Convegni sulla cultura: è il momento di cambiare
La pandemia ha messo in luce anche la necessità di ripensare i convegni dedicati alla cultura. Ecco come dovrebbero essere.
Nei giorni scorsi si è tenuto un incontro durante il quale, così si leggeva dall’invito, sono stati analizzati, discussi e descritti, in chiave comparata, i contenuti dei Piani di rilancio di Italia, Spagna, Francia, Germania e Portogallo, ponendo l’attenzione sulle strategie, i progetti, le riforme e gli investimenti a sostegno dell’intera filiera culturale.
L’incontro, organizzato da Associazione Civita, contava sulla presenza di alcuni nomi di spicco: dopo i saluti di Gianni Letta (Presidente Associazione Civita) e Paolo Gentiloni (Commissario Europeo per la fiscalità e l’unione doganale), sono intervenuti Valla (esperto Fondi Europei), De Masi (Professore emerito e Sociologo del Lavoro) e Amendola (Sottosegretario agli Affari Europei), moderati da Simonetta Giordani, in qualità di Segretario Generale Associazione Civita. Un incontro che ha presentato contenuti di sicuro interesse, ma con qualche precisazione.
UN NUOVO TIPO DI CONVEGNI SULLA CULTURA
Già, perché in un’epoca come la nostra, con le tempistiche e i ritmi che in parte ci vengono imposti dalla pandemia, e in parte anche dagli accordi comunitari, uno “spunto interessante” non basta. Questo nostro tempo, scandito da chiusure e riaperture, sincopato di ristori e sostegni, ha bisogno di ridurre la distanza tra il pensiero e l’azione.
In un’epoca come la nostra, anche il cerimoniale e la pragmatica dei convegni non può più essere com’era vent’anni fa. Il ben noto iter che prevede che le persone di spicco facciano i saluti e poi rammaricate si dileguino, lasciando spazio a professionisti e professori in ascesa con le loro presentazioni, un po’ stile TEDx, un po’ stile accademia, per poi concludersi con un buffet, sia pur virtuale, durante il quale potersi scambiare i biglietti da visita (anch’essi rigorosamente smart) può andar bene se a tale incontro non si prevede la presenza di uomini di governo.
“La cultura deve smettere di essere un lezioso e agiato vezzo, e divenire consumo quotidiano, riflessione democratica, fruizione universale”.
In un momento come questo è importantissimo essere informati, e la divulgazione gioca un ruolo importante. Ma mai come oggi l’Italia ha bisogno di azioni. Soprattutto nel campo della cultura, perché, malgrado così voglia la vulgata, oggi la cultura è un settore industriale i cui professionisti sviluppano quotidianamente investimenti e hanno appreso a veicolare quel patrimonio culturale individuale e collettivo in una logica di impresa, affinché la cultura possa smettere di essere un lezioso e agiato vezzo, e divenire consumo quotidiano, riflessione democratica, fruizione universale.
LA NECESSITÀ DI ACCORDI E INDICAZIONI PRECISE
Ciò che dunque sarebbe importante emergesse non è una riflessione, né una chiave di lettura, né tantomeno un indirizzo internazionale. Ciò che è lecito attendersi da incontri di questo tipo, in cui sono presenti uomini di governo, sono azioni, accordi, indicazioni precise. Alla cultura, al turismo e, in generale, a tutti quegli operatori attivi in quell’insieme di comparti produttivi a metà strada tra le industrie culturali e creative e le industrie esperienziali. Oggi serve tutto fuorché:
- che gli si ricordi che la cultura è un elemento importante per la nostra società, per la coesione sociale e per la nostra economia, e che in quanto tale è fondamentale valorizzarla (lo sanno benissimo, soprattutto dopo tutte le chiusure degli ultimi due anni);
- che è importante la cooperazione comunitaria, l’internazionalizzazione e la destagionalizzazione.
Al di là del caso particolare, occorre un nuovo modo di intendere convegni, tavole rotonde e sessioni, che, mutuando anche da quanto sta accadendo negli altri settori, caratterizzi gli incontri “dedicati alla cultura” con uno stile sempre più operativo, asciutto e continentale.
NON SOLO ANALISI
È lecito attendersi azioni già avviate di collaborazione tra il governo italiano e gli altri governi europei per favorire (questa volta davvero) la collaborazione non già tra PMI, ma tra micro-imprese (che rappresentano gran parte della nostra demografia d’impresa culturale) di differenti nazioni per facilitare la partecipazione ad attività culturali. È lecito attendersi la presentazione di strumenti già pronti, che il mondo accademico ha sviluppato per condividere parte dei fondi che saranno destinati alla ricerca con le imprese, così come iniziative di sviluppo del territorio in procinto di essere in fase esecutiva, come viene giustamente richiesto dalle opportunità di finanziamento nazionali rivolte agli Enti Territoriali.
Una semplice “analisi”, ancorché comparata, non è più sufficiente. La comparazione si può fare tranquillamente da soli. Leggendo i Piani.
‒ Stefano Monti
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