Contro il dolore del distacco. Mirko Leuzzi in mostra a Roma
Ha da poco aperto i battenti, alla galleria B-Art di Roma, la prima personale di Mirko Leuzzi. Un promettente giovane artista che, dipingendo figure di donne, ricerca nell’arte la cura a ferite ancestrali.
E se, mossi da un’irrefrenabile necessità espressiva, iniziassimo a dipingere un quadro al giorno? Mirko Leuzzi, classe ‘92, dipinge senza sosta dal primo lockdown, perché la pittura, che prima di allora non l’aveva minimamente interessato, è improvvisamente diventata l’unico metodo di guarigione, l’unico mezzo in grado di lenire ferite ancestrali e il dolore provocato dal distacco. L’arte si insinua, quasi si impone nella vita di Leuzzi, fino a impadronirsene, a possederlo. E il risultato, a ormai un anno dall’inizio della pandemia, è Abbi Cura di Te, la sua prima personale inaugurata presso la galleria B-Art, spazio espositivo nel cuore di Roma recentemente aperto da due giovanissimi imprenditori.
LA MOSTRA DI LEUZZI A ROMA
Abbi Cura di Te è un’esposizione amara, come la frase che le fa da titolo: ciò che formalmente ci diciamo alla fine di una relazione, “una pace e un antidoto a quella cura mancata che non ci si è riusciti a dare e quindi, come una sorta di augurio e di mantra positivo da ripetersi, ci salva”, scrive la curatrice Paola Aloisio.
La mostra riunisce sedici dipinti a olio quasi tutti incentrati sulla figura femminile, perenne protagonista delle opere di Leuzzi. Il rapporto con la donna si manifesta attraverso un’inquietudine freudiana; il mezzo artistico diviene terapeutico, un tramite per comprendere e metabolizzare il dolore antico e ancestrale che si riversa dei rapporti sentimentali e a cui ci si abbandona alla fine di una relazione.
LEUZZI E LA PITTURA
Leuzzi arriva all’arte per vie traverse: non conosce testi critici, non conosce la storia dell’arte, a malapena conosce pennelli, colori e strumenti del mestiere, eppure le sue opere sono imbevute di Espressionismo tedesco, del lascito di Antonello da Messina, di riferimenti inconsapevoli che sono la prova schiacciante dell’esistenza di un inconscio collettivo. Leuzzi ci mette di fronte all’evidenza che, all’insorgere dell’impulso creativo, non c’è sovrastruttura che tenga, ma diviene anche l’espressione di una società in cui spesso si crede che l’unico modo di imparare sia fare, che non ci sia bisogno di studiare e che, se lo si desidera abbastanza, si può raggiungere qualsiasi obiettivo. Questa è l’allucinazione del capitalismo e la beffa dell’arte contemporanea, che Leuzzi cavalca in maniera ironica e spavalda.
‒ Laura Cocciolillo
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