Brutalismo a fior di pelle. Storia di una chiesa d’artista nella periferia di Vienna
Tra ottimismo e perplessità, a Vienna si è infine tornati a frequentare musei e gallerie. E, tra i percorsi di “riabilitazione”, è venuto di moda il pellegrinaggio a una periferica e collinare chiesa d’artista dedicata alla santissima Trinità, conosciuta però come Wotrubakirche, con un insolito riferimento al nome del progettista.
Fu inaugurata nel 1976, ma i quattro decenni e mezzo di esistenza della Wotrubakirche pare siano serviti più a farla dimenticare che a renderla un’icona fuori dal coro nell’architettura del XX secolo. Altro indizio del suo allontanamento dallo sguardo è l’assenza dagli highlight della capitale austriaca. Eppure l’autore dell’edificio ecclesiastico con funzione parrocchiale è, per l’appunto, Fritz Wotruba (1907-1975), scultore tra i più noti e acclamati nel movimentato clima viennese e internazionale del Novecento. Fino a ora si sapeva poco della genesi e della narrativa storico-artistica legata al progetto. L’ingranaggio che ne ha mosso la riscoperta è la mostra Wotruba. Himmelwärts (Wotruba. Verso il cielo), appena inaugurata al museo Belvedere 21 (ex 21er Haus), curata da Gabriele Stöger-Spevak, dove l’esemplarità della costruzione si dispiega attraverso una didattica costituita da documenti, plastici, piante, disegni, foto, nelle varie fasi di concepimento e di esecuzione dell’opera. L’unico intervento architettonico di Wotruba, il cui profilo ricorda il misterioso sito neolitico di Stonehenge, in Inghilterra.
LA CHIESA. OLTRE LE CORBUSIER A RONCHAMP
“Come puoi vedere, la nostra chiesa non è una chiesa normale”. Ironia e verità nella didascalia posta – e poi rimossa – accanto all’ingresso, quando però il visitatore è già stato preso da sussulti di stupore o da brividi di vertigine davanti a un accatastamento caotico e apparentemente precario di 135 grossi blocchi di cemento: parallelepipedi le cui superfici sono segnate da evidenti slavature formatesi in modo naturale nel corso del tempo. La radicalità dell’intera forma, strutturata con siffatto materiale e lastre di vetro, s’impone come un abile gioco scultoreo di pesantezza e precarietà, ritmato dall’intercalare fitto dei volumi e dei vuoti per tutto il perimetro e a ogni quota della costruzione. L’interno è, né più né meno, il risvolto della configurazione esterna, con sorprendenti tagli di luce naturale da più parti. Nonostante la planimetria sia del tutto irregolare e per nulla adatta a essere descritta, la disposizione degli elementi liturgici è in fin dei conti piuttosto convenzionale: l’altare è posizionato in zona centrale, con intorno delle semplici sedie in legno chiaro per i fedeli.
Un grande crocefisso in bronzo – ovviamente dello stesso Wotruba – è appeso sul lato opposto al portale d’accesso, questo completamente vetrato; il tabernacolo è molto decentrato verso il lato sinistro, incassato in uno dei blocchi di calcestruzzo.
TRA PROGETTO E REALIZZAZIONE
La committenza iniziale conferita allo scultore nel 1964 prevedeva la progettazione di un convento con una chiesa per le suore Carmelitane a Steinbach, località appena fuori Vienna. Già nel 1966 Wotruba consegnava schizzi e disegni di matrice decisamente scultorea. Ma il progetto del convento e l’ubicazione dell’impianto sfumavano, fatta salva l’idea di realizzare la sola chiesa proprio sul modello proposto dall’artista. Particolarmente adeguata la scelta definitiva sulla sommità collinare di Georgenberg (328 metri s.l.m.), frazione residenziale nel verde del 23esimo Bezirk, che è l’estrema area metropolitana a sud-ovest di Vienna, protesa verso il Wienerwald. Ma non era certo facile per molta parte dell’opinione pubblica, qualificata e non, digerire un manufatto ecclesiastico dall’aspetto letteralmente “brutale”, asimmetrico, senza campanile né cupola né altro, che all’esterno lo facesse somigliare a un luogo di culto cristiano, divenendo così un facile bersaglio polemico e caricaturale.
L’OPERA DI WOTRUBA
Atteggiamenti ostili e indecisioni che però non l’ebbero vinta. L’esecuzione dei lavori durò poi dal 1974 a 1976, con l’apporto dell’architetto Fritz Gerhard Mayr. È stato proprio costui, oggi novantenne, ad affiancare in conferenza stampa la curatrice nel presentare la mostra del Belvedere 21 e soprattutto a rievocare la ciclopica e alquanto leggendaria impresa della costruzione. Come ha raccontato, al progetto originario di Wotruba fu necessario apportare una variazione a uno degli aspetti più caratterizzanti della chiesa a causa di reali difficoltà, insieme ai costi esorbitanti che si sarebbero dovuti affrontare: la variazione, che tuttavia non alterava la forma e il linguaggio, riguardò la sostituzione dei monoliti di pietra, sagomati ad arte, con i suddetti blocchi di calcestruzzo. Fritz Wotruba non vide mai il compimento della sua opera a causa del decesso prematuro, avvenuto l’anno che precedette la fine dei lavori.
‒ Franco Veremondi
Vienna // fino al 13 marzo 2022
Wotruba. Himmelwärts ‒ Die Kirche auf dem Georgenberg
BELVEDERE 21
Arsenalstrasse 1
www.belvedere.at
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