Arte e musica. Intervista a Francesco Bianconi dei Baustelle
Il secondo appuntamento con la rubrica dell’artista Samantha Stella presenta il ritratto di Francesco Bianconi, frontman della band Baustelle.
Francesco Bianconi (Montepulciano, 1973) è un cantautore, musicista e scrittore, frontman della band indie rock Baustelle dal 1996. Passato nel 2005 da un’etichetta indipendente alla multinazionale Warner, il gruppo colleziona negli anni plurimi riconoscimenti di disco d’oro e platino, e primi e secondi posti alla Targa Tenco come “miglior disco dell’anno”. Tra le numerose collaborazioni ricordiamo l’orchestra sinfonica di 60 elementi Film Harmony Orchestra di Breslavia, e il compositore e arrangiatore Enrico Gabrielli (The Winstons), che nel tour del 2013 dirige l’orchestra sinfonica Ensemble Simphony Orchestra per cinque concerti dei Baustelle in grandi teatri italiani.
Alcuni brani della band sono scelti o scritti per colonne sonore di film, altri sono realizzati per spot pubblicitari come quello della casa di moda Gucci dove, nel 2017, Bianconi sfila come testimonial. Oltre a un’ampia carriera con i Baustelle (da anni incentrati su una formazione a tre insieme a Rachele Bastrenghi e Claudio Brasini), Bianconi è anche autore di canzoni per altri interpreti, come Syria, Irene Grandi, Paola Turci, Noemi, Anna Oxa e Gianna Nannini. Appassionato di cantautori degli Anni Sessanta come Serge Gaingsbourg, George Brassens e Jacques Brel, e degli italiani Fabrizio De André e Piero Ciampi, Bianconi ha esordito nel mondo letterario con due suoi romanzi e un libro di poesie e foto, e la prefazione di un libro che raccoglie interviste e pensieri del cantautore canadese Leonard Cohen. Realizza audiolibri e reading poetici, come la lettura del canto nono dell’Eneide, e dei brani del Pinocchio di Collodi. Nel 2020 la pubblicazione del suo primo album da solista intitolato Forever, prodotto da Amedeo Pace, componente dei Blonde Redhead, con numerose collaborazioni internazionali.
La tua definizione di arte.
La parola arte viene usata spesso a sproposito e fuori contesto. Per me arte è un lavoro cosciente e creativo di un essere umano che deve rompere dei codici preesistenti oppure rimescolare, scombinare e ricombinare a tal punto i codici esistenti da raggiungere un carattere di novità o comunque una portata rivoluzionaria. Si tratta di una definizione un po’ alla Umberto Eco che serve molto anche a me per riportare i piedi sulla terra. Vedo che il mondo è pieno di troppi sedicenti artisti, credo occorra tecnicamente ripensare a cosa sia e definirla seriamente.
La tua definizione di musica.
La definizione di musica è più semplice, si tratta di produzione cosciente di suoni. Le caratteristiche e l’organizzazione di questi suoni poi danno origine ai vari generi e stili di musica. Anche qui c’è un uomo cosciente che decide di riprodurre un suono. Nelle migliori sue manifestazioni, avendo le caratteristiche di cui alla mia risposta precedente, la musica può essere considerata all’interno dell’arte. C’è molta musica che per me non è arte ma è cliché, artigianato, non ha nulla che rompa i codici e ne crei di nuovi.
Ti definisci un “artista”?
No, io non mi definisco un artista, faccio musica, canzoni, però deve essere qualcuno, un critico, un giornalista a giudicare se il mio lavoro ha rotto dei codici e ne ha inventato di nuovi oppure no. Io non penso, non spetta a me stabilirlo, riesco a essere forte in quello che comunico, nella mia espressione, senza dovermi legittimare come artista. Io esprimo, e qualcun’altro poi dirà, la storia, gli altri uomini.
ARTE E MUSICA SECONDO BIANCONI
L’opera di arte visiva che più ami.
In generale sono molto affascinato dalla pittura figurativa, dai ritratti, mi piace Francis Bacon, ma anche Caravaggio, e vorrei dipingere, mi sono ripromesso che vorrei provare anche questa cosa, ero bravo alle medie, e adesso ho mia figlia che è molto brava e a volte dipingo con lei. Mi piace molto però anche il rigore della pittura medievale, le icone russe, i fondi dorati, l’organizzazione decorativa dello spazio.
La canzone che più apprezzi.
Mi rendo conto, più passa il tempo, di amare cose molte classiche, se parliamo di forma canzone, i cantautori francesi, ecco potrei dirti Jacques Brel. Come fusione di complessità musicale con una complessità di testo, secondo me Brel ha scritto una delle canzoni più belle ed emozionanti della storia della canzone, Ne me quitte pas.
I tuoi recenti progetti.
La pandemia, nel suo essere una cosa tragica, mi ha spinto, dopo una prima fase di sgomento e inazione, a inventarmi nuove cose, come appunto Storie inventate, sorta di trasmissione che facevamo dallo studio di casa mia con il mio pianista dove cantavamo dal vivo, un po’ Forever style, abbinato all’intervento di un amico non musicista. Oppure Forever Accade, sorta di mini spettacoli itineranti, ovviamente senza pubblico, pensati per una fruizione in streaming, in cui suonavamo e lo scrittore Valerio Millefoglie raccontava storie, o rispondevamo a lettere ricevute dal pubblico. Ho capito, e mi ricollego ai sedicenti artisti di prima, che per fare l’artista bisogna usare la creazione. Spero quindi che il periodo che viviamo insegni a chi pratica mestieri creativi a inventarsi forme alternative di comunicazione ed espressione, anche per uscire da questa forma del tutto italiana ‒ dove, anche per chi arriva dalla musica alternativa, l’unica via sembra poi quella di adeguarsi agli standard di comunicazione e promozione del mainstream ‒ di disco, singoli, promozione, radio e, se si è fortunati, Sanremo.
Un ricordo della tua vita.
Mi ricordo con grande felicità la prima volta che i miei genitori mi portarono a Venezia, arrivare col vaporetto nel cuore del caos e dei turisti a Piazza San Marco. Io ero un bambino, credo di essere rimasto strabiliato, nonostante sia vissuto in un paese vicino a Siena e fossi abituato comunque a delle forme di bellezza. Venezia è stata una botta di bellezza e ogni volta che vi ritorno penso sempre a questa sensazione, questo sentirmi quasi svenire, come nella sindrome di Stendhal.
‒ Samantha Stella
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