Tutte in digitale le presentazioni uomo per la primavera/estate 2022 a Milano. E fin qui niente da dire. La pandemia non è terminata e gli amanti dei tempi andati si sono dovuti ancora una volta rassegnare: niente viaggi liberi, quindi niente buyer né “stampa” (termine ormai desueto) internazionale in presenza. Molte con messaggi legati alla natura (di conseguenza alla sostenibilità?) le collezioni presentate qui. Sembra dunque che il mood dominante sia finalmente diventato “consapevolmente green”: uno dietro l’altro sono comparsi video non più solo ambientati in architetture futuribili, ma ripresi dentro a labirinti verdi, fitte distese di boschi, cave abbandonate, spiagge incontaminate, mari limpidi… Bello, ma dubitare è lecito: perché il marketing è una cosa e le pratiche per rendere davvero sostenibili queste produzioni tutt’altro.
DOLCE E GABBANA A MILANO
A dire il vero qualcuno che a sostenibilità e green non ha proprio fatto cenno c’è stato. Si tratta di Domenico Dolce e Stefano Gabbana che dopo due stagioni di quasi immobilità a sorpresa hanno comunque assestato una zampata da leone a questa fashion week. Fa piacere che uno dei pochi marchi rimasto ancora interamente italiano abbia avuto questo colpo di reni. Sulla passerella Metropolitan a Milano hanno fatto uscire decine e decine di modelli (50, 100?) frutto di un casting formidabile. Diciamolo senza tante pruderie, tutti ragazzi bellissimi: latini in gran parte ma pure neri e asiatici. Palestrati? ma non troppo. Ancheggianti? non troppo. LGBTQ? etichetta- come quella della sostenibilità – qui non pervenuta. Se un corpo (qualsiasi sesso appartenga) è perfetto – la festa per gli occhi è automatica. Nel secondo caso – quello della sostenibilità – il problema di fronte ad (almeno) 100 di capi presentati in una festa di luci con il sottofondo di un Barry White remix certamente esiste. Ma i fit perfetti costruiti con tessuti di grade qualità, lavorati in maniera sartoriale per i capo spalla e per una jeans couture mozzafiato incrostati di cristalli Swarovski, le stampe lussuosamente psichedeliche, persino il port cross reso celebre da David Gandy nella campagna del profumo Light Blue 2006 rispolverato con scintillanti strass – per un attimo lo ha fatto dimenticare. E di dimenticare tutti quanti abbiamo un gran bisogno. I capi messi in mostra qui sono una festa che sottolinea una grande voglia di dionisiaco: presi uno per uno, al di fuori dallo styling ipercarico che è tipico di una sfilata sono attrattivi e lussuosi, senza dubbio anche molto cari: ma nessuno costringe nessuno a comprarli. L’effetto finale ella presentazione è comunque stato da wow La fashion week milanese ne aveva un grande bisogno.
PRADA E FENDI
In una notte dove i gatti sono diventati tutti ”verdi” si sono fatte notare le presentazioni di Prada e Fendi: data la potenza economica e il background dei due marchi non poteva essere diversamente. Ma l’altra vera sorpresa è arrivata dalla presentazione del marchio Diesel, seppur su presupposti totalmente diversi da quelli di Dolce&Gabbana. Renzo Rosso a capo del gruppo italiano OTB (oltre a Diesel, Maison Margela, Marni, Jil Sander tra gli altri…) ha affidato nel 2020 allo stilista belga Glenn Martens (Bruges, 1983) la direzione artistica del suo marchio economicamente più rilevante con la missione insieme di evoluzione stilistica e trasformazione ambientale. Il denim che sta alla base del successo trentennale di Diesel può essere un tessuto piuttosto inquinante. Quindi Martens si è immediatamente messo all’opera per riaggiustare l’intera catena di approvvigionamento. Ha prima di ogni altra cosa implementato una capsule chiamata Denim Library dove tutto è completamente e per davvero sostenibile. Tutti i lavaggi sono certificati, tutto il cotone grezzo è certificato, tutta la filiera produttiva è certificata. Sulla scala di un marchio delle dimensioni di Diesel, non è cosa da poco e riguarda almeno il 40% della sua nuova offerta… Martens è però cosciente che non tutti i possibili clienti sono concentrati sulle problematiche ambientali e non ha dimenticato che il denim di Diesel è per tradizione anche sexy, ben costruito e tagliato per rendere felici gli shopper più incalliti.
In questa prima collezione (uomo e donna, casting anche qui ineccepibile) presentata con un video (per niente qualsiasi) e foto scattate prima in ascensore e poi nel suo ufficio, non tutti i pezzi sono sostenibili, in quanto i trattamenti con rivestimenti speciali sono molto presenti. In apertura sono arrivati “i cliché del denim”: come i cinque tasche a vita alta, gli hotpant, oltre a pezzi con motivi sbiancati e trompe l’oeil di stampe ad olio. Un look da uomo prevedeva una carta riciclata accoppiata e pressata su un cappotto e un pantalone in denim non tinto. Pee la donna ricorrente il motivo delle difficili ma attraenti “gonne utility”: si tratta di una bandoliera molto lunga, che funge da mini su un lato e da gonna alla caviglia dall’altro. Gli abiti da lavoro – altro must di Diesel – sono stati rivisitati con il raso di seta declinati in rosa polvere e azzurro baby per ottenere una versione radicale ma molto lontana dall’originale… Il debutto di Martens è stato in realtà una prova di forza: la dimostrazione di come possano essere creati outfit seducenti a partire da una pezza di tessuto che sembra non passare mai di moda.
– Aldo Premoli
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