anch’io ho dovuto nascondermi, anch’io sono fuggito, anch’io ho avuto amici che sono stati catturati o uccisi. Paura vera: con trentaquattro chili di meno, forse per fame, forse per quel terrore che in ‘Città aperta’ ho descritto” (ibidem, p. 92).
DA ROMA A BERLINO
La Trilogia della guerra antifascista di Rossellini sembra seguire un percorso cronologico e geografico preciso e significativo: se Roma città aperta narra l’occupazione nazifascista di Roma e la persecuzione verso gli esponenti della Resistenza da parte dei nazisti, Paisà si incentra sull’intero processo di liberazione nazionale, dalla Sicilia fino al Po, mentre Germania anno zero fuoriesce dai confini nazionali per volgere lo sguardo a una Berlino in macerie, lacerata dalla potenza distruttiva di anni di nazismo. Lo sguardo di Rossellini all’Italia e alla Germania del tempo attinge dalla funzione del documentario ‒ attenendosi fedelmente a fatti storici a lui contemporanei ‒ e dalla fiction, articolando delle trame verosimili ambientate in quei determinati contesti storico-politici, gli stessi da lui vissuti.
Proprio la forte verosimiglianza delle storie rosselliniane porta il primo distributore cinematografico cui Rossellini si rivolge per Roma città aperta a confondere il film in questione con un documentario. A tal proposito Rossellini racconta: “(…) Mi ha mandato una raccomandata dicendomi che il nostro contratto non era valido perché mancava l’oggetto del contratto, cioè il film: ciò che aveva visto non lo considerava un film, e quindi non lo ha accettato” (ibidem, p. 192) Questo aneddoto ricorda vagamente un episodio accaduto all’artista Constantin Brancusi, il quale nel 1926 spedisce la sua scultura Uccello nello spazio negli Stati Uniti consapevole che, trattandosi di un’opera d’arte, non gli viene richiesto il pagamento delle tasse doganali. Ma un funzionario della dogana, scambiando l’opera (astratta) con un utensile, reclama invece il pagamento, aprendo così un caso giudiziario.
Questa vicenda può far riflettere sul problema della mancanza di riconoscibilità di un genere e del consequenziale fraintendimento: il caso Brâncuși si basa sulla scarsa conoscenza di un doganiere dell’arte astratta contemporanea, mentre nel caso di Rossellini si tratta dell’equivoco di un distributore che non riconosce un film a causa della commistione di generi filmici (documentario e fiction).
Anche la scelta di coinvolgere attori non professionisti e di realizzare le riprese in esterni in macerie contribuisce a rendere la Trilogia antifascista in parte documentaristica: Rossellini non ama le scenografie e preferisce non adoperare attori professionisti in quanto già “addomesticati” o impostati, sebbene in Roma città aperta faccia un’eccezione per Aldo Fabrizi e Anna Magnani, coinvolti per la prima volta in ruoli drammatici. Riguardo alla scelta degli attori Rossellini racconta: “(…) Vede, se si ha a che fare con buoni artisti professionisti, questi non corrispondono mai esattamente all’idea che ci si era fatti del personaggio. Per riuscire a creare veramente il personaggio che si ha in mente, occorre che il regista ingaggi una battaglia con il suo interprete e finisca col piegarlo alla sua volontà. Siccome non ho voglia di sprecare energie in un simile combattimento, uso solo attori occasionali. E poi, quanto è difficile mettere d’accordo il buon professionista con i ‘dilettanti’! Ho quindi preferito rinunciare ai buoni attori” [Adriano Aprà (a cura di), Roberto Rossellini. Il mio metodo, scritti e interviste, op. cit. p. 51].
ROSSELLINI E GLI ATTORI
Poiché nella Trilogia antifascista molti attori interpretano se stessi, come nel caso dei soldati di Paisà, si può dunque affermare che anche la loro recitazione sia intrisa di connotati autobiografici che si sommano a quelli del regista, costituendo così delle opere cinematografiche corali. Proprio il senso di coralità, di sguardo d’insieme e di partecipazione affascina un regista come Rossellini, dando vita alla poetica del Neorealismo. Nel caso di Germania anno zero, cerca gli attori per le strade distrutte e tra le case pericolanti di Berlino, creando una troupe eterogenea composta da personaggi coinvolti in passato nella politica nazista, da perseguitati, da intellettuali e da ragazzi vaganti per le strade (ibidem, p. 61). Questo miscuglio di background tra persone con vissuti e traumi diversi ormai decise a riscattarsi moralmente segna simbolicamente una frattura decisiva con il passato nazista.
Rossellini anche questa volta avvia collaborazioni significative, ormai non più subendo o ricercando compromessi con intellettuali politicamente lontani da lui ‒ come era avvenuto per la realizzazione della trilogia propagandistica ‒, ma unendosi a esseri umani che anelano un nuovo inizio. Anche da questo punto di vista si assottiglia la fiction: lo sguardo realista e umano di Rossellini non si limita alla creazione di storie filmiche incentrate sulle tragedie contemporanee, ma riguarda anche l’organizzazione di troupe cinematografiche accomunate da lavoratori con i suoi stessi interrogativi esistenziali e caratterizzati da sensibilità affini.
Il regista Massimo Mida ricorda Carmela, una ragazza siciliana che recita in Paisà: “(…) Una ragazza cresciuta tra la miseria, assolutamente primitiva (e il suo caso, in seguito, divenne pietoso; aveva abitato per un mese con la troupe, in mezzo cioè a gente ‘civile’, e non si riadattò più, così ci raccontarono qualche tempo dopo, alla sua vita impossibile e diseredata: la prima vittima, dunque, del neorealismo che soleva appunto trasformare in attori uomini e donne presi dalla strada) (…)” (Franca Faldini, Goffredo Fofi, L’avventurosa storia del cinema italiano, Cineteca di Bologna, Bologna 2009, p. 207).
Il crudo realismo della Trilogia antifascista e il pessimismo del finale di Germania anno zero destabilizzano il pubblico italiano e tedesco del tempo, il quale risponde emotivamente con due atteggiamenti distinti: contestando la totale assenza di ottimismo riguardo ai fatti narrati oppure accettando la realtà amara I Paesi che riservano invece una grande accoglienza a questi film sono la Francia, che premia Roma città aperta con la Palma d’oro, e gli Stati Uniti, che soprattutto in Paisà vedono riconosciuto il proprio ruolo nella Liberazione dal nazifascismo.
ROSSELLINI E LA REALTÀ
Riguardo all’atteggiamento distaccato o biasimevole del pubblico, Rossellini afferma con decisione: “Volevo riprodurre la verità esattamente come l’ha vista la macchina da presa per quel pubblico di tutto il mondo che ha il cuore capace di amare e un cervello capace di pensare” (ibidem); in un’altra intervista sostiene che sia il suo sguardo realistico a imprimere nelle sue opere cinematografiche il senso tragico e la problematicità: “Dopotutto io cerco di mostrare sullo schermo la vita per quello che è, senza paura o favoritismi. Spesso mi hanno criticato per quella che chiamano una ‘visione pessimistica’ nei miei film. Ma io non sono affatto pessimista. Sono soltanto realistico e sono dispostissimo a ritrarre un mondo pieno di felicità semplice e di gioia serena se solo si crea prima un simile mondo” (ivi, p. 81).
Forse non è un caso che la Trilogia antifascista venga acclamata proprio nei Paesi alleati; se gli Stati Uniti rivestono un ruolo da protagonisti vincenti nelle vicende italiane contemporanee narrate da Rossellini, e colgono la sottile gratitudine di un cittadino italiano quale è lui, l’Italia e la Germania invece escono dalle vicende della guerra sconquassate e destabilizzate, tra la povertà e la miseria, il senso di sconfitta e, nel caso italiano, di liberazione, unitamente al sentimento di “indebitamento” morale o, meglio, di riconoscenza verso l’America. Pertanto la crudezza dei film rosselliniani mette i cittadini italiani e tedeschi dinanzi a una ferita aperta difficile da rimarginare, che non lascia la possibilità di distrarsi neanche un istante dalla realtà, stimolando una presa di coscienza.
‒ Marta Sollima
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BIBLIOGRAFIA
APRA’, ADRIANO (a cura di), Roberto Rossellini. Il mio metodo, scritti e interviste, Venezia, Marsilio Editori, 2006 [ACQUISTA QUI il libro]
FALDINI, FRANCA – FOFI GOFFREDO, L’avventurosa storia del cinema italiano, Bologna, Cineteca di Bologna, 2009 [ACQUISTA QUI il libro]
MEREGHETTI, PAOLO, Il Mereghetti. Dizionario dei film, Milano, Baldini+Castoldi, 2019 [ACQUISTA QUI il libro]
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