Gagosian chiude a Roma? Neppure per sogno, anzi rilancia. Con una mostra di Albert Oehlen (che vi mostriamo in esclusiva assoluta), con nuove idee e con l’auspicio di poter lavorare sulla città. Burocrazia permettendo
Albert Oehlen arriva a Roma e Pepi Marchetti Franchi, direttore della sede capitolina della galleria Gagosian (che ospiterà la mostra a partire dal 7 giugno), è raggiante nella consapevolezza di avere un artista che “per troppi anni è stato trascurato dal mercato, lasciato un po’ nell’ombra, un’ombra dalla quale sta uscendo proprio in questa fase“. Oehlen […]
Albert Oehlen arriva a Roma e Pepi Marchetti Franchi, direttore della sede capitolina della galleria Gagosian (che ospiterà la mostra a partire dal 7 giugno), è raggiante nella consapevolezza di avere un artista che “per troppi anni è stato trascurato dal mercato, lasciato un po’ nell’ombra, un’ombra dalla quale sta uscendo proprio in questa fase“. Oehlen ultimamente è di casa nel mondo Gagosian, risale a marzo la grande personale (“incredibile la risposta del pubblico americano, tutto venduto ancora prima dell’opening...” racconta Pepi Marchetti) nella sede newyorkese su Madison Avenue. Lì c’erano i quadri, le tecniche miste, i lavori molto colorati che ancora fanno pensare all’Oehlen degli Anni Novanta, a Roma è tutto diverso. Le foto che vi mostriamo immortalano una mostra che non esiste, che non sarà così. Le opere appena arrivate, appoggiate alle pareti a mo’ di prova, in attesa dell’arrivo dell’artista tedesco che deciderà sull’allestimento. Tanto basta, tuttavia, per individuare la differenza tra l’Oehlen noto a più (da segnalare anche una mostra da Alfonso Artiaco, a Napoli, nel 2010) e questo “nuovo” Oehlen intimo, introspettivo, profondo, sognante. Eccoli, i nuovissimi carboncini (tutti Untitled, tutti datati 2012, quasi tutti 3 metri per 2) “che fanno pensare a De Kooning o a delle mappe, come quelle che Oehlen ha nel suo studio“, spiega Pepi Marchetti Franchi, che in questi anni ha portato a casa oltre 20 mostre nell’ovale romano di Gagosian, e che ha anche voglia di fare il punto.
Qualche mese fa a Roma, complice la crisi e un’atmosfera non più esuberante come quella di qualche anno fa, si paventava il disimpegno del grande gallerista: Larry Gagosian chiude, era la sentenza. “Niente di più falso – risponde Pepi -, le cose, anzi, vanno molto bene. E il fatto che la nostra galleria abbia un entry level piuttosto alto ci ha giovato perché i nostri clienti sentono la crisi relativamente. Invece di chiudere, piuttosto, vorremmo investire di più e partecipare di più alla vita della città, ma a Roma tutto risulta difficile. Per mettere una scultura di Franz West in una piazza ho dovuto perdere il sonno, e pagavamo tutto noi, mentre accanto alla nostra galleria, dove c’è uno spazio che dovrebbe essere dedicato alla cultura o all’architettura magari per allargare l’adiacente Gam, permane un parcheggio per camion dell’immondizia“, e il tutto a 200 metri da Piazza di Spagna.
Incredibile, ma Roma. Roma che, tuttavia, ha iniziato a dare più di qualche soddisfazione ad un mercante abituato a confrontarsi con i palcoscenici di New York, di Londra o di Los Angeles. “Devo dire – conclude Pepi Marchetti Franchi – che ormai da un anno e mezzo le cose vanno bene, abbiamo completato un rodaggio che è stato tutto dentro al periodo di crisi dal 2008 in poi“. Un successo che ha motivazioni economiche (appunto puntare sui ricconi aiuta a non avere contraccolpi dalla crisi), motivazioni di status (dire “l’ho comprato da Gagosian” in alcuni casi funziona), ma anche motivazioni di contenuto. Pepi Marchetti, infatti, non a caso proveniente dal Guggenheim, ha dato alla galleria una oggettiva impostazione museale che alla lunga ha evidentemente pagato.
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