I simboli nell’arte. Il giuramento degli Orazi di Jacques-Louis David
Una lettura iconologica del Giuramento degli Orazi dipinto da Jacques-Louis David nel 1784. Un’opera che mescola storia antica e fermenti rivoluzionari destinati a cambiare un’epoca.
Il giuramento degli Orazi fu realizzato dal pittore francese Jacques-Louis David nel 1784.
È oggi conservato nel Musée du Louvre di Parigi. L’opera, considerata quale manifesto del Neoclassicismo, fu ispirata dal dramma teatrale di Pierre Corneille, l‘Horace, il quale a sua volta aveva tratto il soggetto dalla narrazione della Storia di Roma, redatta da Tito Livio, in cui si tratta della guerra scatenatasi intorno al 673-642 a. C. tra le città di Roma e Albalonga sotto il regno di Tullio Ostilio.
LA STORIA DI ORAZI E CURIAZI
Per evitare un massiccio spargimento di sangue, i due popoli affidarono le sorti della guerra ai propri campioni. “Per puro caso in entrambi gli eserciti c’erano allora tre fratelli gemelli non troppo diversi né per età né per forza. Si trattava degli Orazi e dei Curiazi. […] I re propongono ai tre gemelli un combattimento nel quale ciascuno si sarebbe battuto per la propria città: alla parte vittoriosa sarebbe toccata anche la supremazia
(Tito Livio, Storia di Roma, Libro I -24). In quegli anni, però, i vincoli di sangue erano già da tempo molto stretti tra i due popoli. Infatti numerose famiglie di Roma e Albalonga si erano unite tra di loro con matrimoni, come era accaduto tra Sabina, moglie del romano Orazio, e Camilla, romana figlia del vecchio Orazio, fidanzata dell’albano Curiazio.
Nella scena viene mostrato un momento molto intimo e drammatico della vicenda, in cui il padre dei tre Orazi porge le armi e impetra la benedizione degli dei di Roma sul giuramento dei suoi tre figli, mentre i nipoti vengono con un gesto di protezione accolti dalla nonna, sua sposa, e sua nuora Sabina, insieme alla di lui figlia, Camilla, piangono per la triste sorte che sta per accanirsi sulla loro famiglia, che, comunque andrà, sarà colpita dal lutto.
La figlia del vecchio pater familias Orazio, Camilla, è la donna al centro vestita di marrone e blu, fidanzata di un Curiazio di Albalonga, che si appoggia a Sabina, vestita di bianco, affranta anch’essa dal dolore, in quanto è sorella dei Curiazi ma sposa di uno degli Orazi.
Il tacito messaggio di quest’opera è che quella che viene combattuta altro ormai non è che una guerra civile, fratricida, perché coloro che dovrebbero essere nemici sono ormai troppo strettamente imparentati tra di loro.
Nell’aspro combattimento, sulle prime parve che i Curiazi di Albalonga avessero il vantaggio. Infatti, dopo essere stati feriti tutti e tre, riuscirono a uccidere due degli Orazî. Suscitando all’inizio grande sdegno da parte dell’esercito e del popolo di Roma, sembrò che il terzo romano volesse fuggire per salvare la vita, tanto che il padre, Orazio, era già pronto a trucidarlo con le proprie mani, per il suo tradimento e per lavare la macchia d’infamia che avrebbe per sempre contaminato la sua famiglia, compresi i discendenti.
In realtà il terzo Orazio, con la finta fuga, riuscì a separare i tre Curiazi, che avevano ferite di diversa gravità e che lo inseguivano, e tornando sui suoi passi, li affrontò individualmente lungo il percorso e li uccise uno dopo l’altro, vincendo la sfida. La sua astuta mossa decise così della supremazia romana sul popolo di Albalonga.
Come narrato già da Tito Livio, la povera Camilla, sorella dell’Orazio vincitore, vedendo il fratello tornare portando con sé le armi prese ai nemici uccisi, riconobbe la mantella militare del fidanzato che lei stessa aveva confezionato, e piangendo accusò il giovane di aver trucidato l’uomo che amava, maledicendo la guerra che aveva reso nemici i due popoli. Allora l’Orazio, in un impeto d’ira, uccise la sorella con la medesima spada che aveva dato la morte al suo promesso sposo. “Di fronte alla porta Capena gli andò incontro sua sorella, ancora nubile, che era stata promessa in sposa a uno dei Curiazi. Appena riconobbe sulle spalle del fratello la mantella militare del fidanzato che lei stessa aveva confezionato, si sciolse i capelli e in lacrime ripeté sommessamente il nome del caduto. Il suo pianto, proprio nel momento del tripudio pubblico per la vittoria, irrita l’animo del giovane impetuoso che, estratta la spada, trafigge la ragazza rivolgendole nel contempo queste parole di biasimo: ‘Vattene con la tua bambinesca infatuazione, vattene dal tuo fidanzato, tu che riesci a dimenticare i tuoi fratelli morti e quello vivo e addirittura la patria. Possa così morire ogni romana che piangerà il nemico’” (Tito Livio, Storia di Roma, Libro I -26).
IL DIPINTO DI DAVID
La scena appare divisa da una profonda antitesi evocata dalle forme che emergono dalle figure. Da una parte le linee rette e le diagonali ascendenti inviano un messaggio di forza virile, determinazione, dinamismo; dall’altra le forme curvilinee trasmettono un’idea di rassegnato dolore muliebre, di femminile debolezza e inadeguatezza che rende incapaci di ribellarsi alla sorte. Il centro focale pittorico e concettuale è dato dal pugno del vecchio pater familias che regge le spade. Lui è simbolo della Patria che chiama i suoi figli alle armi e che pretende che essi offrano le loro vite. I tre giovani sono simbolo dell’esercito che combatte, le tre donne del popolo che soffre. Il numero tre ricorre più volte nell’opera: tre le donne, tre le spade, tre i gemelli Orazi, tre gli archi a tutto sesto alle loro spalle.
I colori presenti sono il bianco, il rosso, il blu e l’oro, che rimandano ai colori tipici dello stemma del re Borbone Luigi XVI, che aveva, attraverso uno dei suoi nobili, commissionato il dipinto. Tre sono i gigli dello stemma reale, che rimandano alle else delle spade tenute in mano dal padre, e vediamo che la lancia, tenuta da uno dei due angeli, nello stemma, è congruente con quella afferrata da uno dei tre fratelli Orazi.
Parrebbe quindi che l’opera non sia altro che un richiamo al valore delle armi di un popolo fedele alla patria e al proprio sovrano. Il dipinto fu realizzato però nel 1784, appena cinque anni prima della presa della Bastiglia che diede ufficialmente inizio alla Rivoluzione francese.
Il 14 gennaio di quello stesso anno, dopo il successo della Rivoluzione americana, oltreoceano, il Congresso continentale, cioè l’organo deliberativo delle Tredici Colonie del Nord, ratifica il Trattato di Parigi che le colonie hanno stretto con Inghilterra, Francia e Spagna, con il quale veniva riconosciuta l’indipendenza degli Stati Uniti d’America.
Quindi, nei cuori e nelle menti degli intellettuali e artisti francesi, già covava, sotto la cenere, un desiderio ardente di libertà, soprattutto dopo il successo ottenuto dalle ex colonie in America che si erano costituite ormai come Stato libero e indipendente.
Lo stesso Jacques-Louis David, parecchi anni più tardi, dopo la restaurazione del 1816, fu punito con l’esilio dal nuovo re Luigi XVIII, in quanto aveva fatto parte, durante gli anni della Rivoluzione francese, della Convenzione che votò a favore della decapitazione di re Luigi XVI e di sua moglie la regina Maria Antonietta. Cosa dunque David aveva effettivamente dipinto con il giuramento degli Orazi? Si tratta di un’opera polisemantica, che mentre può essere interpretata con un omaggio all’amor di Patria e di fedeltà ai Borbone, nasconde in sé il germe della ribellione che ‒ David già lo prefigura con le tre spade, due delle quali non romane, ma contemporanee all’artista ‒ darà luogo a una guerra civile e fratricida tra francesi, aventi lo stesso sangue, uniti da vincoli matrimoniali e di parentela, ma che si volgeranno “l’un contro l’altro armato”, e saranno lordati da un mare di sangue.
IL DESTINO DELLA FRANCIA
Questo sangue viene evocato nella scena dal colore rosso del mantello del padre e di due dei figli, quelli che moriranno, ma anche dai panneggi sulle sedute delle due donne che piangeranno la morte del fidanzato e dei fratelli. Camilla dovrà anch’essa versare il proprio sangue, uccisa per mano del fratello. Una strage familiare dunque attende gli Orazi ma anche l’intera Francia. David ne è consapevole, ma è convinto che per la libertà occorrerà recidere anche i legami più stretti, dimenticando, anzi, rinnegando, pure gli affetti più cari.
Ancora il numero tre viene evocato dalla scena. Per distruggere l’ancient regime e la sua divisione in tre caste ‒ nobili, clero e popolo ‒ ci si dovrà servire delle tre armi che la Rivoluzione francese recherà con sé, i concetti illuministici di Égalitè, Fraternité e Liberté.
‒ Cinzia Ligas e Fausto Crepaldi
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