Teatro: la stagione del centro di ricerca permanente Centrale Fies. Il report
Thank you for coming (and for inviting). Il primo appuntamento delle aperture del centro di ricerca permanente di Centrale Fies
Centrale Fies, centro di ricerca per le arti performative contemporanee diretto da Dino Somadossi e Barbara Boninsegna, si rinnova abbandonando la storica forma del festival estivo Drodesera scegliendo di aprire al pubblico parte della sua ricerca annuale. Il primo appuntamento, Thank you for coming, si articola intorno agli ultimi giorni di residenza di SAGA, ultima opera coreografica di Marco D’Agostin, che cura la programmazione insieme a Bonisegna. Un dolce rituale per riabituarsi alle pratiche dal vivo e allo stare insieme dedicato al tema dei legami, delle parentele, dell’esercizio di cura verso l’altro.
LA PERFORMING ART IN TRENTINO
“C’è un posto vicino a te che ancora non conosci”, “un’occasione per essere altrove”. Quel posto è Centrale Fies, centro di ricerca per le pratiche performative contemporanee tra le montagne del Trentino. Non è certamente un luogo nuovo o poco noto, il progetto, infatti, è attivo da più di vent’anni e sorge sull’esperienza del festival Drodesera – nato nel 1980. Tuttavia, in quest’anno difficile e di grandi mutamenti e ripensamenti per il settore, la Direzione composta da Dino Sommadossi e Barbara Boninsegna compie la scelta radicale di rivoluzionare la formula di apertura al pubblico. Abbandonando definitivamente la forma dello storico festival estivo, Centrale Fies riaccoglie gli spettatori esponendo la parte più fragile di sé, quella legata alla ricerca e ai processi artistici, quel lato normalmente nascosto eppure profondamente vitale e fondamentale alla creazione. La nuova programmazione si fa dunque plurale, trasforma il suo ritmo adattandolo a quello del lavoro, invitando il pubblico più volte durante l’anno a entrare in una dimensione e un contatto più ravvicinato con le artiste e gli artisti, in occasione degli eventi più importanti del centro di ricerca.
CENTRALE FIES. I PROGETTI
Il primo appuntamento è pensato come un dolce rituale, un esercizio di cura verso l’altro e verso se stessi, per riabituare menti e corpi affaticati alla presenza e alla condivisione di spazi e pratiche. Thank you for coming è il titolo emblematico di questa tre giorni di fine maggio curata da Barbara Boninsegna e Marco D’Agostin, che apre al pubblico gli ultimi giorni di residenza artistica per la sua ultima opera coreografica, SAGA, che si intreccia ad altre performance, concerti, incontri e installazioni. Non appare casuale che si riparta parlando di legami e parentele, così difficili da creare e coltivare nella dimensione pandemica. Anche il tempo della programmazione è costruito sulle relazioni, su richiami e assonanze intorno all’opera di D’Agostin e lo spazio è tutto da attraversare. Si può così entrare liberamente a Passage e spiare il lavoro di Chiara Bersani, Elena Giannotti e Alessandro Sciarroni. Ciò a cui si assiste non sono le prove di uno spettacolo ma un dialogo tra gli artisti “fine a se stesso”, uno scambio di pratiche e riflessioni. Nella sala vuota, dietro le cui grandi finestre alberi e vento sembrano danzare insieme ai performer, si è portati ad accedere con una riverenza quasi spirituale, consapevoli di essere spettatori privilegiati in una dimensione intima del pensiero e della creazione dell’artista solitamente preclusa al pubblico.
L’INSTALLAZIONE DI DE ISABELLA
In punta di piedi si entra anche in DICIOTTANNI, di F. De Isabella. Un’installazione, un percorso di scoperta, un luogo da abitare con cui gli spettatori sono invitati a interagire. Oggetti, libri, disegni, parole e immagini che creano e cercano un racconto, che parte dall’autobiografico ma non risulta affatto autoreferenziale. Uno spazio intimo e delicato in cui anche i pensieri affiorano sottovoce, lasciandosi trasportare da letture e visioni. I trenta minuti concessi per l’attraversamento di DICIOTTANNI trascorrono in verità veloci, lasciando il desiderio incompleto di restarvi e continuare a esplorare. Tuttavia, questo tempo appare giusto nella misura in cui non permette di afferrare nulla in pieno, di irrigidirsi in definizioni, lasciando lo spettatore sulla soglia di quella verità che “sta lì, nella domanda, costante, di quello che siamo, che vorremmo essere, che pensiamo di essere, che abbiamo intuito di essere”.
GLI ESPERIMENTI COREOGRAFICI DI BEL
Il coreografo francese Jerome Bel, invece, propone un esperimento coreografico con e per la danzatrice Laura Pante. La performance nasce da un assemblaggio di linguaggi, un dialogo sviluppato a distanza durante i lockdown dovuti al coronavirus. Laura Pante racconta al pubblico il suo percorso di artista, performer e ricercatrice, illustrando la sua storia tanto a parole che con brevi dimostrazioni di esercizi, movimenti ed estratti di performance che hanno segnato il suo cammino. Tramite la vita personale della danzatrice viene così offerta agli spettatori la visione di uno spaccato della danza contemporanea degli ultimi anni, dalle collaborazioni con Abbondanza/Bertoni a Cristina Kristal Rizzo, Romeo Castellucci e Xavier Le Roy, tra gli altri, fino al progetto con Jerome Bel. Una performance che nasce dall’esigenza di manifestare come, nonostante i recenti confinamenti, il movimento e la danza siano sempre presenti intorno a noi. Intento che risulta però paradossalmente chiuso all’interno di questo spettacolo fortemente (auto)biografico, a prescindere dalla bravura e dall’interessantissima esperienza di Laura Pante. SAGA è il nucleo da cui partono e che abbraccia tutte le tematiche e le suggestioni di Thank you for coming. Marco D’Agostin apre al pubblico le prove generali della sua ultima opera, che ha debuttato a Parigi il 3 giugno. Una coreografia che parla della possibilità di creare legami e parentele al di là la famiglia, artefatto per eccellenza e il più paradossale, come sottolinea il filosofo Emanuele Coccia in dialogo con l’autore. Cinque performer – Marta Ciappina, Alice Giuliani, Leon Marič, Stefano Roveda, Julia Rubies – si muovono in un luogo indefinito, un interno dai contorni sfuocati che trascende qualsiasi spazializzazione. Al centro della scena un pavimento marmoreo di un bianco quasi abbagliante rimanda a una classicità eterna, un tempo passato e perenne che presagisce anche la propria precarietà. I danzatori abitano questo spazio etereo, tra i margini in penombra e il centro illuminato, si cercano e si disperdono creando un movimento corale. SAGA si costruisce sulle relazioni, un dialogo cangiante tra occhi, corpi e voci in cui i performer, mescolando la danza al canto, danno grande prova di sé. I cinque corpi si accordano e si intonano, insieme o in solitudine sono sempre in ascolto, attraversando lo spazio come spiriti o ricordi in un luogo della memoria che travalica il tempo. Sullo sfondo di questo rituale una finestra si squarcia, poco a poco, lasciando affiorare un mondo in rovina in cui ancora una volta si confondono passato e futuro. Un’immagine di poetica violenza e inquietante bellezza, come una plastica di Alberto Burri che pulsa, comunque, di possibilità e di vita.
– Margherita Dellantonio
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