Sette protagonisti del mondo dell’arte interpretano mantra al Museo di Belluno
Fino al 12 giugno la vetrina del Museo Burel di Belluno torna a dialogare con i suoi cittadini, riattivando una pratica interrotto dalle recenti restrizioni nazionali.
Concepito in un momento di piena stasi culturale per il nostro Paese, il progetto Mantra for a City si avvale della presenza di sette attori di fama internazionale del mondo dell’arte (il curatore britannico Shumon Basar, Meriem Berrada, Francesco Bonami, la giovane illustratrice libanese Tracy Chahwan, Andrea Lissoni, Luca Lo Pinto e András Szántó) per restituire settimanalmente un mantra dedicato a tutti i cittadini di Belluno. Abbiamo intervistato Daniela Zangrando, direttrice del Museo Burel, nonché curatrice del progetto.
Qual è il tuo concetto di mantra e perché credi sia importante accoglierlo soprattutto in un periodo simile?
Mi riferisco al mantra come a un pensiero ridotto ai minimi termini, in cui niente viene perso della complessità della visione di partenza, e l’energia rimane, intatta.
Abbiamo tutti dei mantra, anche se magari alle volte non li definiamo in questo modo. Uno screenshot preso dalla scena di un film, delle frasi sottolineate su un libro o trovate per caso e condivise in una storia Instagram. Qualche parola che ci ripetiamo in situazioni di difficoltà – come esortazione al coraggio, alla calma… – o che magari ci rimane impressa in testa per una particolare sonorità. In un periodo dominato da sfrenate immagini di pericolo e solitudine, credo che l’idea di mantra possa essere uno strumento, personale e collettivo.
Come pensi stia reagendo la città di Belluno a questa iniziativa?
Qualche giorno fa una signora mi ha fermato lungo la via che porta al museo per raccontarmi che tutte le settimane fotografa la vetrata e spedisce via messaggio il mantra alle amiche. C’è chi sosta lì di fronte per un attimo dopo un giro in moto, chi ci arriva in bici. Chi fa sapere al museo qual è il mantra che preferisce e perché.
E c’è chi passa davanti alla vetrata continuando a tenere la testa bassa, immerso nei propri pensieri. Come ha detto in una recente intervista Meriem Berrada, direttrice del Museo MACAAL di Marrakech, “dobbiamo instillare l’abitudine dell’andare al museo tra i nostri visitatori”. È un processo lungo e articolato.
BELLUNO E I MANTRA AL MUSEO
Come è avvenuta la scelta dei soggetti da coinvolgere nel progetto?
Molto istintivamente, come quando chiamo un artista a partecipare a una mostra. Avevo la totale fiducia che ognuno di loro avrebbe potuto condividere con il museo una visione forte, vera, diretta, urgente. E sono diventati per me irrinunciabili.
Il font che è stato deciso per l’identità grafica di Mantra for a City è il Freak Grotesk Next, progettato dalla Scuola Open Source di Bari. Cosa ti ha fatto propendere per una soluzione simile e quali ragionamenti ti hanno portata all’attuale estetica che caratterizza l’intera manifestazione?
Quando ho iniziato a pensare al progetto, tra le altre cose, stavo guardando molto all’impatto di alcune frasi del profilo Instagram di Douglas Coupland o a quello delle parole che avevano resistito alle intemperie e si mostravano sui tabelloni pubblicitari svuotati dalla pandemia. Mi piaceva, in entrambi i casi, un’attitudine, radicale e semplice al contempo, all’esserci. E una certa apertura alle possibilità di lettura. Ho messo tutti i pensieri nelle mani di Paolo Tirelli, grafico del museo. E le vetrate nascono dal confronto tra le parole che ci hanno affidato i partecipanti, i nostri immaginari, e il suo costante lavoro.
Se fossimo noi a chiederti di dedicarci un mantra, quale sarebbe il tuo suggerimento?
Ne ho vari che resistono da anni, ma in questo periodo sono abbastanza ossessionata da quelli che fanno capolino al museo. Negli ultimi mesi mi è ronzato spesso in testa anche “Kiss it quick and raise again”, preso da una traccia post-punk. Oggi vi dedicherei questo.
‒ Valerio Veneruso
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