500 atelier per un quartiere: Bushwick Open Studio 2012
All’inizio di giugno, tre giorni di arte totale - fra esposizioni, performance, concerti e collettive - hanno messo in moto Bushwick, il quartiere brutto anatroccolo dell’arte contemporanea newyorchese. Che però si rivela sempre più un luogo di ricerca assai interessante. Su Artribune Magazine ve lo stiamo raccontando con un reportage fotografico in due puntate, qui invece si parla degli Open Studio.
Zona di ex magazzini ed ex fabbriche, Bushwick nell’ultimo decennio si è trasformato in una fucina di centinaia di artisti, attirati dai bassi affitti rispetto alle vicine Williamsburg e Dumbo.
Ai partecipanti che hanno ufficialmente aderito a Bushwick Open Studio 2012 si sono uniti anche numerosi street artist che, in un solo weekend, hanno modificato sensibilmente le scenografie dei muri di molte strade.
Il quartiere non è più un segreto da scoprire ma una realtà da seguire, in quanto diverse autorevoli gallerie e apprezzabili artisti hanno scelto quest’area come base della propria creatività. L’ultima rinomata galleria ad arrivare è stata la Luhring Augustine, storica compagine di Chelsea che ha aperto a Bushwick uno spazio di 640 mq.
Perla dell’evento è stata senz’altro l’apertura delle porte dell’ISCP – International Studio & Curatorial Program (l’intervista al suo fondatore Dennis Elliott la trovate nell’archivio di Artribune), spazio al 1040 di Metropolitan Avenue capace di ospitare ogni anno cento artisti. Diretto da Kari Conte, il luogo può beneficiare di sponsor da tutto il mondo, così come da ogni parte del globo provengono gli artisti e i curatori selezionati.
Fra i 35 ospiti, due artisti della memoria a perdere: Simone Martinetto e Linarejos Moreno. Il primo, documentando il quotidiano vivere dell’Alzheimer che ha lentamente cancellato la mente di sua nonna, è riuscito ad allestire una mostra aggraziata e toccante. Questo grazie a fotografie e installazioni che raccontano uno spazio domestico che si sta svuotando dei ricordi di una donna malata, ma non della presenza dei propri familiari.
Tratta invece di memorie industriali il focus di Linarejos Moreno. Con un lavoro complessivo composto da installazioni, pitture e fotografie, l’artista madrilena ha dimostrato di avere il dono di creare suggestioni oniriche dentro opifici abbandonati, se non presto distrutti quindi dimenticati.
Fra le quindici costruzioni che hanno composto l’evento, senz’altro la palazzina più visitata è stata il 56 di Bogard Street. Ex fabbrica dismessa, oggi laboratorio per più di 60 artisti e sede di ben 9 gallerie, il luogo manca ancora di una direzione capace di organizzare e orientare i talenti che la frequentano, ma si è dimostrato capace di attrarre solidi artisti, credibili realtà della Grande Mela come Seung Mo Park, Borinquen Gallo e Nathaniel Lieb.
Alessandro Berni
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