700 anni senza Dante. La grandiosa mostra a Forlì
La cittadina romagnola e Firenze hanno unito le forze per rendere omaggio a Dante Alighieri con una mostra che definire “grande” è riduttivo. Fino all'11 luglio, ai Musei San Domenico di Forlì si affrontano i molti temi della figura del poeta e la fortuna visiva internazionale del suo capolavoro.
“Nel 2021 dobbiamo fare Dante, e dobbiamo farlo insieme”, disse tempo fa Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi, a Gianfranco Brunelli, come racconta quest’ultimo. E fu così che gli Uffizi andarono in trasferta nella piccola Forlì, potremmo continuare noi se volessimo narrare una storia di collaborazione davvero straordinaria, resa senza dubbio possibile da quindici anni di mostre eccellenti promosse dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì.
Una storia con un autentico happy end perché da poco, nonostante tutto, è stata inaugurata e aperta al pubblico la grandiosa esposizione che celebra i 700 anni dalla morte del Sommo Poeta, e lo fa con circa trecento opere tra cui, tanto per dire, quattro tavole di Giotto, e poi manoscritti medievali, sculture romane, affreschi staccati, incisioni e oggetti liturgici, e ancora tanti, tantissimi dipinti.
Un percorso ricco e complesso, che comincia dal tema del Giudizio Finale, perché rappresenta il “concetto e criterio orientativo della Commedia di Dante. Senza il quale l’intero poema non può operare, perché senza questo momento definitivo non ci sarà l’eterna salvezza”, scrive Brunelli in catalogo.
I REGISTRI DELLA MOSTRA SU DANTE ALIGHIERI
L’esposizione entra quindi nel vivo e indaga la fortuna e il mito di Dante, ed ecco allora i ritratti del poeta come quelli straordinari di Andrea del Castagno (che si affianca all’effige di Giovanni Boccaccio) e di Sandro Botticelli, mentre nelle teche i codici miniati testimoniano la fortuna che ebbe fin dall’inizio la Commedia, dove compaiono già le prime immagini tratte dalle allegorie dantesche e che così profondamente hanno influenzato la nostra cultura visiva, dai mostri dell’Inferno alla luce della salvezza. Senza dimenticare quel Giudizio dipinto da Michelangelo, che non può prescindere da Dante e a cui viene ancor oggi associata la potenza visionaria della Commedia. Per arrivare poi alla riscoperta del Medioevo da parte dei cosiddetti pittori Nazareni che, stranieri a Roma, trovano proprio in Dante una sorta di guida, lui che era stato guidato da Virgilio e Beatrice.
Ma non c’è solo il poema al centro della mostra: c’è il Dante “civile” che l’arte e la letteratura adottano come simbolo proprio nel passaggio dell’Unità d’Italia, e poi oltre, se pensiamo che Felice Casorati “arruolò” il fiorentino per due dipinti realizzati in piena Prima Guerra Mondiale.
Il Refettorio di San Domenico ospita invece un’ampia rassegna di grafiche: da Gustav Doré ad Arturo Martini, da Duilio Cambellotti ad Amos Nattini, le opere su carta precedono e seguono le grandi edizioni dantesche che, tra Otto e Novecento, circolano sempre più. Un secondo capitolo della mostra è definito “Diventare Dante” e rilegge il protagonista attraverso il magistero degli antichi, lo colloca nella sua dimensione politica e sfiora la Vita Nova grazie a Dante Gabriel Rossetti che, con la sua Beatrice, affronta il cruciale tema della donna.
LA DIVINA COMMEDIA IN MOSTRA: LA “SALITA” ALL’INFERNO
Ma Inferno, Purgatorio e Paradiso? Niente paura, alle tre cantiche è dedicato tutto il primo piano del complesso museale, e “Di canto in canto” – recita il titolo – non mancano i leggendari personaggi visti attraverso le lenti dei pittori: Paolo e Francesca, Farinata degli Uberti, Ugolino, Pia de’ Tolomei, quindi la lunga carrellata prosegue con il Purgatorio e approda infine all’empireo tra santi e beati, culminando nell’ultima sala che richiama il 33esimo canto, non solo l’ultimo del Paradiso ma l’ultimo della Commedia, “quello che non viene mai letto a scuola”, si rammarica a ragione il teologo Brunelli in conferenza stampa.
La preghiera di San Bernardo è evocata nella figura della Vergine, mentre un’incredibile Trinità di Lorenzo Lotto, “pittore inquieto, interlocutore di domenicani e francescani” con un Cristo risorto segnato dalle piaghe della crocifissione “comunica la figura dell’uomo in cielo. ‘Nostra effigie’. Figura dell’uomo che Dante cerca in Dio”. E per riveder le stelle, a Forlì, verrebbe voglia di rifare il viaggio a ritroso per godersi di nuovo le opere, trovare i loro legami e sprofondare nei loro significati.
– Marta Santacatterina
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