Autenticità e copyright. Il caso del Basquiat trasformato in NFT
Quali sono i diritti e gli obblighi di chi acquista un’opera d’arte tokenizzata, soprattutto nel caso in cui questa non sia nativa digitale? Possono sorgere dei problemi e qui vi spieghiamo perché.
Il comunicato stampa di qualche giorno fa sembrava parlare chiaro: dal 26 al 30 aprile scorsi avrebbe dovuto essere venduto all’asta, attraverso la piattaforma online OpenSea, il disegno di Jean-Michel Basquiat Free Comb with Pagoda (1986), nonché il relativo NFT (Non Fungible Token), con base d’asta di un Ethereum (circa 2.500 dollari).
Nel comunicato si leggeva che l’opera “fisica” di Basquiat – il disegno per intenderci – e la sua firma erano stati certificati dal comitato di autentificazione dell’Estate of Jean-Michel Basquiat, e che insieme al token sarebbero stati acquistati dal miglior offerente tutti i diritti d’autore sull’opera, nonché – addirittura – il diritto discrezionale del compratore di distruggere l’esemplare dell’opera “fisica”.
Senonché pochi giorni dopo l’annuncio, la fondazione dell’artista ha bloccato la vendita e annunciato a The Art Newspaper tramite il proprio agente che in realtà tutti i diritti d’autore sull’opera in questione sono di titolarità dell’Estate, e che nessun diritto è stato ceduto all’attuale proprietario, che dunque non li avrebbe potuti mettere all’asta.
Il caso dell’opera tokenizzata di Basquiat ci pare renda evidente quello che in realtà sembra chiaro già da tempo: la tecnologia blockchain può aiutare a portare certezza circa la paternità dell’opera e la trasmissione dei diritti d’autore solo nell’ambito dell’arte (nativa) digitale, oppure sottoposta a processo di digitalizzazione e tokenizzazione direttamente da parte dell’artista; la certezza sarà tuttavia più difficile da raggiungere nel caso di digitalizzazione e tokenizzazione eseguita da parte di terzi.
Cerchiamo di capire meglio.
ARTE DIGITALE, ARTE DIGITALIZZATA E CRYPTO ART
Si parla di arte (nativa) digitale per indicare tutte quelle forme d’arte nate appunto tramite una tecnologia digitale (computer, macchina fotografica e simili) e destinate a essere riprodotte esclusivamente grazie a supporti digitali.
Diversa è invece un’opera d’arte “digitalizzata”, cioè nata su un supporto fisico e successivamente trasformata in formato digitale, come il disegno di Basquiat che stava per andare all’asta. Sia un’opera del primo tipo che un’opera del secondo possono essere oggetto di tokenizzazione, cioè essere inserite in un NFT, un certificato elettronico con un codice criptato che sfrutta la tecnologia blockchain, diventando così crypto art.
Gli NFT sono beni digitali unici, i cui relativi dati – come quelli relativi all’autentica o ai diritti di copyright – possono essere registrati e gestiti tramite blockchain.
CRYPTO ART E AUTENTICA
Uno dei problemi principali di chi acquista un’opera d’arte è il certificato di autentica, cioè il documento che attesta appunto l’autenticità e l’attribuzione dell’opera.
Da qualche anno si parla molto della tecnologia blockchain in relazione al mondo dell’arte, in particolare proprio con la finalità di portare chiarezza e univocità nell’ambito dell’autentica, poiché si dice che grazie a questa tecnologia un’opera diventa “unica e autentica”.
Ma è proprio così? In realtà il discorso non è così lineare ed è comunque opportuno distinguere tra arte nativa digitale e arte digitalizzata.
Solo nel caso di opera nativa digitale o sottoposta a processo di digitalizzazione e tokenizzazione da parte dell’artista che l’ha eseguita, quando cioè è stato l’artista stesso a inserire i dati nella blockchain – come Everydays: The First 5000 Days di Beeple o Nyan Cat di Chris Torres – si potrà infatti essere (quasi) certi che quei dati siano veritieri, e che dunque ci si trovi di fronte a un’opera autentica, vale a dire effettivamente proveniente dall’autore che l’ha creata.
Diverso è il caso in cui l’opera è stata sottoposta a processo di digitalizzazione e tokenizzazione da parte di terzi, come nel caso del disegno di Basquiat Free Comb with Pagoda trasformato in NFT dal suo proprietario. In un caso come questo, infatti, anche se le informazioni relative all’opera sono contenute in un token e gestite dalla blockchain, tuttavia non è possibile essere certi che le informazioni in esso contenute siano corrette e veritiere, se esse non lo sono “a monte”, come nel caso in cui l’opera digitalizzata e tokenizzata fosse un falso.
“Uno dei problemi principali di chi acquista un’opera d’arte è il certificato di autentica, cioè il documento che attesta appunto l’autenticità e l’attribuzione dell’opera”.
Un discorso analogo può farsi con ferimento ai diritti d’autore: il fatto che essi siano “inseriti” in un NFT non garantisce certo che quei diritti effettivamente esistano.
Così, chi avesse acquistato l’NFT dell’opera di Basquiat e i relativi diritti d’autore avrebbe, come si dice, acquistato male. Il proprietario dell’opera “fisica” Free Comb with Pagoda che era stata sottoposta a tokenizzazione non aveva infatti acquistato i diritti d’autore su quell’opera.
Tra questi diritti è compreso il diritto di riproduzione, grazie al quale l’opera avrebbe potuto essere sottoposta a digitalizzazione (sul punto cfr. La digitalizzazione delle opere d’arte tra beni culturali e diritto d’autore). Ma quei diritti, come si è visto, erano in capo alla fondazione Jean-Michel Basquiat, la quale non aveva autorizzato la tokenizzazione del disegno.
Sappiamo infatti che, quando acquisto un’opera d’arte, acquisto solo il diritto di proprietà su quell’opera, ma non certo i diritti di utilizzazione economica che la normativa sul diritto d’autore conferisce a chi quell’opera ha creato, come quello appunto di riproduzione (salvo diversi accordi).
Questo vale evidentemente anche per l’arte digitale: chi ha acquistato un paio di mesi fa il collage digitale di Beeple non avrà certo il diritto di effettuare una “moltiplicazione in copie” (art. 13 Legge Autore che disciplina il diritto di riproduzione), ma solo quello di fruirne nel proprio ambito privato.
‒ Federica Minio
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