Con la città ancora parzialmente bloccata in risposta al Covid, la New York Fashion Week si è svolta interamente in digitale. Ha inaugurato così domenica 14 febbraio un calendario che per le presentazioni moda donna Autunno / Inverno 2021 appare anche più caotico dei precedenti, a partire dallo scorso marzo scardinati dalla pandemia. Molti i nomi importanti assenti, tra cui Ralph Lauren, Michael Kors, Marc Jacobs, Oscar de la Renta, e Carolina Herrera. Mancava anche il presidente del Council of Fashion Designers of America Tom Ford, che ha posticipato la sua sfilata poche ore prima del debutto programmato. Il 2020 non è stato un periodo facile per la moda in generale, ancor più per quella americana: il settore dei beni di lusso si è dimostrato particolarmente colpito dalla pandemia, solo i grandi marchi europei sostenuti da conglomerati di Kering e LVMH quelli se la sono cavata meglio.
LA MODA E IL CAOS PANDEMICO
E tuttavia il caos attuale non è specifico della situazione americana. Versace (marchio in origine italiano poi acquisito dall’americano Michael Kors) anziché a Milano sfilerà durante la settimana della moda di Parigi. Gucci e Bottega Veneta (di proprietà del gruppo francese Kering) sfileranno se e quando e se ne avranno voglia. Pieter Mulier che ha preso le redini lo scorso 5 febbraio della maison del compianto Azzedine Alaïa (ora di proprietà del gruppo sudafricano-svizzero Richemont) ha dichiarato che presenterà la sua prima collezione p/e 2022 “quando sarà a punto e davvero pronta” … Ma andiamo con ordine anche se – visto le circostanze – un’affermazione del genere pare un ossimoro. Succede che terminate le presentazioni americane il calendario delle fashion week prevede quelle di Londra e Milano (ora in corso) per concludersi a Parigi il 9 marzo. Tuttavia queste distinzioni appaiono sempre meno significative: i marchi hanno cominciato a pianificare il rilascio della loro collezioni senza rispettare nessun calendario. Esattamente come fanno da tempo i loro competitor del segmento fast fashion e prima di loro già facevamo i colossi dell’abbigliamento sportivo come Nike, Adidas o Reebok.
LA SCOMPARSA DEI MARCHI DALLE FASHION WEEK
La scomparsa di un marchio dalle fashion week era fino a poco tempo fa considerata come un segno di seri problemi finanziari: e difatti pochissimi in precedenza hanno osato un gesto del genere. Prima della pandemia, i tentativi dei designer di creare spazio per la loro vita privata erano accolti con sorpresa. Quando Phoebe Philo al terzo trimestre di gravidanza ha cancellato la presentazione della collezione Celine del 2012 la decisione ha fatto scalpore. Così è apparsa sospetta la decisione di Raf Simons (che ora viaggia in tandem con Miuccia Prada) di lasciare la direzione di Dior nel 2015. Anche Narciso Rodriguez nel 2018 ha di fatto, ridimensionato le sue collezioni ripromettendosi di concentrarsi sui vestiti e sui clienti piuttosto che sul trambusto delle passerelle. Solo oggi queste scelte cominciano ad essere comprese, se non proprio apprezzate: altri designer si stanno allontanando dalle dimensioni esorbitanti delle precedenti collezioni e dai ritmi assurdi imposti precedentemente dal sistema A New York e Londra in ogni caso qualcosa di pregevole è pure avvenuto. Ad esempio da Gabriela Hearst e Vivienne Westwood.
L’IDENTITÀ DIGITALE DI GABRIELA HEARST
Gabriela Hearst è una griffe che ha debuttato lo scorso anno ma già comincia ad avere seguito oltre le coste americane: la sua nuova collezione è dotata di “un’identità digitale” in grado di memorizzare su ogni capo informazioni provenienti da clienti, rivenditori, nuovi proprietari e riciclatori. Attivando i codici QR sull’etichetta del capo acquistato si ottiene l’accesso a informazioni che comprendono i materiali utilizzati, il paese di origine, il processo di produzione. La Hearst ritiene che entro cinque anni questo tipo di trasparenza del prodotto diventerà l’aspettativa standard dei clienti. Dare identità digitali all’abbigliamento è visto come uno strumento chiave per potenziare la circolarità nella moda: compreso il noleggio dei capi, la rivendita e il riciclaggio. Oltre a Gabriela Hearst, in questa direzione si stanno muovendo altri marchi di moda, dal lusso al fast fashion come H&M, Target, PVH Corp, Microsoft, Waste Management e più di una dozzina di organizzazioni accademiche che fanno riferimento alla moda sostenibile. Non solo giovani promesse hanno intrapreso con decisione questa strada. Vivienne Westwood la riconosciuta regina-madre del fashion Made in England ha il presentato lo scorso 18 febbraio un look book in cui dichiara dichiara che il 90% dei materiali utilizzati per la nuova collezione sono stati scelti per il loro “impatto ridotto sul nostro ambiente”. Grazie al suo sguardo anticonformista ha mixato l’urgenza ecologica con un motivo che proviene dal Dafni e Cloe, dipinto del 1743 di François Boucher, ora parte della meravigliosa Collezione Wallace. Lo ha utilizzato stampandolo su camicie, t-shirt, jeans, body, parka e abiti in competizione con quadretti, strisce spina di pesce. Non diversamente da Boucher, Westwood è maestra nel sovvertire l’apparente invocando ciò che è veritiero… purché indisciplinato.
– Aldo Premoli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati