La mostra Padova nel Dogon. Il Dogon a Padova è l’evento conclusivo dell’anno di Padova Capitale Europea del Volontariato. Accompagnata da un doppio catalogo edito da Antiga Edizioni e curata dall’artista Elio Armano, la rassegna racconta due storie che si compenetrano tra loro: una è quella del Progetto Dogon Odv, l’associazione di volontariato padovana nata nel 2005 da un’idea di Paolo Menè e formalizzata nel 2009 con lo scopo di aiutare la popolazione Dogon nel Mali; l’altra narra l’antichissima cultura Dogon attraverso una serie di sculture, maschere e oggetti d’uso, espressione artistica di questo popolo, messi a disposizione dal fotografo, esploratore e collezionista trentino Umberto Knycz, che le ha raccolte in lunghi anni di appassionata ricerca, nel corso di ben sei spedizioni nelle zone della falesia del Bandiagara, la regione a sud del fiume Niger abitata dai Dogon.
UNA ONLUS PADOVANA IN MALI
L’esperienza della Onlus è raccontata tramite la documentazione dei numerosissimi interventi realizzati sul posto nei dodici anni di attività, anche tramite le foto realizzate da Loris Tasin che trovano spazio nella parte interna della pannellatura che racchiude come uno scrigno la mostra stessa.
Dal Centro Sanitario di Weré alla “Dépendance”, luogo di accoglienza delle équipe mediche padovane e non solo; dagli edifici scolastici ai ponti; dal programma delle adozioni a distanza all’ambizioso progetto 100 pozzi per il Dogon, grazie al quale sono stati realizzati ad oggi una rete di ben 250 pozzi di acqua potabile, capace di servire numerosissimi villaggi per una popolazione di 150mila abitanti. Realizzazioni che, oltre a portare sanità, istruzione e acqua, hanno generato, rifuggendo il mero assistenzialismo, occupazione locale, in specie giovanile, contribuendo a contenere la spinta migratoria e, insieme, a resistere al reclutamento estremistico di Daesh e di altre frange terroristiche locali, purtroppo pericolosamente attive nel Mali.
LA MOSTRA SUI DOGON
Nel centro dello spazio espositivo invece lo spettatore viene invitato a prendere contatto con l’arte dei Dogon per comprenderne la millenaria cultura. È un’occasione eccezionale non solo per imparare qualcosa sugli altri ma anche su noi stessi, riflettendo su come ci poniamo di fronte all’alterità, soffermandoci a pensare agli stereotipi e ai pregiudizi che circondano l’Africa e la sua arte, considerata spesso il risultato di un’espressione “primitiva”.
I Dogon possedevano, già prima delle relative scoperte scientifiche, complesse conoscenze astronomiche, in particolare del sistema stellare di Sirio. D’altronde, sono ricordati anche come i “figli delle stelle” proprio per la loro conoscenza del cielo e per la loro complessa e antica cosmogonia. Le maschere, gli oggetti d’uso comune, le statue mettono in contatto la dimensione terrestre con quella ancestrale. Per questo bisogna abbandonare lo sguardo estetizzante occidentale per apprezzare, capire e abbracciare l’arte e la cultura africana.
– Andrea Chiocca
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