I disegni di Henry Moore al Museo Novecento di Firenze
A quasi mezzo secolo dalla grande retrospettiva su Moore al Forte Belvedere, il Museo Novecento ospita una mostra in collaborazione con la direzione scientifica della Henry Moore Foundation, per raccontare un aspetto dell’attività dello scultore ancora poco noto in Italia: ben 93 disegni (affiancati da una selezione di sculture) tracciano il rapporto dell’artista con la grafica.
Una passione per la scultura nata da ragazzino, sui banchi di scuola, durante le lezioni di disegno. E poi rafforzata da un aneddoto su Michelangelo. Da queste semplici radici sono nate sculture fra le più importanti del Novecento, attraverso le quali Henry Spencer Moore (Castleford, 1898 ‒ Much Hadham, 1986) ha indagato la forma primordiale degli esseri viventi, fossero essi persone, animali o piante. Con pochi, sapienti tratti, al punto da richiamare alla mente la “sublime povertà” del vocabolario di Leopardi suggerita da Giuseppe Momigliano, e riferibile, in scultura, anche alla leggiadria del suo stile, Moore veicola forme e sensazioni su una dimensione al di fuori dello spazio e del tempo.
IL DISEGNO SECONDO MOORE
La mostra indaga il “dietro le quinte” del lavoro dell’artista, ovvero quella produzione grafica che è stata propedeutica alla nascita dei suoi capolavori su tre dimensioni. Infatti, come ha lasciato scritto “lo scopo principale dei miei disegni è di aiutarmi a scolpire. Il disegno è un mezzo per generare idee per la scultura, per estrarre da sé l’idea iniziale, per organizzare le idee e per provare a svilupparle…”. Nelle opere esposte ricorrono alcuni soggetti cari all’artista, dallo studio della figura umana e delle vertebre alla rappresentazione delle donne sdraiate e delle mani, oltre a un equilibrio unico delle forme tra pieni e vuoti che sempre caratterizzò la sua pratica artistica.
Che sia umana, vegetale o animale, la figura di Moore è sempre primitiva, senza tempo, intrisa di sostanza spirituale. E poi, la celebrazione del gesto artistico: in una sorta di laica esaltazione di una laica eucarestia, Moore immortala quelle mani indispensabili per plasmare la materia, la quale a sua volta si nobilita e diventa specchio dell’ingegno dell’uomo.
MOORE E LA NATURA
Pur restituendo alla forma la sua piena completezza spaziale oggettiva, Moore vi stabilisce anche una sorta di relazione spirituale che nasce nell’interiorità: al centro della mappa concettuale di ogni sua opera aleggia il mistero, percepibile nella reverenza che l’artista riserva alla forma, alla materia, alla natura. Soprattutto si percepisce il mistero dell’uomo, sempre presente nei paesaggi deserti come a fianco delle figure animali.
Nelle opere di Moore si respira un umanesimo universale, si avverte la presenza del tempo misurato in ere, che riporta l’osservatore alle origini della Terra e dell’umanità, quando la natura stava cercando un suo volto ben definito. E, come la natura, anche l’artista plasma la materia, la riconduce a una “brutale” armonia fatta di pieni e di vuoti, di pelle e di ossa, di rami e di foglie. Il dato naturale è il punto di partenza per un’indagine fisica e concettuale, che emerge comunque, anche nelle due dimensioni della carta. I colori tenui, terrosi, sobri, che si alternano al bianco e nero, rimandano alla grazia dei Primitivi Senesi, e sottolineano il legame affettivo di Moore con la Toscana.
‒ Niccolò Lucarelli
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