Rifkin’s Festival, Woody Allen omaggia il cinema europeo

Finalmente arriva al cinema il nuovo film di Woody Allen. Non è il miglior film di Woody Allen, ma sicuramente dividerà il pubblico. Tra chi si lascerà trasportare dalla sua malinconia e chi deciderà di starne fuori

Non è il migliore Woody Allen, né il peggiore. È semplicemente il film di un regista che ama il cinema. Rifkin’s Festival arriva nei cinema italiani dal 6 maggio con Vision Distribution. È uno dei titoli più attesi, rimasti appesi durante la chiusura delle sale, e che ha resistito alla tentazione delle piattaforme. È la storia di Mort Rifkin (interpretato Wallace Shawn, forse il miglior alter ego di sempre per Allen; l’attore che debuttò proprio in Manhattan), ex docente di cinema alle prese con la scrittura del suo nuovo libro, che si reca al Festival di San Sebastian per accompagnare la moglie, press agent (Gina Gershon) di un giovane regista presuntuoso e narcisista (l’incantevole Louis Garrel). Galeotto il clima da Festival cinematografico, la signora Rifkin avvia un affaire con il suo assistito e Mort, ipocondriaco come Allen – se non di più -, finisce con l’invaghirsi perdutamente della bella Elena Anaya, cardiologa e appassionata di cinema. In questo intreccio di relazioni, di cui Woody Allen è maestro, rivive il più bel cinema europeo, quello che ha fatto la storia e la differenza.

Rifkin’s Festival, Woody Allen omaggia il cinema europeo

Rifkin’s Festival, Woody Allen omaggia il cinema europeo

ALLEN CONTRO IL CINEMA DEGLI STUDIOS

Rifkin’s Festival è un festival nel festival. Nel contesto tipico della kermesse cinematografica Woody Allen ambienta una danza di film del passato che reinterpreta in chiave personale seguendo il suo pensiero di autore e scrittore e quello del suo protagonista. “Amavo i festival”, ci informa subito Mort Rifkin, “ma quando il cinema era arte”. Così, sin dalle prime battute, Allen lancia il sasso ma attenzione, non nasconde la mano. Nel corso del film compie un vero viaggio del e nel cinema, mettendo a fuoco il suo pensiero e prendendo una precisa posizione. Usa il suo protagonista per comunicare la sua avversione nei confronti del mondo contemporaneo del cinema, degli Studios hollywoodiani e dei giovani registi convinti di potere sbrogliare i grandi problemi del mondo con i loro film. Rifkin’s Festival gioca completamente sulla tipica vena dissacratoria di Woody Allen. Non un semplice capriccio di un grande regista ora abbandonato dai colossi americani per via delle note questioni private, ma il silenzioso grido di un uomo che di cinema ne ha fatto tanto, ha creato capolavori e scritto personaggi con cui milioni di spettatori nel corso del tempo hanno creato un sincero legame.

DA WELLS A BERGMAN, CHE AMORE PER IL CINEMA

Rifkin’s Festival ha un messaggio tutto europeo. Invita a guardare alla cinematografia del vecchio continente con ammirazione, rispetto e riguardo. Una cinematografia che non ha nulla da invidiare a quella americana e che oltre oceano ha molta più considerazione di quanto forse riusciamo a immaginare. Ed è così che, in questo film così colorato – in cui si rinnova la collaborazione tra Allen e il direttore della fotografia Vittorio Storaro – piombano in diversi momenti il bianco e il nero, pretesto e mezzo per staccare i personaggi del film dalla loro realtà, catapultandoli nell’universo cinematografico del passato in perfetta chiave comica e onirica. Già nei primi 10 minuti del film siamo trasportati dentro Quarto Potere, dove la famosa slitta Rosebud è ribattezzata Rose Budnick, e in una sequenza alla 8 e 1/2, dove Mort incontra i suoi genitori e il Rabbino. Da qui inizia lo spumeggiante festival nella testa del protagonista, un festival d’immagini che guidano lo spettatore in uno stato fantastico in cui si incontrano cinema e arte attraverso film di registi come Orson Wellls, Fellini, Godard, Bunuel, Bergman, Truffaut. Tutti film riconoscibilissimi ai grandi amanti del cinema. Titoli popolari che, in un senso o in un altro, legano tra loro i temi cari a Woody Allen. Per questo motivo, seppur Rifkin’s Festival può apparire come la dichiarazione di un regista stanco, stufo, e quindi malinconico, sarà amato da chi da sempre lo ama per la sua ipocondria e il suo sarcasmo, per il suo smarrirsi nei discorsi e il perdersi tra le strade di una città, per i suoi personaggi pieni di difetti e vittime di continui equivoci.

Margherita Bordino

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Margherita Bordino

Margherita Bordino

Classe 1989. Calabrese trapiantata a Roma, prima per il giornalismo d’inchiesta e poi per la settima arte. Vive per scrivere e scrive per vivere, se possibile di cinema o politica. Con la valigia in mano tutto l’anno, quasi sempre in…

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