Giro d’Italia. La Palermo di Laura Barreca e Delfino Sisto Legnani
Nuova tappa del viaggio a cura di Emilia Giorgi alla scoperta dei centri piccoli e grandi del Belpaese, attraverso lo sguardo dei fotografi associato alle parole di autori di varie discipline. Stavolta la meta è Palermo.
L’arrivo per mare è l’approdo più bello, con le montagne sullo sfondo, il Monte Pellegrino che guarda la città e le brutte architetture con i palazzoni alti e tutti diversi, insediamenti post-bellici degli anni poi ribattezzati del sacco di Palermo. Dal mare la città è disomogenea e stratificata: dietro le gru del porto che la separano dall’acqua tra le cupole delle chiese barocche, campeggiano quella più grande del Teatro Massimo, il profilo del Teatro Politeama, i diciotto piani del grattacielo metallico dell’INA, punto di riferimento della città nuova, anche se la grande insegna luminosa Assitalia è stata rimossa qualche anno fa. All’altezza di Porta Felice, con un colpo d’occhio, dal mare si arriva ai piedi della Cattedrale arabo-normanna di Monreale, lungo l’asse che attraversa il Cassaro. Qui si allunga il Foro Italico, con una nuova promenade creata per rinsaldare il legame della città con il mare. La domenica, sul prato verde tra le panchine a pois e i birilli di ceramica progettati da Italo Rota con un curioso profilo di Eleonora d’Aragona, si organizzano partite di calcio e di cricket, si vedono gli aquiloni volare in alto, molti bambini con le magliette delle squadre più blasonate, le navi uscire lentamente dal porto dirette a Civitavecchia, Tunisi, Genova, Barcellona.
DA PALERMO ALL’ORIENTE
Un po’ più avanti inizia la Kalsa (al khalisa, in arabo “l’eletta”) che, insieme al Capo, all’Albergheria e alla Vucciria, è uno dei quartieri più antichi di Palermo, con i mercati storici dove si mescolano differenti specie di frequentatori locali: prima della pandemia meta di turisti in cerca delle atmosfere esotiche dei suk mediterranei. Le tracce della città araba, d’altronde, si scorgono nelle decorazioni geometriche delle strombature degli archi a sesto acuto di certe chiese e certi palazzi del centro storico ‒ basta alzare lo sguardo! E infatti anche Cesare Brandi la paragona a Marrakesh, ma anche a Gerusalemme o a Beirut, con le bancarelle di semenza adornate come altarini. In prossimità dei luoghi di preghiera dei musulmani sembra una città nordafricana in Europa, e in effetti ancora in bilico tra le memorie favolose della città degli emiri, la “porta d’Oriente” e quasi asiatica, oppure futuro hub strategico del Mediterraneo, dove nel bacino del porto di Fincantieri si costruiscono le navi passeggeri più grandi al mondo. Panormous “città tutto porto”: eppure nei suoi diciassette chilometri di costa è vietata la balneazione, perché nel contesto greve di una lunga stagione politica in odore di mafia, non troppo tempo fa, detriti contaminati delle demolizioni e materiali di scavo furono qui depositati.
PALERMO CONTEMPORANEA
“Andate a Palermo per mare”, dice Brandi nel libro Sicilia mia pubblicato da Sellerio, perché di fronte al mare, percorrendo la Passeggiata delle Cattive (captivae, vedove siciliane, prigioniere del proprio lutto…), si arriva all’Orto Botanico, bellissimo e gigantesco museo all’aperto con la più vasta collezione di piante e specie vegetali provenienti da quasi tutti i continenti. Addentrandosi a piedi per il quartiere si arriva a Piazza Marina, occupata in parte dal più grande Ficus Macrophylla d’Europa, e di fronte a un altro ancora troppo poco conosciuto patrimonio della città: le Carceri dell’Inquisizione, dentro lo Steri, oggi sede del Rettorato universitario, palazzo di città della potentissima famiglia Chiaromonte nel XIV secolo. Al suo interno si trovano i graffiti carcerari del Sant’Uffizio Spagnolo. Uno straordinario repertorio iconografico trascritto da intellettuali, uomini di cultura, geografi, studiosi, letterati, donne, messi a tacere dal Tribunale dell’Inquisizione.
È questa la parte di città dove si sta polarizzando un interessante fenomeno di investimenti immobiliari gravitanti attorno a Palazzo Butera, trasformato recentemente in una stupefacente casa-museo con una collezione d’arte di tutti i tempi, degna di una moderna Wunderkammer. E qui, ancora una volta, la città vecchia diventa nuova. Anzi: contemporanea.
– Laura Barreca
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #59-60
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