Centre Pompidou-Metz. Dove Cattelan fa il curatore per Arcimboldo
Nella mostra su Giuseppe Arcimboldo allestita nel Pompidou di Metz, in Lorena, è del tutto evidente l’influenza che le “Teste Composte” del pittore milanese hanno avuto nella ritrattistica della storia dell’arte. Fino ai giorni nostri.
La grande offerta di mostre a Parigi rende difficile spostarsi in un’altra città francese, soprattutto se lo scopo è andare a visitare una mostra temporanea. Una eccezione è costituta dal Centre Pompidou-Metz, alle cui redini c’è l’italiana Chiara Parisi. Il 29 maggio ha inaugurato la mostra Face à Arcimboldo, concepita dalla direttrice insieme a Maurizio Cattelan e Anne Horvath.
ARCOMBOLDO: DA CURIOSITÀ A PRECURSORE DEL SURREALISMO
I dipinti di Giuseppe Arcimboldo (Milano, 1526-1593) sono ritratti costruiti occhio dopo occhio e dita dopo dita con frutta, verdure, fiori e animali.
La mostra ha come obiettivo il riposizionamento nella storia dell’arte dell’opera di Arcimboldo, troppo spesso considerato un ritrattista minore e misterioso, per investirlo invece del ruolo di precursore del Surrealismo e di altre avanguardie del Novecento.
Allestito al piano terra del museo progettato da Shigeru Ban, Face à Arcimboldo è un evento che è già un successo: una bella scoperta, educativa e insieme divertente, che attira non solo amanti dell’arte ma anche tanti visitatori giovani e giovanissimi.
DALLA GRANDE MOSTRA CURATA DA PONTUS HULTÉN A OGGI
Nella prima sala ci si trova “faccia a faccia” con un’opera di Mario Merz, Omaggio ad Arcimboldo, una pedana in neon e ferro che sostiene un coccodrillo realizzato con carta di giornale appallottolata: la pedana è un fiume su cui l’arte scorre e trascina con sé la natura. Altra “natura morta” del 1987 di Mario Merz è una tavola in vetro su cui sono disposti frutti e piante attorno a un cono di paglia. Il maestro dell’Arte Povera ha pensato questa grande installazione come omaggio ad Arcimboldo per la mostra degli Anni Ottanta curata da Pontus Hultén a Palazzo Grassi, Effetto Arcimboldo.
Per Chiara Parisi la mostra veneziana è stata un punto di partenza da arricchire con opere di Francesco Zucchi (dello stesso periodo di Arcimboldo e il cui ruolo è testimoniare la fortuna del collega con altri “ritratti di frutta”), di affreschi pompeiani, di tele di Francis Bacon e opere del surrealista Max Ernst, di Marcel Duchamp, di Penny Slinger, fino al dipinto Senza titolo del 2020 di Ewa Juszkiewicz, dove un quadro di Élisabeth Vigée Le Brun ha il volto coperto da uva e palme.
LA MOSTRA DA ARCIMBOLDO AI FRATELLI CAMPANA
La mostra si offre con lo sfondo di una scenografia di Berger & Berger, mattoni grigi in cemento che vogliono essere il più possibile neutri, evitando l’effetto “sequenza di sale”, per favorire una deambulazione libera attraverso i secoli, alla scoperta di affinità tra le opere. Ad Arcimboldo, così ben accompagnato, viene così data la possibilità di dimostrare l’attualità delle sue opere – la cui produzione è limitata a una trentina di quadri.
La tela prestata al Centre Pompidou-Metz dalla Tate di Londra, La famiglia del pittore di Giorgio de Chirico, con i manichini costituiti da edifici e rovine, diventa qui un chiaro riferimento al processo adottato da Arcimboldo nel comporre corpi umani attraverso oggetti. Ma non ci sono solo corpi: si possono vedere anche primi piani di bocche e occhi come nell’opera Mouthed (1992) di Gilbert & George, dove dall’interno del cavo orale aperto escono due occhi feroci incorniciati da denti affilati. Di fronte, in un’opera composita di Tetsumi Kudo, Il vostro ritratto (1970-75), in un acquario si mette in scena il destino dell’uomo: si nasce in una scatola, si vive in una scatola (un appartamento) e si muore in una scatola (la tomba).
Nell’ultima sala, alcuni visitatori sono seduti su uno dei due divani con coccodrilli dorati e pellicce di Fernando e Humberto Campana (Anhanguera Sofa, 2012): un’opera dedicata a chi desidera fare una pausa senza essere redarguito dai guardasala e senza mettere a repentaglio l’arte.
– Asia Ruffo di Calabria
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