Il Lucernario: un video-drama girato nelle sale del Museo Filangieri a Napoli
Tra cronaca e scrittura scenica, la residenza artistica Il Lucernario ha la regia di Francesco Saponaro ed è ispirata alla morte sul lavoro del 21enne Salvatore Caliano.
Il regista Francesco Saponaro ha diretto un progetto della Cooperativa Sociale Me Ti attiva nel difficile quartiere di Forcella a Napoli, vincitore del bando SIAE Per chi crea. Un esperimento artistico fra teatro e cinema il cui obiettivo è esplorare la relazione tra sacro e profano partendo da due eccellenze territoriali: il Museo Filangieri e il Museo del Tesoro di San Gennaro.
In un’altalena temporale tra cronaca e scrittura scenica nasce Il Lucernario, residenza artistica site-specific ispirata alla morte sul lavoro del 21enne Salvatore Caliano. Raccontiamo, in una conversazione con il regista, il video-drama per la drammaturgia di Fabio Pisano e Alberto Bile e il coordinamento di Massimiliano Virgilio.
INTERVISTA A FRANCESCO SAPONARO
Una mescolanza di surrealismo e iperrealismo, una scrittura dall’impronta tradizionale rielaborata in residenza e che fa suoi i tempi tipici dell’azione cinematografica. Il connubio magico che non delude mai fatto di tradizione e innovazione è la spina dorsale di questo lavoro che a breve sarà presentato al pubblico. Dove ha inizio tutto?
Tutto comincia con la lettura della prima stesura, il primo pensiero è stato quello di un non-teatro. Ho pensato al fermo per la pandemia, all’impossibilità di andare in scena, poi però ho pensato al concetto di limite come occasione, da lì non mi sono fermato più: la scelta del video-drama è sembrata la più eccitante e adatta.
Qual è il rapporto fra teatro e cinema in questo caso?
Non si tratta di un lavoro teatrale riadattato allo schermo, ma di una scelta consapevole e fortemente voluta che ha messo in comunicazione entrambi i linguaggi. La migrazione di natura linguistica da un impianto teatrale verso una dimensione filmica è stata entusiasmante, si è trattato di un passaggio creativo, ma anche tecnico, a cui hanno contribuito anche gli attori attraverso l’improvvisazione. Un atto creativo corale in cui il direttore è autore del linguaggio finale.
Spiegaci più nel dettaglio.
La creazione è un atto democratico del lasciar fare in cui però decide sempre uno. Bisogna lasciar liberi e riuscire poi a raccogliere i frutti di questa libertà indicando con delicatezza la strada giusta da seguire.
IL PROGETTO IL LUCERNARIO
Entriamo nel vivo del progetto. I luoghi in cui tutto si svolge, i limiti e le occasioni. Qual è stato il percorso emotivo che hai compiuto in un lavoro meticoloso fatto di collaborazioni – anche inaspettate –, sorprese e cronaca?
Parto dalla cronaca, da Salvatore che lavorava in un bar in via Duomo (strada che ospita i musei in cui si è girato), morto mentre puliva il lucernario di un palazzo per guadagnare qualche soldo extra. È in scena l’innocenza della gioventù e delle classi proletarie, la tragedia del lavoro conquistato con sacrificio e l’equilibrio precario degli ultimi. Il cognome del giovane ragazzo non è mai menzionato e questo perché abbiamo ripreso un fatto di cronaca delicato e spietato e lo abbiamo innalzato a dramma universale.
Si parte dalla cronaca per allontanarsene.
Ho pensato molto a questa storia e ho cercato le varie forme di racconto e di cronaca che si erano diffuse, volevo capire quale fosse stata la narrazione fino a quel momento per crearne una nuova, simbolica in cui Salvatore fosse uno dei tanti giovani morti sul lavoro in circostanze assurde e impensabili oggi. In questo lavoro però a parlare non è la cronaca, ma l’arte che diviene trascrizione della vita in termini simbolici. Entrare nel Museo Filangieri dopo tanti anni dall’ultima volta è stata un’epifania: la meraviglia dei saloni, l’eredità simbolica di cui è pregno quel luogo in ogni angolo.
Eredità simbolica?
Il Filangieri ha donato la sua collezione alla città allo scopo di emancipare le vite degli ultimi e il suo spirito illuminista aleggia nelle sale e si palesa nel nostro racconto prendendo vita in un dialogo impossibile tra il giovane Salvatore e il principe di Striano. Il paradosso temporale dà vita a un momento di riflessione carico di simboli e significati che, attraverso un preciso linguaggio espressivo, sollecita al sentire piuttosto che al capire. Ma non è stato l’unico incontro impossibile. È stato traumatico e allo stesso tempo rivelatore entrare nel salone principale, la Sala Agata – che al centro ha proprio un lucernario – e trovarla interamente invasa da impalcature per un restauro in piena fase operativa. I miei timori riguardavano l’ingombro dei tubi innocenti, la presenza degli operai, l’incontro tra due mondi così lontani. E invece ci siamo scoperti tutti operai incontratisi per caso in un cantiere creativo.
Hai mutato l’impedimento in occasione?
Ho riconosciuto subito dopo in quell’impalcatura un’occasione irripetibile, più passavano i giorni più avevo bisogno di quei tubi e degli operai, uno di loro ha preso parte a una scena come figura tecnica rivelatasi imprescindibile lasciando cadere, dall’alto dell’impalcatura, una fune che suggeriva il fatale volo di Salvatore “caduto comme a una funa fraceca”, come reciterà lo stesso protagonista.
TRA REGIA E PERFORMANCE
Come descriveresti il tuo “metodo”? Dirigere un gruppo di attori, o in questo caso di performer, cosa significa per te?
A volte mi sento come il capitano di una grande barca su cui tutti contribuiscono con la stessa importanza al buon andamento. Il mio ruolo è quello di coordinare, stimolare a dare il meglio, individuare le strategie migliori lasciando la libertà di prendere iniziativa. Di solito i performer più sono grandi anagraficamente e più sono disponibili, nei giovani è più facile trovare resistenze, ma fa parte della bellezza di questo lavoro incontrare resistenze e trasformarle in occasioni.
Hai scelto tu il cast?
Quando mi hanno contattato era già prevista una compagine di attori e attrici, ma Luigi Bignone, che interpreta Salvatore, l’ho scelto e l’ho voluto io. È uno stradivario, è un giovane molto talentuoso e con una fisicità particolare che mi affascina ed emoziona. Lavorare con talenti della mia città e in un luogo così suggestivo mi ha portato a riflettere, ancora una volta, sull’essere nati e cresciuti qui, in questa città sempre un po’ distratta e che spesso dimentica i suoi figli. Essere napoletano serve a dialogare con tutti e a scoprire nuove risorse in ciò che appare a primo impatto come un limite. Qui, in questa città che è un profluvio di creatività e bizzarrie, quello di cui si ha bisogno è mettere a regime questa creatività, darle occasioni, come con la nostra impalcatura: un’impalcatura su cui far germogliare la creatività, perché bisogna comprendere una volta e per tute che il ghirigoro senza la forza ingegneristica da solo non regge.
– Manuela Barbato
https://filangierimuseo.it/
https://museosangennaro.it/
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