Il mestiere dell’architetto. Intervista a Carlo Melograni
Autore del saggio “Progettare per chi va in tram”, Carlo Melograni riflette sul mestiere dell’architetto e sul concetto di modernità.
La produzione saggistica di Carlo Melograni, classe 1924, si concentra soprattutto negli ultimi vent’anni. Raggiunta da lungo tempo la piena maturità professionale e intellettuale, il progettista romano s’impegna nella costruzione di legami possibili tra la Storia del Novecento, che ha in buona parte vissuto in prima persona, e il dibattito contemporaneo.
Progettare per chi va in tram. Il mestiere dell’architetto (Quodlibet, 2020) è la riedizione rivista e aggiornata del volume edito da Bruno Mondadori nel 2002, primo di una serie che è poi continuata con Architettura italiana sotto il fascismo (Bollati Boringhieri, 2008) e con Architetture nell’Italia della ricostruzione (Quodlibet, 2015). Alla trascrizione delle sei lezioni già pubblicate nel 2002 si aggiungono qui due saggi inediti – Due consigli per cominciare un progetto e Per un’architettura di pubblica utilità – che ne proseguono le riflessioni senza rotture, ma alla luce delle consapevolezze acquisite in un ulteriore ventennio di esperienza.
LA MODERNITÀ SECONDO MELOGRANI
Gli otto capitoli del libro di Melograni sistematizzano in altrettante cartografie, chiare e coerenti, una molteplicità di tendenze e concetti, architetture e oggetti, avvenimenti e personaggi del secolo scorso e di quello in corso. L’elemento in comune tra tutti è la loro interazione, a vario titolo, con la “modernità”, intesa non come stile o come periodo cronologicamente definito, ma come progetto innanzitutto sociale da attuare anche attraverso gli strumenti dell’architettura, dell’urbanistica e del design. Dalle pagine di Progettare per chi va in tram traspare la solidità di riflessioni che si sono stratificate nel tempo, anche grazie a tante verifiche collettive – prima fra tutte quella ambiziosa e difettosa del Quartiere Tiburtino di Roma (1949-54), a cui Melograni collabora nel gruppo guidato da Mario Ridolfi e Ludovico Quaroni. Sono tesi costantemente – testardamente, anche – verificate al vaglio della Storia e difese da Melograni persino quando la verifica è diventata per molti fonte di disillusione. Al lettore contemporaneo l’autore suggerisce, con garbo ma con fermezza, di dare un’altra chance al progetto moderno.
IL LIBRO DI CARLO MELOGRANI
Progettare per chi va in tram ha la qualità della saggistica precisa ma discorsiva, scientifica ed elegante, à la Ettore Sottsass, che si rende accessibile anche a un pubblico di non specialisti. Al conoscitore del mondo del progetto propone un’agile carrellata di spunti, sapientemente riannodati attorno a fili conduttori di grande interesse; al neofita, invece, offre un accesso privilegiato a un caleidoscopio di riferimenti che lo invitano a inoltrarsi in un universo che gli era prima estraneo. Un invito, badi bene il lettore, dai toni assolutamente “moderni”: l’architettura, qui, non è proiettata nell’universo della seduzione, dello spettacolo, degli effetti speciali, ma in quello del buon senso e della ragionevolezza. Il racconto di Melograni è accessibile ma non semplificato; il progetto moderno è reso comprensibile nella sua tragica, appassionante complessità, senza scorciatoie.
Progettare per chi va in tram, infine, offre l’occasione per conoscere un personaggio come Carlo Melograni che non è stato un protagonista assoluto dell’architettura italiana del Novecento – nelle sue parole: “Sono diventato un po’ famoso quando sono andato in pensione” –ma ne ha incrociato tanti protagonisti e avvenimenti maggiori, traghettandoli con sé nella contemporaneità.
INTERVISTA A CARLO MELOGRANI
La sua carriera comincia nella Roma dell’immediato dopoguerra. Che ricordi ha di quel periodo?
Roma ha vissuto un momento felice. Si sono riaperte le ambasciate e tantissime persone sono ritornate dall’estero in una città che si riscopriva cosmopolita. La vita culturale è ricominciata e i suoi luoghi hanno riaperto al pubblico. C’era un fervore assolutamente inimmaginabile oggi, mentre attraversiamo un momento di piena decadenza della città.
Una delle esperienze più importanti a cui ha partecipato è stata quella del Quartiere Tiburtino di Roma, di grandissimo valore ma dagli esiti contradditori. Li ha messi in luce il capogruppo del progetto, Quaroni, nel celebre articolo sul Paese dei barocchi, pubblicato su Casabella nel 1957. Cosa pensa oggi di quella vicenda?
Il Quartiere Tiburtino fu un progetto importante ma sbagliato, vittima di un vizio diffuso tra le realizzazioni dell’INA Casa. Invece di guardare al futuro, guardava al passato. Per aiutare chi arrivava a Roma dalle campagne avremmo dovuto progettare un quartiere che fosse il più possibile inserito nelle dinamiche di vita della città. Al contrario, abbiamo cercato di riprodurre l’architettura spontanea del borgo rurale. Il Tiburtino si proponeva come un’eccezione d’ispirazione vernacolare, anziché come un modello per un quartiere moderno. E inevitabilmente i figli degli immigrati, ormai pienamente “urbani”, non hanno voluto restarci.
Dalle pagine del suo libro emerge la fiducia nella possibilità di un’autentica modernità, dove l’architettura supporta un più ampio progetto culturale, sociale e politico di eguaglianza e inclusione. È una proposta per molti versi inattuale, non trova?
Per rispondere a questa domanda, le citerò in primo luogo Paolo Conte, che si è definito “Moderno, cioè fuori moda”. Aneddoti a parte, non so dire se il progetto moderno abbia ancora un senso oggi. Molti elementi ci confermano che per ora è stato sconfitto dalla storia. È necessario interrogarsi sulle ragioni di questa sconfitta, ma anche riconoscere che esiste una sottile linea che collega una genealogia di progettisti, da Giancarlo De Carlo a Renzo Piano, che apprezzo molto, in cui sopravvive la speranza di una sua prosecuzione.
ARCHITETTURA E PUBBLICA UTILITÀ
Nella sua carriera è stata molto importante anche l’attività d’insegnamento, prima alla Facoltà di Architettura di Palermo, poi a quella della Sapienza di Roma, e infine come preside della Facoltà di Architettura di Roma Tre, tra il 1994 e il 1997.
Ho sempre amato gli studenti. Nei loro confronti ho cercato di mantenere un atteggiamento di comprensione, di amore, perché capisco che alla loro età attraversano un momento complesso delle loro esistenze. Sono ancora in contatto con molti di loro, tanto che quando è uscito il mio libro sull’architettura della ricostruzione l’ho fatto presentare proprio ad alcuni miei ex studenti.
Il saggio conclusivo di questa riedizione di Progettare per chi va in tram si concentra sul concetto di “pubblica utilità”. Ce ne parla?
Penso che gli architetti, anche quelli dotati di più talento di me, dovrebbero avere come obiettivo principale non quello di lasciare segni per passare alla storia dell’arte, ma quello di migliorare le condizioni dell’abitare, inteso nel senso più lato del termine. Questo può avvenire solamente attraverso un percorso collettivo, come succedeva negli anni del dopoguerra. Insomma: l’importante è che vincano le nostre idee, non che vinciamo noi! Questo intendo con il termine “pubblica utilità”.
‒ Alessandro Benetti
Carlo Melograni ‒ Progettare per chi va in tram. Il mestiere dell’architetto
Quodlibet, Macerata 2020
Pagg. 192, € 18
ISBN 9788822904713
www.quodlibet.it
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