Parigi fashion week. Il meglio tra Givenchy, Balenciaga, Schiaparelli e Iris Van Herpen
Se c'è una cosa buona che deriva dalla pandemia, è il mescolamento delle carte. Anche e soprattutto nell'ambito della moda. Dove sono saltati parecchi schemi che sembravano granitici fino a un paio di anni fa. Ecco cosa è successo a Parigi.
Sempre meno legate alla realtà (quella dei numeri di vendita), sempre più sperimentali, sempre piùvicine ai linguaggi visivi e musicali contemporanei. Sembra che la terribile bastonata assestata ai marchi moda dalla pandemia, se da un parte ha scardinato il “sistema”, dall’altra li abbia liberati dalle pastoie di stanchi rituali cadenzati da calendari che non hanno più niente a che vedere con la realtà temporale e nemmeno geografica del business che sostiene l’intero settore.
Il caos è grande, ma assistere a tanta libertà di sperimentazione, dove è possibile mettere in scena tutto e il contrario di tutto (esattamente come accade nell’arte contemporanea), è confortante. Mai fermarsi. Così, collezioni uomo e donna si fondono, pre-collezioni e haute couture si sovrappongono, primavera/estate e autunno/inverno non hanno più confini. Erano in fondo solo stanche convenzioni: nella realtà i generi sessuali si sovrappongono, la couture da tempo è solo un esercizio finalizzato al marketing di altri prodotti come il beauty, le stagioni variano a secondo dei continenti, ma il luogo della moda è globale o semplicemente non è.
LA TECHNO-COUTURE DI MATTHEW M. WILLIAMSON
Quindi accade che Givenchy disegnata Matthew M. Williamson presenti la sua pre-collezione a/i 2022 con un défilé online ambientato sulle pensiline di una stazione che vagheggia un viaggio tra Parigi e New York e lo fa contemporaneamente alle presentazioni virtuali (Galliano per Maison Margiela) o in presenza della couture a Parigi.
Intanto Demna Gvasalia, di lì a qualche giorno, ha fatto il suo debutto assoluto nel “salon” che fu di Cristóbal Balenciaga presentando una elaboratissima collezione di 63 capi prevalentemente “uomo” nel calendario della haute couture – sino ad oggi considerata esclusivamente femminile.
Tornando alla pre-collezione (anche questa donna e uomo) di Williams, è concepita come un insieme di pezzi techno-couture (questo è prêt-à-porter, ma appunto i confini non esistono più) chiamando a collaborare l’amico artista Chito, nato a Seattle e basato in Messico, già apparso in precedenza nel fashion grazie a una collaborazione con Supreme.
LA COLLABORAZIONE DI CHITO PER GIVENCHY
Per Givenchy, Chito ha sviluppato alcune grafiche airbrush utilizzando i suoi idiomi preferiti: come accade per la sua testa di cane da cartone animato o di Truehearted, altro suo leitmotiv che raffigura una ragazza e un cuore: appariranno su capi tanto donna che uomo (t-shirt, camicia di seta con zip, maglioni, felpe e bermuda che verranno messi in vendita nei negozi Givenchy a partire dal 16 luglio con un anticipo di quattro mesi sul resto della collezione).
Un’altra notazione è d’obbligo. L’ambientazione “ferroviaria” della presentazione è tutto tranne che casuale. Tanto sulla pensilina quanto sulle carrozze che costituiscono l’ambientazione del filmato appaiono pezzi di valigeria Rimowa, impreziositi dagli interventi di Chito. Che c’entra Rimowa? È presto detto: Givenchy, esattamente come Rimowa, appartiene al super gruppo del lusso LVMH (tra gli altri: Louis Vuitton, Christian Dior, Fendi, Bulgari). Che si tratti di contaminazioni (linguaggio dell’arte) o sinergie (linguaggio del business) non ha nessuna importanza: lo scontrino finisce sempre in tasca a Monsieur Bernard Arnault.
I CAPI SURREALI DI DANIEL ROSEBERRY E QUELLI DA PARACADUTISMO DI IRIS VAN HERPEN
Mentre Williamson, alla sua terza collezione con Givenchy, prosegue per la sua strada senza occuparsi della couture (dove pure il marchio in passato è stato protagonista), due personalità all’opposto ma certamente talentuose si sono distinte a Parigi. Come sempre Iris Van Herpen, ma pure Daniel Roseberry, che ha debuttato da Schiaparelli il 2 luglio dello scorso anno. Roseberry ha prodotto una collezione “surreale” – come il Dna di questo marchio impone – concentrandosi su ricami, bijoux giganteschi e forme scolpite: in qualche modo violenta, ma di certo non stanca e prevedibile come si è visto altrove.
Iris Van Herpen ancora una volta si è distinta mettendo in campo abiti che non hanno confronti. Lo ha fatto collaborando – e non solo per la presentazione – con Domitille Kiger, francese, campionessa mondiale di paracadutismo, prima atleta a indossare un capo couture durante una performance aerea. Nello specifico non si è trattato di uno show fine a se stesso: Van Herpen ha stretto da sempre un’alleanza con la scienza e lavora regolarmente con persone al di fuori dell’industria della moda. La creazione dell’abito di Kiger ha richiesto di sperimentare utilizzando gallerie del vento per il paracadutismo indoor. La sfida è stata quella di unire la delicatezza della lavorazione artigianale con l’estrema tenuta necessaria per uno sport del genere. Il risultato finale è un abito insieme delicato e resistente. A questo sono stati affiancati altri diciotto outfit tutti terreni: straordinariamente femminili nel senso che questo vocabolo acquista a fronte delle creazioni di questa immaginifica designer belga.
– Aldo Premoli
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